Micromobilità in Italia, come capire se sta funzionando?

Qualche domanda utile alle Amministrazioni locali per capire se la micromobilità sta svolgendo con efficacia la sua funzione nelle nostre città.

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Qualche anno fa sembrava finalmente arrivata la rivoluzione della micromobilità: monopattini elettrici, segway, hoverboard, monowheel, sia privati che in condivisione, erano pronti a capovolgere il trasporto urbano rendendolo comodo ed economico.

Oggi siamo in grado di capire se questo sistema di trasporto sta realmente funzionando nelle città italiane?

Nell’articolo “Micromobilità e adeguamento infrastrutturale: continua la sperimentazione in Italia avevamo raccontato che in Italia, nel 2020, c’è stato il boom della micromobilità sia condivisa che individuale, trovando però le città impreparate per questi nuovi mezzi di trasporto, soprattutto per gli aspetti infrastrutturali.

Questa diffusione è avvenuta sia per la pandemia, che ha rivoluzionato il nostro modo di spostarci, sia perché la micromobilità è considerata come il mezzo ideale per gli spostamenti dell’ultimo miglio: permette di muoversi in maniera attiva e allo stesso tempo di alleggerire il sistema urbano dalla congestione del traffico.

C’è modo di sapere se la micromobilità può raggiungere veramente questi obiettivi e quali sono le sue principali criticità?

Suggeriamo di seguito, una lista di domande che potrebbe aiutare le Pubbliche Amministrazioni italiane a capire se la micromobilità sta facendo ciò che i suoi promotori hanno fin qui sostenuto.

Le città italiane forniscono questo servizio?

Affinché si raggiungano i benefici della micromobilità, le persone devono usarla e nel miglior modo possibile.

I dati del Rapporto Mobilitaria 2021 ci forniscono informazioni sullo stato della micromobilità in sette città metropolitane italiane, che, in linea generale, dal 2019 al 2020 hanno registrato una crescita della quantità di mezzi disponibili in flotta.

In particolare, nel 2020, Roma è la città con più mezzi di micromobilità in flotta (15.250 mezzi), seguita da Milano (3.750), Torino (3.500). Bari e Napoli hanno rispettivamente circa 1.000 mezzi di micromobilità in flotta, mentre Venezia e Firenze sono quelle con meno mezzi tra le sette città analizzate, rispettivamente con 400 e 150 mezzi di micromobilità.

Inoltre, nel 2020 anche il trend del numero degli operatori era in salita, tranne che per la città di Torino, per la quale invece, il numero degli operatori che offre il servizio di micromobilità in città è sceso rispetto al 2019.

È abbastanza utilizzato?

La Pubblica Amministrazione, così come le aziende che offrono questo servizio, dovrebbero monitorare periodicamente come sta andando il servizio in termini di fruizione.

È sicuro?

Secondo un’indagine europea sulla sicurezza stradale, nel 2019, il 38% delle vittime della strada si trovava in aree urbane al momento dell’incidente. Questi incidenti hanno provocato il decesso di quasi 23.000 persone, 3.000 delle quali in Italia.

La micromobilità non deve aggiungere nuovi decessi a questo valore. Per questo le amministrazioni locali dovrebbero garantire corsie protette, regole di guida e limitazione della velocità di viaggio.

È ampiamente disponibile?

La micromobilità si basa sul concetto di comodità. Pertanto i potenziali utenti dovrebbero essere in grado di raggiungere un mezzo entro pochi isolati, o si vanificherebbe lo scopo di servire i brevi spostamenti urbani.

Questo comporta una pianificazione strategica del servizio, garantendo per le modalità free floating, una distribuzione calibrata dei veicoli in città ed evitando al contempo l’accumulo degli stessi.

Invece, per la micromobilità “con aggancio”, si dovranno posizionare equamente le banchine tra i diversi ambiti urbani, in modo tale che i potenziali utenti non debbano camminare per più di due o tre isolati verso il mezzo da noleggiare.

È disponibile dove è più necessario?

La micromobilità è definita come una soluzione in grado di fornire il trasporto con un investimento minimo per coloro che non hanno altre opzioni, per esempio di tipo territoriale (assenza di altri servizi di trasporto pubblico) o anche di tipo sociale (impossibilità di acquistare veicoli di proprietà). È tuttavia possibile che la micromobilità, in realtà, stia fornendo soltanto più opzioni di trasporto per coloro che hanno già altre alternative di viaggio.

Quindi, i Comuni devono sapere chi sono gli utenti che utilizzano i mezzi per trovare misure che riducano al massimo la diseguaglianza territoriale e sociale dell’utenza.

È funzionale senza creare problemi per le altre modalità di trasporto?

Una critica alle modalità dockless è che i mezzi spesso finiscono in posti in cui non dovrebbero, per esempio sui binari delle linee ferroviarie o bloccando i marciapiedi. Inoltre, gli utenti li guidano anche in luoghi in cui non dovrebbero, ad esempio lungo piste ciclabili o marciapiedi. Anche se il “dove dovrebbero essere guidati” resta una questione aperta.

Forse, non tutte le modalità di micromobilità sono adatte a tutti gli ambienti. In tal senso, le Pubbliche Amministrazioni e le aziende interessate, dovrebbero definire regole più chiare su come usare e dove parcheggiare i mezzi di micromobilità.

È accessibile?

Altro fattore critico è l’utilizzo di smartphone o di app da scaricare per usufruire dei mezzi di micromobilità. Le famiglie a basso reddito e gli anziani hanno meno probabilità di avere accesso agli smartphone. E non tutti comunque possono essere in grado di installare e utilizzare una app a pagamento.

La flotta è ben tenuta?

I veicoli ad uso condiviso possono subire diversi danni. Se i veicoli non vengono manutenuti e riparati regolarmente, il sistema può rivelarsi meno utile nel tempo. Inoltre, cattive esperienze con questo servizio potrebbero allontanare gli utenti.

Ovviamente, le risposte a queste domande possono variare da città in città. Tuttavia per chi offre micormobilità focalizzarsi su tutti questi aspetti potrà rendere più efficiente e funzionale questo servizio.

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