Eolico e fotovoltaico, le tecnologie più convenienti per mitigare i cambiamenti climatici

  • 13 Aprile 2022

La strada più veloce per limitare il surriscaldamento globale è quella delle rinnovabili. Ma ci serviranno anche le tecnologie per catturare l'anidride carbonica? Dati e analisi dai rapporti Ipcc e Iea.

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Eolico e fotovoltaico sono le due tecnologie che possono contribuire più di tutte le altre a ridurre le emissioni di CO2, spesso a costo zero oppure a un costo molto basso rispetto alle alternative fossili.

Questo è il senso di un grafico molto importante contenuto nel rapporto Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) uscito lunedì 4 aprile e dedicato alla mitigazione dei cambiamenti climatici: quali soluzioni abbiamo a disposizione per diminuire complessivamente le emissioni di gas serra, e quanto ci costano in termini economici?

Il punto è che tagliare subito le emissioni, usando le rinnovabili al posto di carbone, gas e petrolio, è molto più conveniente che rimuoverle dopo.

Anche se dovremo in parte ricorrere alle tecnologie per rimuovere la CO2 già emessa in atmosfera, per completare il percorso di azzeramento delle emissioni entro metà secolo (net-zero 2050). Pare che su questo punto concordino sia gli scienziati Ipcc che gli esperti della Iea (International energy agency).

Per una sintesi generale della rassegna scientifica globale sui cambiamenti climatici rimandiamo al nostro articolo precedente: Avremmo tutto per agire sul clima: tecnologie, soldi, competenze. Ma la volontà politica dov’è?

Qui sotto vedete il grafico tratto dalla sintesi per i decisori politici del rapporto Ipcc.

Sul lato sinistro del grafico, ci sono le diverse opzioni per mitigare il cambiamento climatico riducendo le emissioni di CO2, suddivise per settori: produzione di energia, edifici, trasporti e così via (AFOLU sta per “agriculture, forestry and other land use”, cioè agricoltura, silvicoltura e altri utilizzi dei suoli).

Sulla destra, invece, è riportato il contributo potenziale di ogni singola tecnologia alla riduzione netta delle emissioni, espresso in Gt (giga-tonnellate, cioè miliardi di tonnellate) di CO2 equivalente/anno al 2030 relativamente allo scenario di riferimento, che riflette le politiche in atto nel periodo 2015-2019.

Bisogna poi prestare attenzione ai colori delle barrette orizzontali (le linee nere parzialmente sovrapposte alle barrette indicano il range di incertezza dei potenziali contributi, da un minimo a un massimo). Il segmento blu, infatti, significa che fino a quel punto una data tecnologia di mitigazione climatica è più economica da implementare, e quindi più competitiva, rispetto alla tecnologia di riferimento ad alte emissioni.

Perché le rinnovabili vincono

Facciamo un esempio: produrre energia con impianti eolici ha un potenziale di riduzione delle emissioni tra 2,1 e 5,6 miliardi di tonnellate/anno di CO2 nel 2030, in buona parte (segmento blu della barretta) a un costo più basso rispetto a quello degli impianti fossili a gas o carbone.

Mentre il fotovoltaico ha un potenziale di riduzione stimato in 2-7 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente/anno nel 2030, con una forchetta di costo che va da meno di zero a 100 $ per tonnellata di CO2.

È bene precisare, infatti, che il grafico mostra quanto costa “evitare” una singola tonnellata di CO2: tale costo può essere negativo (inferiore allo zero), quando una determinata tecnologia di mitigazione è più competitiva in confronto allo status quo. È il caso della maggior parte delle rinnovabili (eolico e fotovoltaico) vs gli impianti di generazione elettrica alimentati da combustibili fossili.

Costruire un nuovo parco eolico o fotovoltaico, in quasi tutti i mercati, oggi costa meno che costruire una nuova centrale fossile e quindi si possono evitare le relative emissioni di CO2 senza dover sopportare un onere aggiuntivo.

Al contrario, le tonalità di giallo-rosso delle barrette nel grafico indicano che ogni tonnellata evitata di CO2 ha un suo prezzo, tra 0-20 dollari per tonnellata di CO2eq fino a 100-200 $ per le tecnologie di mitigazione meno competitive.

Tra queste ultime ci sono, ad esempio, le tecnologie CCS (Carbon capture and storage) con cui catturare le emissioni di anidride carbonica delle industrie per poi stoccarle nel sottosuolo.

Quanto è costoso catturare la CO2

Tra i tanti esempi di CCS inefficiente e costosa ricordiamo il caso di uno stabilimento petrolchimico di Shell in Canada, che produce idrogeno da gas fossile. In pratica, oltre metà delle emissioni sfugge al sistema di cattura.

Tuttavia, lo stesso rapporto Ipcc afferma che in futuro sarà “inevitabile” utilizzare su vasta scala tecnologie finalizzate a rimuovere la CO2 emessa in precedenza in atmosfera (carbon removal), se si vorrà contenere a +1,5 °C il surriscaldamento globale, come previsto dagli accordi di Parigi, e così azzerare le emissioni nette di anidride carbonica.

Tra le soluzioni disponibili si parla in modo particolare della DAC, Direct air capture, vale a dire, impianti che filtrano aria “succhiando” direttamente la CO2 in essa contenuta e poi la immagazzinano in qualche modo, ad esempio in formazioni geologiche sotterranee.

La Iea ha pubblicato pochi giorni fa un rapporto (link in basso) interamente dedicato a questa tecnologia.

Un esempio di impianto DAC pioneristico è quello entrato in funzione a fine 2021 in Islanda e realizzato dalla società svizzera Climeworks.

Orca – così è stato battezzato il sistema islandese – è in grado di catturare fino a 4.000 tonnellate di anidride carbonica in un anno, equivalenti alle emissioni totali annuali di circa 790 automobili.

Quindi si tratta proprio di una goccia in un oceano, considerando che nel 2020 le emissioni complessive di CO2 hanno superato 31 miliardi di tonnellate (fonte Iea).

Senza dimenticare che rimuovere una singola tonnellata di CO2 con la DAC ha un costo esorbitante al momento, tra 600-800 dollari secondo la stima che aveva riportato al Washington Post Christoph Gebald, uno dei due fondatori di Climeworks, mentre bisognerebbe scendere almeno a 100-150 $/ton per avere un profitto senza necessità di sussidi statali.

La Iea tiene a precisare che investire in tecnologie per rimuovere la CO2 non è una scusa – come sostengono le associazioni ambientaliste – per ritardare i tagli alle emissioni né una alternativa alle politiche incentrate sulle rinnovabili. Fa parte, invece, di un pacchetto di soluzioni che consentiranno di sviluppare un mix energetico net-zero, eliminando le emissioni residue di determinati settori difficili da decarbonizzare, come aviazione, agricoltura e allevamenti, industrie pesanti.

Secondo la Iea, gli impianti DAC dovrebbero catturare 85 milioni di tonnellate di CO2/anno nel 2030 a livello globale, per poi salire a 980 Mt nel 2050 (oggi siamo intorno a 0,01 Mt).

Però questa tecnologia è ancora ai primi stadi di sviluppo ed è molto lontana da una maturità commerciale; si dovrà investire molto in ricerca e innovazione, abbatterne i costi e cercare sbocchi di mercato per la CO2 catturata, ad esempio per la produzione di carburanti sintetici green per aviazione, usando CO2 e idrogeno.

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