Litio, il governo italiano studia un decreto per le concessioni minerarie

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Il nostro Paese ha diversi giacimenti di fluidi geotermici in cui il minerale è contenuto con un'alta concentrazione, ma non possiede gli strumenti normativi adeguati per estrarlo.

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Il governo italiano sta predisponendo un decreto legge sulle concessioni minerarie “per assicurare una catena di approvvigionamento delle materie prime critiche sicura e per promuoverne il riciclo”.

Un provvedimento che ha come principale obiettivo l’estrazione del litio, presente in diversi fluidi geotermici sotto la Toscana, il Lazio e la Campania, oltre che nel tratto appenninico da Alessandria a Pescara.

Lo ha assicurato Massimo Bitonci, sottosegretario per le Imprese e il Made in Italy, rispondendo a un’interrogazione alla Camera della deputata Beatriz Colombo lo scorso 23 aprile (qui il testo).

Al sottosegretario era stato chiesto se il governo intendesse valutare l’opportunità di utilizzare i giacimenti di litio esistenti in Italia per evitare che l’aumento significativo della domanda dettato dalla transizione energetica porti il Paese a dipendere dalle importazioni, con il rischio che si inneschino processi speculativi (ricordiamo che il litio è fondamentale ad esempio per la produzione di batterie destinate ai veicoli elettrici e all’accumulo dell’energia prodotte da fonti rinnovabili).

“Stiamo elaborando gli strumenti più idonei per assistere le imprese italiane ed estere interessate a investire in Italia”, ha replicato Bitonci, citando l’approvazione del nuovo regolamento europeo Critical Raw Materials Act dello scorso 18 marzo. Il litio infatti è nell’elenco delle materie prime critiche dell’Ue.

Con l’entrata in vigore del regolamento verranno introdotte nel nostro ordinamento misure a sostegno del settore – assicura il sottosegretario – per velocizzare i tempi per l’ottenimento dei permessi per i progetti strategici.

Il Critical Raw Materials Act, ricordiamo, traccia la strada da seguire per evitare che i Paesi membri dipendano per oltre il 65% da un solo Paese terzo (la Cina), stabilendo tre parametri di riferimento per la copertura del consumo annuo: il 10% da estrazione locale, il 40% da processi di lavorazione nell’Unione europea e il 25% da materiali riciclati.

Per il rilancio del settore minerario nazionale è stato anche istituito il Fondo nazionale del made in Italy, con dotazione iniziale di 700 milioni di euro per l’anno 2023 e di 300 milioni di euro per il 2024, con lo scopo di sostenere investimenti strategici per il rafforzamento e il rilancio della filiera nazionale delle materie prime critiche.

Il potenziale italiano

In Italia il potenziale di estrazione del litio non è stato ancora vagliato a fondo. Vulcan Energy, in collaborazione con Enel, ha ottenuto un permesso di ricerca per esplorare, nel Lazio, un pozzo scoperto nel 1974 a circa 1.390 metri di profondità. Lo scorso marzo l’australiana Altamin Limited e la multiutility italiana Iren hanno firmato un memorandum d’intesa per  il recupero del litio  dalle salamoie geotermiche nell’ambito dell’Altamin’s Geothermal Lithium Project attivo anch’esso nel Lazio.

Secondo uno studio del 2022 (pdf) condotto da ricercatori dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse e del Cnr nel nostro Paese ci sono due aree ad alto potenziale: la fascia vulcanico-geotermica peritirrenica (Toscana-Lazio-Campania), dove in passato sono stati intercettati fluidi geotermici con concentrazioni di litio fino a 480 mg/l, e la fascia al fronte della catena appeninica (da Alessandria fino a Pescara), dove sono presenti manifestazioni termali con contenuti in litio fino a 370 mg/l associati a giacimenti di idrocarburi.

Valori che, sottolineano gli analisti, sono tra i più alti riscontrati nei fluidi profondi del pianeta. Le concentrazioni massime riscontrate in altri Paesi si aggirano infatti sui 200-250 mg/l.

L’Italia estrarrebbe il litio dai fluidi geotermici attraverso un processo chiamato Direct Lithium Extraction, in cui i fluidi vengono pompati dalla falda in un’unità di trattamento dove, attraverso l’utilizzo di una resina o un materiale assorbente, il minerale viene isolato. La salamoia esaurita viene poi reiniettata nel sottosuolo.

Questo processo è meno dannoso per l’ambiente, ma non è il più diffuso. Solitamente infatti il litio si ricava attraverso i salar, le enormi vasche utilizzate ad esempio in Cile o in Tibet dove le soluzioni di litio vengono lasciate evaporare, oppure dalle miniere (è il caso principalmente dell’Australia).

La Direct Lithium Extraction utilizza molta meno acqua rispetto ai salar e consente di sfruttare anche il potenziale geotermico dei fluidi caldi per ricavarne energia. Ha però lo svantaggio di essere molto costosa: è quindi necessario, prima di attuarla, capire quanto litio è possibile ottenere, per verificare che l’intero processo sia economicamente sostenibile.

Il futuro del litio

I prezzi del minerale, ricordiamo, sono crollati a inizio 2024 ai minimi dal 2020 con una discesa dell’80% in meno di un anno, intorno ai 13.300 dollari per tonnellata (si veda grafico sotto dal sito Trading Economics) . Secondo Albermarle, multinazionale americana della chimica e principale produttore mondiale di litio, i prezzi attuali sono “insostenibili” e non permettono ai produttori di investire in nuovi progetti minerari.

Allo stesso tempo, Goldman Sachs prevede che quest’anno ci sarà un’eccedenza produttiva pari al 17% circa della domanda globale, causato principalmente dal rallentamento delle vendite di auto elettriche in Cina. Nei prossimi anni si rischia una crisi del settore, visto che sul medio-lungo termine la domanda di litio è prevista in forte crescita.

Uno studio del 2022 pubblicato dalla università belga KU Leuven e commissionato da Eurometaux (associazione europea dei produttori di metalli non ferrosi) sostiene infatti che la transizione energetica entro il 2050 richiederà in Europa ogni anno 800mila tonnellate di litio, per un aumento vertiginoso del +3.500% in confronto ai consumi rilevati al momento dell’indagine.

Per raggiungere questi numeri l’Ue si muoverà anche attraverso partenariati strategici con Paesi terzi incentrati sul trasferimento di conoscenze e tecnologie, sulla formazione e sull’applicazione dei migliori standard ecologici nei processi di estrazione e lavorazione.

Agli inizi di marzo la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen ha annunciato che l’esecutivo Ue ha avviato un programma da 22,5 milioni di euro per investire in energia e materie prime critiche in Groenlandia. Un altro  partenariato strategico è stato firmato con il Canada nel 2021.

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