Greenwashing, i big del fossile continuano a giocare d’azzardo sui traguardi climatici

Eni e le altre aziende petrolifere scommettono eccessivamente sulle tecnologie per compensare e catturare le emissioni, anziché impegnarsi a ridurre in prima battuta la CO2. Le analisi di Carbon Tracker.

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Le grandi compagnie dei combustibili fossili continuano a fare un gioco di azzardo sui loro obiettivi climatici: scommettono tantissimo su tecnologie di mitigazione costose e che non hanno dimostrato di essere efficaci su vasta scala, mettendo così a rischio gli investitori e il clima.

Il nuovo rapporto del think tank Carbon Tracker, “Absolute Impact 2022: Why Oil and Gas Companies Need Credible Plans to Meet Climate Targets” (link in basso), torna su un tema molto sentito da chi fa campagne contro la proliferazione di nuovi investimenti oil & gas in tutto il mondo.

È l’annosa questione del greenwashing, cioé affermare di essersi impegnati a ridurre le emissioni di anidride carbonica con piani industriali che però, alla prova dei fatti, non sono credibili né sufficientemente ambiziosi.

Le aziende del fossile proseguono le loro attività tradizionali – estrazione, produzione e trasporto di gas e petrolio – puntando in gran parte su soluzioni come la riforestazione o la cattura della CO2 finalizzate a compensare le loro emissioni, molto parzialmente, anziché ridurle in termini assoluti.

Il gioco è proprio questo: compensare e non tagliare alla radice le emissioni, così è possibile mantenere i propri asset fossili.

La nostra Eni, sottolinea Carbon Tracker, non fa eccezione; anche se dalla tabella seguente (tratta dallo studio, cliccare sopra per ingrandire), emerge che il colosso petrolifero italiano è quello che sulla carta ha i traguardi più solidi dal punto di vista ambientale.

Il cane a sei zampe, infatti, intende ridurre del 35% al 2030 le sue emissioni in termini assoluti, includendo tutte le sue attività e anche gli utilizzi da parte dei clienti finali dei combustibili fossili prodotti e commercializzati (emissioni cosiddette Scope 1, 2 e 3).

Tuttavia, la stessa Eni prevede di impiegare su larga scala le tecnologie di mitigazione, che però non possono risolvere il problema alla base: un esempio è dato dagli impianti CCS (Carbon capture and storage) che Eni vuole costruire in Gran Bretagna e a Ravenna, ognuno dei quali dovrà catturare 10 milioni di tonnellate di CO2/anno entro il 2030 dai processi industriali.

Non si tratta, pertanto, di ridurre direttamente le emissioni delle proprie operazioni, ad esempio diminuendo la produzione di gas e petrolio e investendo in energie rinnovabili.

Strategie di questo tipo consentono ai petrolieri di conservare il proprio core business e addirittura aumentare gli investimenti oil & gas nel breve e medio termine, con relative emissioni di gas serra.

Repsol, Total, Shell, Chevron e gli altri big del petrolio: tutti ricorrono a questo stratagemma, come emerge dalle analisi di Carbon Tracker.

Il rapporto del think tank si collega allora alle considerazioni del rapporto Ipcc sul clima uscito ad aprile, dedicato alle soluzioni per mitigare il cambiamento climatico.

Gli strumenti per fermare il surriscaldamento globale ci sono tutti, dalle tecnologie a costi competitivi, alla finanza e alle competenze, ma manca la volontà politica, mentre le aziende oil&gas continuano a investire massicciamente in nuove risorse di idrocarburi.

Tanto che un recente studio pubblicato su Energy Policy ha individuato 195 “bombe al carbonio”, cioè maxi progetti nel settore gas e petrolio in tutto il mondo che complessivamente potrebbero rilasciare in atmosfera oltre 600 miliardi di tonnellate di CO2, impedendo così di raggiungere gli obiettivi climatici internazionali indicati a Parigi nel 2015.

Una via di uscita è data dalle fonti rinnovabili: secondo le stesse analisi Ipcc, eolico e fotovoltaico sono le due tecnologie che possono contribuire più di tutte le altre a ridurre le emissioni di CO2, spesso a costo zero oppure a un costo molto basso rispetto alle alternative fossili.

Intanto le probabilità di superare il limite di +1,5 °C di surriscaldamento globale, rispetto al periodo preindustriale, in almeno uno dei prossimi cinque anni, aumentano sempre di più.

Ora sono del 48% secondo i dati diffusi dalla World Meteorological Organization e UK Met Office, confermando, ancora una volta, la velocità con cui avanza il cambiamento climatico e la necessità di ridurre rapidamente e in profondità le emissioni di CO2.

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