Emissioni. Serve una doppia uscita, dalle fonti fossili e dagli allevamenti intensivi

Associazioni ambientaliste e per il benessere animale denunciano i finanziamenti delle banche alle grandi industrie della carne, responsabili di elevatissime emissioni di gas serra.

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Per il clima e la transizione energetica è importante non solo uscire gradualmente dai combustibili fossili, ma anche dagli allevamenti intensivi di bovini, polli, maiali, responsabili di elevatissime emissioni di gas serra, per non parlare delle condizioni terribili di vita degli animali, dell’uso massiccio di antibiotici e via discorrendo.

Il tema è spesso sottovalutato nelle analisi su come decarbonizzare le nostre economie, ma è tornato alla ribalta grazie all’attività di alcune associazioni ambientaliste e del benessere animale, che hanno denunciato i cospicui finanziamenti delle banche alle corporation alimentari che gestiscono gli allevamenti industriali.

Dalla Cina agli Stati Uniti, gli esempi di questi finanziamenti “sporchi” sono numerosi.

Partiamo dalla Banca Mondiale: diverse associazioni, tra cui Friends of the Earth e Compassion in World Farming, chiedono di non finanziare più i progetti per gli allevamenti su scala industriale.

Lo riporta un articolo del Guardian, in cui si parla di 1,6 miliardi di $ destinati a queste attività tra 2017 e 2023 dall’International Finance Corporation (IFC), istituzione che fa parte della World Bank ed è focalizzata sugli investimenti privati nelle economie in via di sviluppo.

A giugno dell’anno scorso, l’IFC aveva approvato un prestito da oltre 47 milioni di dollari alla compagnia cinese Guangxi Yangxiang per realizzare allevamenti di suini in torri multipiano, anche note come “hog hotels” (alberghi dei maiali).

Operazioni di questo tipo, secondo le associazioni che le contestano, sono in contrasto con gli impegni climatici della Banca Mondiale e con le politiche di sostenibilità ambientale, sicurezza alimentare e benessere degli animali.

Queste torri sono delle “fabbriche di carne” che utilizzano anche il cloud computing e l’intelligenza artificiale per ottimizzare le rese degli allevamenti secondo molteplici parametri, come numero di capi, mangimi, farmaci somministrati e così via.

Più in generale, i rischi e problemi connessi agli allevamenti intensivi sono noti: in particolare, da essi derivano elevate emissioni di metano (potente gas serra prodotto dalla fermentazione enterica del bestiame, cioè dalla loro digestione oltre che dal letame) e di ossidi di azoto, per via dell’uso crescente di fertilizzanti chimici.

Gli allevamenti sono anche responsabili di emissioni indirette, come quelle associate alla deforestazione per creare nuovi spazi per i pascoli e per coltivare i foraggi per il bestiame, con conseguente perdita di biodiversità ed ecosistemi in grado di assorbire anidride carbonica.

Su questi temi è difficile aggirare gli interessi delle lobby di agricoltori e allevatori: tanto che il Parlamento Ue in plenaria, a luglio 2023, ha bocciato la proposta di includere gli allevamenti bovini nella direttiva sulle emissioni industriali, segnando una vittoria per i partiti conservatori che appoggiavano le richieste lobbistiche.

In Italia, Coldiretti nel plaudere al voto di Strasburgo aveva parlato di una “norma ammazza stalle”.

Stimare con precisione l’impatto ambientale degli allevamenti è tuttavia complicato. È utile qui citare nuovamente uno studio pubblicato su Nature nel 2021 (Xiaming, Shatma et al. 2021 – pdf), secondo cui la produzione di cibo a livello globale è responsabile di circa un terzo di tutti i gas serra dovuti alle attività umane.

Di questo, il 57% è dovuto alla filiera del cibo animale (carne, uova, latticini, eccetera), contro il 29% delle colture vegetali.

Intanto negli Stati Uniti, tra il 2016 e il 2023, 58 banche hanno fornito 134 miliardi di $ in prestiti e sottoscrizioni a società di carne, latticini, mangimi per animali, trasformazione alimentare e prodotti agricoli, secondo il rapporto “Bull in Climate Shop”, condotto dalla società olandese di ricerca Profundo e Friends of the Earth Usa.

Più della metà dei finanziamenti esaminati nello studio, rimarca una nota, proviene da tre grandi istituti finanziari: Bank of America, Citigroup e JPMorgan Chase.

Queste aziende del settore alimentare rappresentano solo una minima parte dei portafogli delle banche Usa, lo 0,25%; eppure, valgono ben l’11% delle emissioni totali di gas serra legate alle diverse attività finanziate dalle banche stesse.

Ciò conferma quanto sia impattante sull’ambiente l’industria della carne, e quanto possa allontanare chi ci investe dal raggiungere i suoi obiettivi climatici.

Dal rapporto emerge che le 56 più grandi aziende coinvolte nella produzione di carne, latticini e/o mangimi esaminate, producono ogni anno più emissioni equivalenti di anidride carbonica (CO2e) dell’intero Giappone, l’ottavo Paese al mondo quanto a emissioni nazionali.

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