I Mini Report di QualEnergia.it: “Idee per la mobilità sostenibile dei Comuni”

Una raccolta di alcune esperienze di mobilità sostenibile per persone e merci già sperimentate o testate in Italia e in Europa. Misure e strategie replicabili in piccoli e grandi centri urbani.

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Questo numero de “I Mini Report di QualEnergia.it”, curato da Maria Stella Scarpinella, raccoglie alcune esperienze di mobilità sostenibile per persone e merci già sperimentate o testate in Italia e in Europa.

Con l’obiettivo di fornire qualche elemento di ispirazione agli amministratori locali, il Mini Report, una sintesi di numerosi articoli già pubblicati su QualEnergia.it, fornisce soluzioni e strategie potenzialmente replicabili nei centri urbani con estensione più o meno vasta, per indicare le modalità di spostamento meno impattanti, non solo dal punto di vista ambientale, ma anche da quello economico e sociale.

Indice

Premessa

1 – L’impulso dal Comune e il contributo delle imprese locali

  • Il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS)
  • Punti di ricarica pubblici dei veicoli elettrici
  • Quale contributo dalle imprese locali?

2 – Trasporto pubblico locale (TPL) e parcheggi

  • Il trasporto pubblico locale gratuito
  • La tariffa agevolata
  • TPL al 100% elettrico
  • Trasporto pubblico intercomunale
  • TPL e gestione dei parcheggi

3 – Buone pratiche di mobilità ciclopedonale

  • Come favorire l’uso della bicicletta
  • Elettrificare il bike sharing

4 – Consigli per la mobilità condivisa

  • Car sharing… elettrico
  • La micromobilità

5. Raccomandazioni per la mobilità integrata

6. Una logistica urbana delle merci più sostenibile

  • Zone a Emissioni Zero
  • Pianificazione e Governance
  • Consegna dell’ultimo miglio
  • Cargo bike per l’intera city logistics

Conclusioni

Ascolta il Mini Report in formato podcast


Premessa

Per mobilità sostenibile si intendono le modalità di spostamento in grado di diminuire gli impatti generati dai veicoli (soprattutto privati), come inquinamento atmosferico e acustico, congestione stradale, incidentalità, degrado urbano (spazio occupato dai veicoli a scapito dei pedoni), consumo di suolo (per strade e infrastrutture), e costi degli spostamenti.

Riguardo agli impatti ambientali, se dal fronte comunitario c’è l’obiettivo di neutralità climatica al 2050 e una serie di proposte di revisione della legislazione dell’Ue per decarbonizzare il settore dei trasporti (pacchetto Fit for 55), da quello regionale e urbano ci sono diversi esempi concreti di misure di mobilità sostenibile.

L’obiettivo di questo Mini Report – che riprende diversi articoli pubblicati su QualEnergia.it – è fornire, soprattutto ai decisori politici delle amministrazioni locali, alcune idee e soluzioni per indirizzarli nella scelta di misure volte alla riduzione del traffico e delle emissioni nei Comuni, evidenziando esempi, strategie e difficoltà, anche con il punto di vista di alcuni esperti che abbiamo intervistato.

Per altre misure di mobilità sostenibile, anche di livello sovracomunale, vi invitiamo a leggere gli articoli su QualEnergia.it con il tag Mobilità sostenibile.

Decisori politici e pubbliche amministrazioni sono i principali attori nella promozione e attuazione di interventi di mobilità sostenibile. Lo scopo è ridurre il numero di autoveicoli privati nelle aree urbane a favore della mobilità cosiddetta “alternativa”: trasporto pubblico, a piedi, in bicicletta, mobilità condivisa (car sharing e micro-mobilità).

Racconteremo nel capitolo 1 come il Comune può dare un input con la programmazione di azioni e obiettivi, o, ad esempio, con la realizzazione di punti di ricarica elettrici pubblici. Un impulso che può consolidarsi anche con il supporto delle imprese locali.

Il capitolo 2 si concentra su casi che riguardano l’incremento del trasporto pubblico locale (gratuito, a tariffa agevolata, 100% elettrico, intercomunale), che può essere favorito anche da una buona gestione dei parcheggi esistenti, oltre ovviamente che da maggiori investimenti su scala nazionale e locale.

Nel capitolo 3 abbiamo selezionato alcune misure di “mobilità lenta” (ciclabile e pedonale) che l’Osservatorio europeo della Mobilità Urbana (ELTIS) ha riconosciuto come buone pratiche da imitare; abbiamo anche riportato l’esperienza di successo di Marsiglia che ha sostituito il servizio bike sharing esistente con bici elettriche.

A queste misure si aggiunge la mobilità condivisa e quella integrata. Nel primo caso (capitolo 4) si propongono misure per lo sviluppo del car sharing e una serie di domande che possono contribuire ad aiutare i Sindaci a capire se nei propri comuni la micromobilità stia funzionando e, semmai, come migliorarla, anche con una specifica regolamentazione orientata a limitare il disordine a volte generato da bici e monopattini.

Nel capitolo 5 dedicato alla mobilità integrata, si parlerà del servizio MaaS (Mobility as a Service) e delle linee guida per il suo sviluppo in Italia, partendo anche dalla sua applicazione a Torino.

Oltre allo spostamento delle persone, la mobilità sostenibile riguarda anche la logistica urbana delle merci; nel capitolo 6 illustreremo le modalità per applicare efficienti “Zone a Emissioni Zero per le merci”, oltre a sistemi di governance e pianificazione.

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1. L’impulso dal Comune e il contributo delle imprese locali

In che modo l’Amministrazione comunale può facilitare il passaggio a una mobilità sostenibile? Qui vedremo lo strumento per la programmazione di azioni e obiettivi da raggiungere. Anche una attenta pianificazione nella realizzazione di punti di ricarica elettrici pubblici può dare dei risultati, soprattutto se insieme al supporto delle imprese locali.

Il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS)

Avere degli obiettivi ambiziosi ma realistici è fondamentale per i Comuni che vogliono decarbonizzare il sistema dei trasporti in ambito urbano. Lo strumento che accompagna le grandi città, e anche quelle più piccole, a definire target con un orizzonte temporale decennale, è il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile o PUMS.

La Commissione europea, tramite le “Linee guida per lo sviluppo e l’attuazione di un piano di mobilità urbana sostenibile” definisce il PUMS come il piano strategico progettato per soddisfare le esigenze di mobilità delle persone e delle imprese in ambito urbano e dintorni, per una migliore qualità della vita.

La sua elaborazione si basa sulle pratiche di pianificazione esistenti e tiene in considerazione i principi di integrazione, partecipazione e valutazione, aspetti che chiariremo più avanti.

In Italia è stato creato un Osservatorio PUMS, punto di riferimento per le città che affrontano il percorso della sostenibilità nella pianificazione della mobilità urbana.

Tuttavia, nel nostro Paese ci sono circa 5.500 piccoli comuni con meno di 5mila abitanti, cioè quasi il 70% dei comuni italiani. Sarebbe importante sperimentare e adottare misure di mobilità sostenibile anche in queste realtà, ma spesso è molto complicato.

La sindaca di Roccasecca dei Volsci in provincia di Latina (1.000 abitanti), Barbara Petroni, ci ha detto che “per facilitare la redazione dei PUMS nei piccoli comuni, si potrebbe pensare a PUMS intercomunali, per abbattere i costi e garantire uno studio più completo del territorio. Un’ipotesi ideale sarebbe elaborare PUMS allargati a 10 o 15 piccoli comuni limitrofi, mettendo a disposizione figure professionali in grado di sostenere anche i comuni a corto di personale” (Mobilità sostenibile nei piccoli comuni: le criticità dei bandi regionali).

La definizione di target, ovvero obiettivi misurabili da raggiungere in un tempo prestabilito, è uno degli elementi chiave di un PUMS efficiente.

Secondo i dati dell’Osservatorio, la maggior parte dei PUMS italiani sono stati approvati tra il 2018 e il 2019, ma dopo la crisi pandemica c’è stato un ripensamento della mobilità urbana e, quindi, si vorranno rivedere o aggiornare alcuni obiettivi inseriti nei PUMS approvati negli anni precedenti.

Nel Comune di Milano, solo per fare un esempio, si sta aggiornando il numero dei punti di ricarica elettrica comunali da realizzare, visto che la quantità allora pianificata è stata raggiunta ben prima del previsto.

Valentino Sevino dell’Agenzia Mobilità, Ambiente e Territorio di Milano (AMAT), ci ha detto: “A un sindaco che vuole dotarsi di target ambiziosi ma realistici consiglierei di dotarsi di Piani di Mobilità che abbiano al centro la sostenibilità e l’inclusività. La sostenibilità non è solo la spinta verso l’elettrico, anche perché non sarebbe totalmente inclusiva visto che non tutti oggi si possono permettere un veicolo elettrico; ma è offrire una pluralità di opzioni di mobilità, che consentano a chiunque di utilizzare la modalità di viaggio in funzione delle proprie necessità di spostamento, facilitando l’accesso a quelle fasce di popolazione che per ragioni anagrafiche o di salute, sono escluse da un pieno utilizzo degli attuali sistemi di mobilità disponibili in città” (Trasporto urbano: Milano aggiorna i suoi obiettivi).

Punti di ricarica pubblici dei veicoli elettrici

Seguendo l’esempio del Comune di Milano, cosa possono fare i Comuni per aumentare il numero dei punti di ricarica pubblici nel proprio territorio?

Francesco Naso, di Motus-e, l’associazione italiana costituita per accelerare il cambiamento verso la mobilità elettrica, propone una semplice strategia: una volta che il Comune ha chiara la stima della richiesta di ricarica, in base alla popolazione e ai posti letto disponibili, deve contattare i distributori locali che gestiscono la rete di distribuzione di media e bassa tensione per individuare insieme i punti più facilmente infrastrutturabili, la cosiddetta disponibilità di potenza di connessione.

“Il Comune, anche in base alla sua peculiarità turistica, potrà fare un piano, specificando dove posizionare le colonnine di ricarica di accesso pubblico, quante metterne e quali tipologie scegliere”, ha aggiunto.

Proprio per sostenere le amministrazioni locali alla pianificazione efficiente dei punti di ricarica pubblica, Motus-E ha pubblicato un Vademecum con delle linee guida.

Sono anche disponibili incentivi per le Pubbliche Amministrazioni che vogliono dotarsi di punti di ricarica, come le risorse pubbliche del Piano Nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati a energia elettrica (PNire).

Inoltre, le Regioni possono utilizzare i fondi comunitari e indirizzarli agli enti pubblici e privati locali attraverso i bandi dei Programmi Operativi Regionali; la Regione Lombardia è un caso da imitare in questo senso (Colonnine per auto elettriche: cosa devono fare i Comuni per aumentarle?).

Quale contributo dalle imprese locali?

Anche le imprese locali possono contribuire ad aiutare i Comuni nell’incentivare l’uso dei mezzi puliti, per esempio prevedendo presso le loro sedi punti di ricarica per veicoli elettrici, anche a prezzi ridotti.

Abbiamo per esempio raccolto iniziative di varie strutture turistico-ricettive, che potrebbero interessare le imprese in generale, per favorire il cosiddetto elettroturismo, ovvero il turismo con auto, bici, barche e taxi lacustri elettrici (L’elettroturismo in Italia: non solo ricarica dei veicoli).

Una è la certificazione Electric Friendly by Motus-e, che le strutture turistiche possono richiedere e ricevere se rispettano alcuni criteri d’eccellenza:

  • presenza di un punto di ricarica accessibile per veicoli elettrici
  • energia 100% rinnovabile per la ricarica dei veicoli
  • presenza di servizi di noleggio e itinerari “elettrici”, specie se pensati per la scoperta del territorio tramite una mobilità dolce e a impatto zero
  • punti di ricarica per e-bike

Ma le imprese (centri commerciali, aziende, ecc.) possono scegliere di favorire la mobilità sostenibile in molti altri modi, ad esempio dotandosi di punti di ricarica elettrica a costo zero o a prezzi convenienti per i dipendenti.

Oppure ci sono aziende che pagano una parte del biglietto del trasporto pubblico ai dipendenti per invogliarli a non utilizzare il mezzo privato ogni giorno.

Anche lo smart o home working è una misura che sta riducendo notevolmente gli spostamenti quotidiani casa-lavoro. Per gli enti pubblici e le aziende più grandi sarebbe utile la figura del Mobility Manager, che redige ogni anno un Piano degli spostamenti casa-lavoro con le abitudini dei dipendenti e le soluzioni per migliorarle.

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2. Trasporto pubblico locale e parcheggi

Servono interventi che possano incrementare l’utilizzo del trasporto pubblico locale (TPL) da parte degli utenti. Gratuità o tariffe agevolate per i mezzi, veicoli 100% elettrici, trasporto intercomunale, sono tutte misure importanti per dare una alternativa all’uso dei mezzi privati più inquinanti, al netto di una serie politica di investimenti in questo ambito (Trasporto pubblico locale, tutta la nostra distanza dall’obiettivo zero emissioni).

Trasporto pubblico locale gratuito

Diverse sperimentazioni innovative sono state messe in atto per rendere la mobilità urbana più sostenibile, avvicinando le persone ad utilizzare i mezzi trasporto pubblico.

È il caso del TPL gratuito, una misura adottata per esempio in Lussemburgo e a Genova, con l’obiettivo primario di ridurre il numero delle auto private in circolazione.

In Lussemburgo da oltre due anni si può salire su autobus, tram e treni (esclusa la prima classe) e spostarsi su tutto il territorio nazionale, senza pagare nulla. A Genova, prima grande città italiana a sperimentare questa soluzione, per ridurre il traffico nelle ore di punta e distribuire meglio i flussi, la metropolitana è gratuita dalle ore 10 alle 16 e dalle 20 alle 22, mentre gli impianti verticali (ascensori) sono sempre gratuiti.

La durata di questa esperienza nel capoluogo ligure era inizialmente di quattro mesi, ma l’Amministrazione Comunale, valutandone i risultati positivi, ha deciso di farla proseguire per tutto il 2023, un periodo che sarà utilizzato per perfezionare il piano economico che permetterà, entro la fine del 2024, di rendere libero l’accesso a tutte le tratte per i residenti, giorno e notte, e su tutti i tipi di mezzi.

In altri casi, il trasporto pubblico può rientrare in un servizio offerto da uno specifico ente pubblico, come un ospedale, un’università o un aeroporto. Per esempio, l’Università degli Studi di Catania offre a tutte le sue “matricole” la possibilità di viaggiare liberamente sui mezzi della metropolitana cittadina e sui bus dell’Azienda Metropolitana Trasporti.

Alcuni servizi a tariffa zero potrebbero essere attivati anche per evitare di costruire grandi infrastrutture. Ad esempio, nelle città portuali può essere reso gratuito il trasporto su traghetto per evitare di costruire ponti, che sarebbero poi utilizzati gratuitamente dagli utenti (Conviene rendere gratuito il trasporto pubblico?).

La tariffa agevolata

In Germania si è testata la tariffa agevolata dell’abbonamento mensile, una misura su scala nazionale che potrebbe essere applicata anche a scala urbana (sul modello della sperimentazione di Genova).

L’iniziativa, denominata 9-Euro-Ticket, da giugno 2022 e per tre mesi ha permesso di spostarsi sul territorio nazionale con il trasporto pubblico al prezzo di soli 9 euro.

I risultati emersi dall’analisi del primo mese di iniziativa sono stati positivi: più viaggi in treno (tra 30 e 300 km); riduzione del traffico stradale per viaggi superiori a 300 km; soprattutto nei fine settimana più viaggi in treno e meno traffico su strada.

Nonostante questi aspetti positivi, la sperimentazione ha fatto emergere anche delle criticità come il sovraffollamento dei mezzi di trasporto, soprattutto dei treni regionali, la scarsità dei mezzi e del personale necessari a rispondere al sovraffollamento (Germania, l’esperimento del trasporto pubblico a 9 euro al mese potrà continuare?).

Tuttavia, come spiega Anna Donati, responsabile di Roma Servizi per la Mobilità, “prima di decidere per la gratuità o un prezzo del biglietto agevolato è necessario capire se il TPL di partenza sia adeguato alla domanda degli utenti, e poi decidere se è meglio investire le risorse disponibili per potenziare il servizio, rendendolo più frequente e di qualità, oppure prevedere un altro tipo di investimento per renderlo gratuito o scontato”.

TPL al 100% elettrico

Alcuni Comuni si avvicinano a una mobilità più ecologica sviluppando una rete con veicoli pubblici al 100% elettrici.

L’organizzazione Motus-e, con l’intento di appoggiarli in questa scelta, ha pubblicato il vademecum “Autobus elettrici nel trasporto pubblico”, dove il responsabile comunale può trovare alcune indicazioni di investimento e un confronto tra autobus elettrici, diesel, metano e idrogeno.

Secondo l’associazione, i vantaggi dei bus elettrici (BEB), rispetto a quelli con altri tipi di alimentazione, riguardano soprattutto alcuni fattori come costo di acquisto, costo totale di proprietà (TCO), manutenzione, rifornimento del mezzo, oltre all’opportunità offerta dalla tecnologia Bus-to-Grid (infrastruttura che consente ai bus elettrici di scambiare l’elettricità immagazzinata nelle proprie batterie con la rete, aiutando a bilanciare i carichi).

Si consiglia all’Amministrazione di orientarsi su due tipi di bus elettrici: BEB a lungo raggio e BEB a ricarica rapida.

Generalmente un bus di 12 metri di lunghezza può avere un’autonomia di circa 190-230 km con una sola ricarica e con aria condizionata o riscaldamento in funzione.

Per massimizzare l’autonomia, i BEB a lungo raggio dispongono di batterie più grandi e vengono generalmente ricaricati una o due volte al giorno (durante la notte o a metà giornata) a una bassa potenza. La ricarica completa può durare circa 8 ore.

Invece, i BEB a ricarica rapida hanno batterie più piccole, che si possono ricaricare frequentemente e ad alta potenza. In genere questi mezzi vengono ricaricati durante il percorso più volte al giorno e, se l’infrastruttura di ricarica è capillare e ben progettata, potrebbero anche funzionare senza doversi fermare per una ricarica completa (Bus elettrici, a diesel o a metano nel trasporto pubblico? Qualche dato per le Pubbliche Amministrazioni).

Trasporto pubblico intercomunale

Nel caso di piccoli comuni limitrofi, una buona pratica di mobilità da sviluppare potrebbe essere il trasporto pubblico intercomunale.

Per esempio, la città romena Alba Iulia (75mila abitanti) ha stabilito una cooperazione di trasporto pubblico con altre sette località rurali adiacenti.

Per migliorare le lacune del sistema precedente (orari non adeguati e fermate limitate), l’autorità intercomunale ha affidato il contratto a un unico operatore privato per fornire un’offerta di trasporto pubblico integrato per l’intera area, riuscendo così ad aumentare il numero di utenti.

TPL e gestione dei parcheggi

Proprio per favorire l’utilizzo dei mezzi pubblici, in alcuni casi si punta alla intermodalità e, in questo caso, i parcheggi hanno un ruolo chiave.

Per esempio nella città di Sint-Niklaas, cittadina belga di 77mila abitanti, si è migliorata la gestione dei parcheggi esistenti, armonizzando le tariffe: i parcheggi localizzati lungo le strade hanno un costo più elevato rispetto ai parcheggi che si trovano in aree dedicate (parcheggi fuori strada) per i quali sono previste tariffe più convenienti.

L’amministrazione ha infatti spostato i parcheggi a lungo termine, anche per i residenti, in 7 aree adibite a parcheggio – in zone centrali ma a ridosso degli assi stradali – mentre, nelle aree più centrali ha favorito parcheggi gratuiti ad alta rotazione, come gli shop and go (massimo 20 minuti), controllati con sensori.

Secondo una Guida di ELTIS (Osservatorio europeo della Mobilità Urbana),  la buona gestione dei parcheggi è importante soprattutto per le città con una struttura medievale o con strade strette. Si propone poi alle amministrazioni comunali di essere sempre trasparenti dimostrando ai cittadini che i ricavi economici dei parcheggi saranno reinvestiti specificatamente per misure di mobilità alternativa (Come realizzare piani di mobilità sostenibile per i piccoli Comuni).

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3. Buone pratiche di mobilità ciclopedonale

La bicicletta o l’andare a piedi è una valida soluzione per una mobilità sostenibile applicabile nelle grandi città e nelle cittadine più piccole.

Abbiamo raccolto alcune misure adottate dalle amministrazioni comunali italiane per appoggiare questa mobilità, cosiddetta, “dolce”.

Tra le più interessanti c’è per esempio quella prevista dal PUMS di Pesaro che, per i percorsi pedonali, propone di istituire (sul modello della città di Pontevedra, in Galizia, Spagna) il “Pesaro MetroMinuto, un Piano che indica i tempi esatti dei percorsi pedonali per far comprendere meglio l’efficacia degli spostamenti a piedi in città. In pratica, è la versione pedonale della Bicipolitana, già realizzata in questo Comune e che ha dimostrato di essere un’esperienza di successo e anche replicabile.

Anche il PUMS di Parma punta alla crescita della mobilità ciclopedonale, tenendo conto del Biciplan comunale già approvato. La città vuole incrementare la rete ciclabile del 136%, passando dagli attuali 125 km a 296 km di itinerari ciclabili, sia nell’area urbana, che di collegamento con le frazioni e i paesi limitrofi, per incentivare anche il cicloturismo. Sempre a Parma, si pratica la ciclologistica, che consiste nell’utilizzo di bici cargo per la consegna delle merci all’ultimo miglio (vedi più avanti).

Come favorire l’uso della bicicletta

Ci sono alcune misure di mobilità ciclabile che hanno funzionato bene in diverse città europee, soprattutto in quelle più piccole e che ELTIS ha raccolto nella Guida “Sustainable Urban Mobility Planning in Smaller Cities and Towns”. Vediamone alcune.

  • Strade scolastiche: a Bolzano il traffico motorizzato resta chiuso per circa 30 minuti all’inizio e alla fine della giornata scolastica, aumentando la sicurezza, riducendo la congestione e facendo crescere il numero di bambini che si reca a scuola in bicicletta o a piedi; le “strade scolastiche” si sono diffuse in molti Paesi europei.
  • Autostrada ciclabile: nasce dalla collaborazione di quattro città olandesi, Arnhem (153mila abitanti), Nijmegen (169mila), Overbetuwe (48mila) e Lingewaard (47mila). Il percorso, lungo quasi 16 km, è stato costruito nel 2015 per il pendolarismo interurbano. L’obiettivo non è la velocità, ma la sicurezza che offre il percorso che è separato dal traffico automobilistico. Inoltre, la continuità del percorso permette ai ciclisti di sostare solo quando vogliono ed evitare così stop inutili.
  • Metrominuto: Pontevedra, città spagnola con meno di 100mila abitanti, dal 1999 ha pedonalizzato il centro storico, sostituendo tutti i parcheggi centrali fuori terra con parcheggi sotterranei e altri gratuiti in periferia. I semafori sono stati sostituiti con rotonde e il limite di velocità nelle zone periferiche è stato ridotto a 30 km/h. Una mappa in stile metropolitana è stata realizzata per mostrare i tempi di percorrenza, a piedi e in bici, tra i vari punti della città. Sulle stesse strade, dove dal 1996 al 2006 erano morte nel traffico 30 persone, nel decennio successivo 3 persone e nessuna dal 2009. Le emissioni sono diminuite del 70%. Il 65% di tutti gli spostamenti nell’area urbana principale ora sono a piedi o in bicicletta (Meglio a piedi e in bicicletta, strategie per muoversi nei medi centri urbani).

Elettrificare il bike sharing

Un Comune può anche favorire l’uso della bicicletta decidendo di elettrificare il servizio bike sharing esistente, soprattutto per una morfologia non pianeggiante del suo territorio.

L’esperienza di Marsiglia ha dimostrato che si può passare dal bike all’e-bike sharing con successo e senza disagi per gli utenti già abbonati.

Se questa evoluzione è integrata in una strategia di pianificazione sovracomunale non solo produce benefici per il territorio, ma può contribuire al raggiungimento di obiettivi di mobilità prefissati su scala più ampia, come è accaduto per la città francese.

Nel territorio marsigliese, infatti, la bici elettrica è particolarmente indicata perché molte stazioni “strategiche” di bike sharing si trovavano su pendii ripidi. Il servizio di condivisione era inizialmente fornito con 1000 bici tradizionali e 130 postazioni per il loro deposito. Con un budget di 43 milioni di euro è stato riqualificato il servizio, passando a un nuovo modello 100% elettrico (con sostituzione di mezzi e stazioni) e, di conseguenza, il numero di utenti è aumentato.

Il nuovo e-bike sharing è entrato a regime in breve tempo, distribuendo gradualmente 2000 bici a pedalata assistita in 200 stazioni di deposito e ricarica. Questo processo di “elettrificazione” è stato realizzato senza interruzioni o disagi per gli utenti già abbonati, e anche con tariffe più accessibili (Elettrificare il bike sharing: un esempio di cosa può fare un Comune).

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4. Consigli per la mobilità condivisa

La mobilità condivisa (auto, bici, monopattini, ecc.) può essere il giusto compromesso tra trasporto pubblico e mezzo privato: permette di venire incontro alle esigenze individuali, e con un veicolo a disposizione della collettività.

Nonostante le sue potenzialità lo sharing ha alcuni punti di debolezza. Ad esempio, fatica a decollare nei centri urbani più piccoli che non hanno quella densità di popolazione sufficiente per attrarre fornitori privati del servizio. Un’altra criticità è il disordine che possono causare in città i mezzi di micromobilità condivisa, come i monopattini.

Car sharing… passare all’elettrico

Sul car sharing l’amministrazione comunale può svolgere un ruolo importante soprattutto nella fase di avvio del servizio. Per esempio, potrebbe garantire lo zoccolo duro della clientela utilizzando i veicoli in sharing per i propri viaggi di lavoro, oppure i residenti potrebbero utilizzare la flotta comunale durante le ore serali e il fine settimana.

Siccome questi veicoli sono utilizzati in particolare per spostamenti brevi, si potrebbero utilizzare auto elettriche. A questo scopo il comune può collaborare con i fornitori di energia locali.

Secondo il 20° Rapporto di Aniasa (Associazione Nazionale Industria dell’Autonoleggio, della Sharing mobility e dell’Automotive digital) a Roma un’auto condivisa sostituisce dalle 4 alle 14 vetture private, dato che dimostra il potenziale del car sharing nel rendere le nostre città meno trafficate.

Per dare una spinta a questo settore, l’Associazione propone una serie di interventi, alcuni dei quali attuabili dalle Amministrazioni comunali (Come rilanciare il car sharing italiano dopo un difficile 2020).

  • Abolizione del canone annuale: le amministrazioni comunali possono eliminare il canone annuale richiesto agli operatori del car sharing per svolgere il proprio servizio, a prescindere dal tipo di motorizzazione. Questa azione è già stata intrapresa dai Comuni di Roma, Bologna e Torino. È un controsenso richiedere agli operatori di pagare un canone annuale per la sosta dei veicoli condivisi, quando sono proprio i servizi di car sharing a liberare il suolo pubblico e ad abbattere la necessità di parcheggi.
  • Fondi pubblici per la promozione del MaaS: diverse amministrazioni italiane stanno pianificando piattaforme MaaS (Mobility as a Service, vedi più avanti) per abilitare l’integrazione tra le diverse opzioni di mobilità sostenibile presenti in città, disincentivando l’uso dell’auto privata. Tuttavia, alcune amministrazioni hanno richiesto agli operatori del settore dello sharing di predisporre dei voucher scontati per coinvolgere un maggior numero di utenti nell’utilizzo delle piattaforme MaaS; questi bonus potrebbero essere erogati tramite fondi pubblici.

Lo sharing include ancora una quota importante di auto e furgoni a motore endotermico che contribuiscono certamente a decongestionare il traffico urbano, ma non a migliorare la qualità dell’aria. Come passare al car sharing elettrico?

Il car sharing è un’attività prevalentemente privata. Il Comune, di norma, stabilisce le caratteristiche del servizio nel momento in cui lancia una manifestazione d’interesse per verificare se ci sono degli operatori intenzionati a operare nel proprio territorio. Richiede dei requisiti tecnici del servizio, e tra questi, una quota di veicoli elettrici della flotta che ritiene necessaria.

Secondo Massimo Ciuffini dell’Osservatorio Nazionale Sharing Mobility, “per sostenere questa scelta può, per esempio, ridurre i canoni per l’uso degli stalli di sosta tariffati o dedicare aree di sosta in zone con una forte domanda di parcheggio su strada. Altra agevolazione è l’aumento dell’area operativa oppure trovando sinergie con l’operatore del trasporto pubblico”.

A Bologna, per esempio, il car sharing Corrente è una controllata di Tper, l’operatore del TPL a livello regionale e l’elettrificazione delle auto in sharing va in sinergia con quella degli autobus dell’azienda (Car sharing elettrico: le difficoltà e qualche consiglio ai Comuni).

La micromobilità

Per micromobilità si intende l’utilizzo di mezzi come monopattini elettrici, segway, hoverboard, monowheel, sia privati che pubblici in condivisione.

Per capire se si tratta di un servizio che sta funzionando, e come renderlo più efficiente e funzionale, le amministrazioni comunali si potrebbero porre alcune domande (Micromobilità in Italia, come capire se sta funzionando?).

È abbastanza utilizzato? Il Comune, così come le aziende che offrono questo servizio, dovrebbero monitorare periodicamente come sta andando il servizio in termini di fruizione.

È sicuro? Per ridurre il numero delle vittime della strada in aree urbane, le amministrazioni locali dovrebbero garantire corsie protette, regole di guida e limitazione della velocità di viaggio.

È ampiamente disponibile? La micromobilità deve essere comoda; gli utenti devono essere in grado di raggiungere un mezzo entro pochi isolati, altrimenti si vanificherebbe lo scopo di servire proprio per i brevi spostamenti. Ciò richiede una pianificazione del servizio, garantendo per le modalità free floating (o dockless, quando i mezzi vengono lasciati dove vuole l’utente) una distribuzione calibrata dei veicoli in città. Per la micromobilità “con aggancio”, si dovranno posizionare le banchine nelle diverse aree urbane in modo tale che i potenziali utenti non debbano percorrere più di 200-300 metri per raggiungere il mezzo da noleggiare.

È disponibile dove è più necessario? La micromobilità permette lo spostamento con un investimento minimo per chi non ha altre opzioni, per l’assenza di altri servizi di trasporto pubblico o per l’impossibilità di acquistare veicoli di proprietà. Allo stesso tempo è possibile che fornisca un’ulteriore modalità di trasporto anche per coloro che hanno già altre alternative di spostamento. Per questo, i Comuni devono sapere chi sono gli utenti che utilizzano questi mezzi, per ridurre al massimo la diseguaglianza territoriale e sociale dell’utenza.

È funzionale senza creare problemi per le altre modalità di trasporto? Una critica alle modalità dockless è che i mezzi spesso finiscono in posti dove non dovrebbero (binari ferroviari o marciapiedi). Inoltre, gli utenti li guidano anche in luoghi non adatti, come piste ciclabili o marciapiedi, sebbene questo aspetto sia ancora una questione aperta. Ma poiché non tutte le modalità di micromobilità sono appropriate a tutti gli ambienti, i Comuni devono definire regole più chiare su come usare e dove parcheggiare questi mezzi.

È accessibile? Altro fattore critico è la facilità di utilizzo di smartphone o di app da scaricare per usufruire di questi mezzi, visto che non tutti sono in grado di installare e utilizzare una app a pagamento.

La flotta è ben tenuta? I veicoli a uso condiviso possono subire danni e, se non manutenuti regolarmente, tutto il sistema può perdere efficacia nel tempo. Le esperienze negative degli utenti possono essere un altro fattore di disinteresse o allontanamento dal servizio.

Parigi ha recentemente deciso di eliminare i monopattini condivisi a causa della confusione che creano in città. Ma come si può risolvere questa questione che sta diventando critica anche in Italia?

Claudio Magliulo, Coordinatore italiano della Clean Cities Campaign, ha fatto l’esempio di Milano: “in città si continua a parlare del disordine dei monopattini in sharing, che sono appena 6mila in tutto, mentre le 100mila auto parcheggiate ogni giorno in divieto di sosta godono di un’immunità di fatto, visto che le sanzioni sono in media poco più del 3% sul totale delle violazioni stimate”.

Magliulo propone una più attenta regolamentazione, con aree di parcheggio ben delimitate e sanzioni per gli utenti indisciplinati. “È più che sufficiente ad affrontare un problema tutto sommato residuale. Sono state le stesse aziende della sharing mobility a suggerire ai comuni delle buone pratiche per garantire un servizio affidabile, ordinato ed economicamente funzionale. Basterebbe seguire quelle” (Il disordine dei monopattini condivisi: eliminare il servizio o ragionare su regole di utilizzo?).

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5. La mobilità integrata: alcune raccomandazioni

Mobility as a Service (MaaS) è un nuovo concetto di mobilità che prevede l’integrazione di molteplici servizi di trasporto pubblici e privati (trasporto pubblico locale, ride-sharing, car-sharing, bike-sharing, scooter-sharing, taxi, car rental) riuniti in un unico servizio e con un unico sistema di pagamento fruibili attraverso una piattaforma dedicata.

Un servizio che risponde in modo personalizzato alle esigenze di spostamento urbano e a cui i cittadini possono accedere con il proprio smartphone.

In Europa, lo Stato che ha fatto più passi in avanti verso la mobilità come servizio integrato è la Finlandia: dal 2010 sta sostenendo diversi progetti pilota in aree urbane e rurali e la legge finlandese sui servizi di trasporto richiede a tutti gli operatori della mobilità di fornire informazioni sui propri servizi e sulla vendita dei biglietti, accessibili tramite app, rispettando un formato standard.

In Italia, già nel 2019, la Regione Piemonte ha avviato il progetto “BIPforMaaS”, con l’obiettivo di creare le basi per la diffusione di servizi MaaS dall’area urbana di Torino fino all’intero territorio regionale.

Questo progetto triennale, che si basa sul sistema BIP (bigliettazione elettronica in Piemonte), ha avviato diversi tavoli di lavoro con operatori del trasporto pubblico locale, della mobilità condivisa, del mondo MaaS (nazionali e internazionali) e con enti locali.

Sul Maas in Italia, Carlotta Gasparini, della società 5T (società in-house specializzata nella smart mobility) ha spiegato che, insieme a TTS Italia (Associazione Nazionale per la Telematica per i Trasporti e la Sicurezza che ha l’obiettivo di promuovere lo sviluppo dei Sistemi Intelligenti di Trasporto – ITS), è stata elaborata la prima redazione delle Linee guida per lo sviluppo del MaaS in Italia, un documento che analizza i più importanti aspetti del MaaS e termina con 12 raccomandazioni indirizzate a chi vuole conoscere questa nuova strategia.

Le dodici raccomandazioni sono:

  1. Fiducia: favorire il coinvolgimento di tutti gli stakeholder interessati e il dialogo tra il settore pubblico e il settore privato.
  2. Apertura: sviluppo e diffusione dei servizi MaaS secondo modelli di ecosistemi aperti, che favoriscano l’innovazione nel settore della mobilità, in un mercato libero e senza condizioni di monopolio.
  3. Accesso al mercato dei servizi MaaS a tutti gli operatori economici interessati, siano essi operatori di trasporto e mobilità, operatori di altri settori o della digital economy.
  4. Libertà di scelta: diffusione del maggior numero di servizi MaaS per tutti i possibili target di utenti, a vantaggio della loro libertà di scelta.
  5. Governance pubblica: ruolo attivo di enti locali (regioni, città metropolitane, agenzie della mobilità o società pubbliche) per abilitare la diffusione di servizi MaaS, anche attraverso la definizione di linee guida per i PUMS, la creazione di hub e piattaforme MaaS locali.
  6. Condivisione: le piattaforme Maas devono condividere i dati di utilizzo dei servizi di trasporto con le pubbliche amministrazioni, in modo da supportare le azioni di governance della mobilità.
  7. Trasporto pubblico: digitalizzazione dei sistemi di pagamento del TPL, diffusione di servizi flessibili e “a chiamata”, e sviluppo di servizi MaaS anche da parte degli operatori TPL.
  8. Multimodalità: integrazione nei servizi MaaS del maggior numero di servizi di trasporto e mobilità (collettivi, condivisi, individuali, pubblici e commerciali).
  9. Dati: apertura sui dati da parte degli operatori dei singoli servizi di trasporto e di mobilità (pubblici e privati), attraverso la messa a disposizione di interfacce documentate (API), in modo da renderli accessibili agli operatori MaaS.
  10. Interoperabilità dei servizi MaaS a livello nazionale tra i differenti sistemi locali di mobilità, attraverso la messa in comune di dati e servizi da parte degli operatori MaaS.
  11. Sostegno alla domanda di servizi MaaS: con sconti, bonus, cash back o altre iniziative, anche in sinergia con le politiche di mobility management.
  12. Sostenibilità: diffusione di servizi MaaS che possano costituire un punto di incontro digitale tra domanda e offerta di mobilità, in grado di generare benefici pur mantenendo allineati gli obiettivi di operatori economici, cittadini e pubblica amministrazione.

(Non c’è smart city senza smart mobility)

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6. Una logistica urbana delle merci più sostenibile

Ogni anno in Europa si bruciano circa 100 miliardi di euro per le inefficienze della logistica urbana, il 30% delle emissioni di CO2 e il 20% del traffico sono causati proprio dalle consegne di ultimo miglio.

Anche a causa del boom dell’e-commerce si è obbligati a valutare requisiti normativi e tecnici per arrivare a definire un modello di logistica urbana efficiente e sostenibile, in una parola, smart.

Vediamo quindi alcuni esempi di politiche che possono essere adottate dalle amministrazioni locali per appoggiare una logistica smart.

Zone a Emissioni Zero

La città di Rotterdam può essere presa a riferimento come buona pratica per la costituzione di una Zona a emissioni zero per il trasporto merci (ZEZ-F). Sarà introdotta dal 1° gennaio 2025 e da quel momento in poi, all’interno di questa zona, la logistica si svolgerà utilizzando solo furgoni e autocarri a emissioni zero.

Per supportare gli imprenditori locali in questo processo di transizione, il Comune della città olandese ha lanciato il programma ECOSTARS, con il quale offre loro consulenza gratuita e consigli, sebbene non vincolanti, su come risparmiare più carburante e su come passare al trasporto senza emissioni.

Grazie al programma i trasportatori hanno un riconoscimento, guadagnando delle “stelle”, se svolgono le loro consegne in maniera sostenibile.

Già nel 2019 il sindaco aveva stabilito la strategia Roadmap Zero-Emission City Logistics che consiste nel trovare uno stakeholder pioniere per ciascun “segmento” di merci (alimenti freschi, edilizia, pacchi, rifiuti, servizi, vendita al dettaglio e all’ingrosso) per dimostrare che le ZEZ-F sono realizzabili e per risolvere tutte le problematiche che man mano che si presentano.

Ci sono poi altri vantaggi per il trasporto merci senza emissioni se si consente loro di usare corsie preferenziali e accedere in zone pedonali; si possono pensare sovvenzioni comunali per acquistare furgoni elettrici ed helpdesk per aiutare le imprese a fare domanda per sussidi nazionali ed europei (Il trasporto urbano delle merci in aree solo per veicoli a emissioni zero).

Pianificazione e Governance

In Italia sono pochissime le città dotate di un Piano Urbano della Logistica Sostenibile (PULS), strumento che permetterebbe alla Pubblica Amministrazione di definire strategie e azioni per governare le esternalità derivanti dalla logistica urbana.

Un PULS italiano ben strutturato, forse un esempio di pianificazione da replicare, è quello della Città Metropolitana di Bologna, che definisce target misurabili e specifici per la logistica urbana da raggiungere entro il 2030.

“In Italia bisogna superare l’idea che la governance della logistica urbana debba riferirsi solo alle ZTL. Occorrerebbe definire due zone, una zona centrale e una zona più estesa”, ha spiegato Marisa Meta di Freight Leaders Council Young e FIT Consulting.

Nella zona centrale, eventualmente coincidente con le attuali ZTL, è in genere presente un’alta densità di attività commerciali, turistiche e di beni storico-culturali, che necessita di una maggiore tutela. Qui – dice Marisa Meta – oltre al problema ambientale, c’è anche quello della congestione; pertanto, dovrebbero poter accedere solo gli operatori che dimostrino di adottare modelli a elevati standard di sostenibilità ed efficienza.

Nella zona più estesa, sul modello dell’area B di Milano, si possono prevedere requisiti meno stringenti, ma sempre in linea con gli stessi principi. Sarebbe anche necessario creare un cordone di telecamere intorno all’area da presidiare (Logistica urbana, le soluzioni per governare l’ultimo miglio del trasporto merci).

Consegna dell’ultimo miglio

In Slovenia, l’amministrazione comunale di Maribor, cittadina con meno di 90mila abitanti, ha promosso la consegna dell’ultimo miglio nel centro urbano dalle ore 10 alle 20 con auto elettriche e bici da carico. Un’esperienza considerata una buona pratica dal programma europeo Interreg Europe.

Inoltre, a Maribor è stata costituita un’impresa sociale che fornisce servizi di consegna dell’ultimo miglio con cargo-bike a negozi di alimentari e rivenditori in tutto il centro città. Le altre società di consegna si sono dovute adeguare a questa misura, acquistando veicoli puliti, e anche la stessa amministrazione locale utilizza bici da carico per svolgere i servizi pubblici.

Cargo bike per l’intera city logistics

A proposito di bici da carico, in Italia il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili (Mims) ha considerato la cargo bike tra le soluzioni più concrete per decarbonizzare l’intera city logistics: e-commerce, gestione dei rifiuti, materiali edili, servizi essenziali. Tuttavia, i più recenti PUMS si concentrano ancora solo sulla consegna delle merci e per l’e-commerce.

Sarebbe efficace se, nei PUMS in corso di redazione, venisse data più importanza all’utilizzo di cargo bike anche per le altre filiere logistiche, come per esempio la gestione dei rifiuti solidi urbani. Questa esperienza è stata già testata in città come Milano, Sperlonga, Lecco e Parma, con il progetto T-Riciclo per migliorare la raccolta dei rifiuti in centro e nei parchi (Cargo bike per l’intera city logistics… e non solo per e-commerce).

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Conclusioni

I casi illustrati in questo breve documento sono solo indicativi delle numerose esperienze di mobilità sostenibile già sperimentate o testate in Europa.

È evidente come sia molto più semplice trovare buone pratiche di mobilità sostenibile nelle grandi città. Se è vero che i casi di successo raggiunti nelle cittadine con meno abitanti sono meno diffusi, va anche detto che esse avrebbero un notevole potenziale: sebbene vi si riscontra una forte dipendenza dall’auto e i trasporti pubblici sono generalmente più carenti, per gli spostamenti interni al nucleo urbano i piccoli centri sono spesso più percorribili a piedi o in bici.

Nei casi riportati gli obiettivi principali sono sempre gli stessi – ridurre le emissioni, il numero di veicoli in circolazione, migliorare la qualità della vita – ma le soluzioni per raggiungerli sono molteplici e ogni città può attuare il proprio intervento nel modo più adatto al proprio territorio.

Il consiglio degli esperti è chiaro: qualunque sia la misura di mobilità sostenibile che il Comune intende intraprendere è necessario che sia sempre ben pianificata e inserita in sinergia con le altre misure e specificità dell’area.

Ecco perché il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS) è il filo che tiene insieme le varie azioni di mobilità sostenibile di un’amministrazione comunale.

Per ridurre anche gli impatti generati dalla capillarità della distribuzione dell’ultimo miglio, si dovrebbe integrare il PUMS con un Piano Urbano per la Logistica Sostenibile che, come abbiamo visto, è uno strumento più specifico per governare al meglio lo spostamento urbano delle merci.

Quindi con quest’attenta pianificazione il Comune non solo programmerà i suoi obiettivi di mobilità sostenibile, i tempi per perseguirli e le azioni da intraprendere, ma potrà stabilire anche quali indicatori utilizzerà per monitorare gli effetti di queste misure e valutarne l’adeguatezza al proprio caso ed eventualmente migliorarla.

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