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L’idrogeno pulito è un “atto di fede”? Un futuro tutto da scrivere

Le analisi di S&P Global Ratings sulle potenzialità dell'idrogeno verde in Europa.

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L’Europa fa bene a scommettere sull’idrogeno?

Secondo l’analisi appena pubblicata da S&P Global Ratings, l’idrogeno “pulito” è ancora un “atto di fede” (leap of faith) per le utility europee, perché molti ostacoli e incertezze si frappongono alla realizzazione di un’economia basata sull’uso di idrogeno su vasta scala.

In questi mesi l’idrogeno è diventato la panacea con cui tentare di risolvere una buona parte del seguente problema: come abbandonare i combustibili fossili e azzerare le emissioni di anidride carbonica entro il 2050, in linea con il Green Deal europeo.

La Commissione Ue, infatti, lo scorso luglio ha varato la nuova strategia per l’idrogeno, che scommette in particolar modo sulla produzione di gas totalmente pulito. È il cosiddetto idrogeno “verde”, ottenuto con l’elettrolisi dell’acqua, impiegando energia elettrica 100% rinnovabile (eolica, solare) per alimentare il processo elettrolitico.

Con il green hydrogen si punta a eliminare l’uso di carburanti fossili nelle industrie pesanti e nei trasporti (navi, camion, aerei), senza dimenticare le potenzialità di questo vettore energetico per sviluppare sistemi di accumulo stagionale (l’idrogeno può essere stoccato in grandi quantità e poi riconvertito in elettricità con sistemi Power-to-gas) e per creare una rete gas a minore impatto ambientale (l’idrogeno può essere miscelato al gas fossile).

Molti Paesi si sono già buttati nella scommessa, tracciando piani energetici ad hoc e annunciando investimenti multimiliardari: Germania, Francia, Spagna, la stessa Italia.

La strategia Ue prevede di installare 40 GW di elettrolizzatori al 2030 in modo da produrre fino a 10 milioni di tonnellate/anno di H2 a zero emissioni.

I Paesi dell’Europa occidentale, si legge nel documento di S&P Global Ratings, hanno finora pianificato investimenti per più di 32 miliardi di euro nell’idrogeno verde nei prossimi dieci anni.

La Germania, ad esempio, intende realizzare 5 GW di elettrolizzatori, mentre l’Olanda ha già parlato di una futura “hydrogen valley con almeno 4 GW di capacità installata in elettrolizzatori nel 2030 (500 MW nel 2025) e il massiccio utilizzo di parchi eolici offshore, con cui alimentare i processi elettrolitici.

Tuttavia, si legge nel documento, molte aziende stanno “testando l’acqua” con una certa cautela, sviluppando impianti-pilota tra 10-100 MW di capacità.

Nei prossimi 3-5 anni, secondo S&P Global Ratings, con ogni probabilità i progetti nel campo dell’idrogeno verde rimarranno di piccola taglia e la loro realizzazione dipenderà in larga parte dalla disponibilità di fondi e sussidi pubblici.

S&P stima che nei prossimi tre anni le 15 maggiori utility europee investiranno non più di 1 miliardo di euro l’anno, in totale, in progetti di idrogeno verde. Per fare un paragone, i loro tradizionali investimenti ammontano complessivamente a circa 65 miliardi di euro l’anno.

Ma questi progetti iniziali, senza economie di scala innescate da impianti di grandi dimensioni, non riusciranno ancora ad abbattere i costi per produrre H2 verde, secondo le stime di S&P.

Un altro possibile ostacolo, si legge nell’analisi di S&P, è dato dalla necessità di dedicare parecchi GW di rinnovabili alla produzione di idrogeno: si parla di 10-12 GW per alimentare 6 GW di elettrolizzatori nel 2024 come previsto dalla strategia Ue.

È una ricetta difficile da attuare nel breve termine, considerando che la crescita di potenza installata nelle fonti rinnovabili servirà ai paesi Ue anche per uscire da carbone e nucleare nel settore termoelettrico.

Poi ci sono da considerare gli enormi investimenti richiesti per realizzare nuove infrastrutture e potenziare quelle esistenti: reti di trasporto e distribuzione, impianti di stoccaggio.

Anche la futura domanda di idrogeno verde resta un’incognita, da valutare in base alla diffusione delle altre tecnologie, tra cui soprattutto le batterie per l’accumulo energetico stazionario.

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