S’avanza l’onda dell’idrogeno: convergenze di interessi e utilizzi da evitare

L’idrogeno torna d’attualità in Europa: obiettivi, applicazioni e criticità. Cerchiamo di capire il processo di fascinazione suscitato dall’idrogeno negli dultimi mesi.

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L’idea di puntare alla produzione di idrogeno con le rinnovabili e ad un suo uso su larga scala ha visto nel tempo molti sostenitori.

L’ultimo è stato Rifkin che con il suo “L’economia dell’idrogeno” del 2002 pensava allo sviluppo di scenari decentrati basati su milioni di celle a combustibile.

La generazione decentrata sta in effetti avvenendo, ma grazie al fotovoltaico e alle batterie.

L’idrogeno torna oggi d’attualità in Europa.

Nel mese di luglio 2020 la Commissione ha pubblicato la “A hydrogen strategy for a climate-neutral Europe” che indica obbiettivi ambiziosi con una chiara priorità per la produzione di idrogeno mediante impianti di elettrolisi dell’acqua alimentati da fonti rinnovabili. La Ue si propone di realizzare entro il 2030 impianti per ben 40.000 MW e prevede una potenza analoga nel Nord Africa e in Ucraina.

E per segnalare l’urgenza di un cambio di passo, ha fissato anche un target intermedio al 2024 di 6.000 MW in grado di produrre fino a un milione di tonnellate di idrogeno rinnovabile. Si tratta di un salto incredibile, considerando che al momento in tutto il mondo ci sono solo 250 MW di elettrolizzatori.

Nel documento dell’Ue si ipotizza che nel 2050 circa un quarto dell’elettricità rinnovabile sarà dedicata alla produzione di idrogeno.

In prima fila nell’impegno sull’idrogeno troviamo la Germania che aveva definito a giugno la propria strategia che fissa anche un obiettivo di 5 GW di capacità di elettrolisi domestica per l’idrogeno verde prodotto in Germania entro il 2030 e 10 GW entro il 2040, comprese le capacità di generazione di energia rinnovabile aggiuntive necessarie.

Si intende concentrare l’uso dell’idrogeno nell’industria (in particolare nelle industrie siderurgiche e chimiche) e nel trasporto di merci pesanti e si sottolinea come il suo utilizzo debba essere limitato ai settori che sono difficili da decarbonizzare attraverso un uso diretto dell’elettricità.

Anche la Francia è molto interessata a queste nuove opportunità. Engie e Air Liquide vogliono costruire impianti solari in grado di alimentare 450.000 persone e anche di produrre idrogeno. Considerando che le industrie francesi utilizzano annualmente 1 milione di tonnellate di idrogeno, il governo vorrebbe che tra il 20% e il 40% fosse generato dalle rinnovabili entro il 2028 (Idrogeno, ecco come Germania e Francia spingono sull’acceleratore).

Ovviamente non è solo l’Europa ad essersi lanciata sull’idrogeno. Chi ci ha creduto da più tempo in realtà è il Giappone che ha però seguito una strada poco comprensibile e probabilmente senza futuro. Tokyo sta puntando infatti sulle auto a celle di combustibile, una scelta offuscata dall’impressionante crollo del prezzo delle batterie. La Mirai, prima auto ad idrogeno, venne lanciata nel 2014, ma ad oggi ha venduto solo 10.000 esemplari. Il Giappone però continua a crederci e punta a 800.000 veicoli su strada nel 2030. Un obbiettivo, peraltro, condiviso anche della Corea del Sud.

La Cina si sta muovendo diversamente, avendo come obbiettivo la diffusione di un milione di veicoli commerciali, camion e bus, nel 2030.

Ma torniamo all’Europa e cerchiamo di capire il processo di fascinazione suscitato dall’idrogeno degli ultimi mesi. In effetti, si è realizzata un’incredibile convergenza di sensibilità e interessi.

Agli ambientalisti appare suggestiva la possibilità di poter decarbonizzare comparti industriali pesanti, di poter far viaggiare aerei e navi, di poter puntare su sistemi di accumulo stagionali (Power to Gas).

In sostanza, l’idrogeno rende più credibile il percorso verso la neutralità climatica.

Vi è poi un notevole interesse da parte dei Governi e del mondo industriale. L’Europa che si era fatta scippare dall’Asia la produzione di moduli fotovoltaici e ha visto la corsa cinese sui veicoli elettrici, ha capito la lezione e ora vuol dire la sua sul trasporto elettrico, sulle batterie e sull’idrogeno.

Il mondo delle imprese è molto interessato per le opportunità produttive che si possono dischiudere: costruzione di impianti di elettrolisi e celle a combustibile, soluzioni in grado di intervenire nelle acciaierie, nel comparto chimico e in altri settori produttivi.

Vi è poi una parte del comparto Oil&Gas che vede nell’idrogeno una potente ancora di salvezza in un contesto che vedrà un calo della domanda di questi combustibili. La strategia a cui lavorano alcune multinazionali è basata sulla produzione di idrogeno attraverso il processo di “reforming” di idrocarburi.

Questa trasformazione comporta però un’elevata produzione di anidride carbonica ed ecco che la soluzione proposta è quella dell’Idrogeno Blu, che prevede la cattura della CO2 e il suo sequestro nel sottosuolo.

Infine, i sostenitori più convinti sono i gestori dei metanodotti.

Per loro questa è una carta decisiva e premono per strategie aggressive da parte dei Governi. Ipotizzano una rete che progressivamente possa trasportare idrogeno, sfruttando i collegamenti già esistenti con l’Africa.

Su questi scenari bisogna essere chiari. Le opportunità esistono e vanno colte (pur considerando alcune criticità nel trasporto dell’idrogeno). Ma non si possono inventare utilizzi inesistenti, come l’auto ad idrogeno o la miscelazione di H2 nel metano nelle case.

Per un motivo semplice. Significherebbe rallentare il processo di elettrificazione, che è la strada più efficace e meno costosa per la decarbonizzazione (vale cioè lo stesso ragionamento già fatto per le centrali nucleari). Quindi, adelante con juicio.

Articolo tratto dal rapporto GreenItaly 2020 realizzato da Symbola e Unioncamere.

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