Direttiva Case Green, l’Italia si prepara a votare contro

Venerdì la ratifica, ma i Paesi si sono già espressi oggi in una riunione a porte chiuse. A fianco del nostro paese solo l'Ungheria. Altri Stati si asterranno, ma l'approvazione dovrebbe essere comunque garantita.

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L’Italia, assieme all’Ungheria, si prepara a un’ultima vana resistenza contro la Epbd, la cosiddetta direttiva Case Green, approvata dal Parlamento europeo lo scorso 12 marzo, a cui manca solo l’approvazione degli Stati membri.

La decisione, a quanto apprende QualEnergia.it, dopo l’espressione dell’intenzione di voto con procedura scritta arrivata venerdì scorso, è stata confermata oggi, in un incontro a porte chiuse dei rappresentanti degli Stati del Coreper.

Nella riunione riservata di oggi, secondo indiscrezioni, Roma e Budapest hanno annunciato che voteranno contro la nuova direttiva, la Polonia ha confermato che si asterrà, insieme a Slovacchia e Croazia; mentre tra i Paesi che avevano espresso una riserva d’esame (tra cui Svezia e Repubblica Ceca), Malta ha chiarito che voterà a favore.

Il voto ufficiale dovrebbe arrivare venerdì 12 aprile al Consiglio Ecofin, che, secondo quanto ci spiega chi sta seguendo il dossier, salvo colpi di scena, dovrebbe limitarsi a ratificare le posizioni già prese dai paesi.

Stando così gli schieramenti, l’approvazione della Epbd è comunque assicurata: il voto contrario italiano sembra essere mosso più da una ribellione politica, magari in vista delle elezioni europee di giugno, che da una volontà reale di fermare la contestata direttiva.

La direttiva Epbd ha suscitato parecchi malumori soprattutto in Italia durante il suo tormentato iter di approvazione in sede Ue. Tanto che già a marzo del 2023 alla Camera era stata approvata dalla maggioranza una mozione contraria in cui si parlava, ancora una volta, di “attacco al patrimonio edilizio italiano” a causa degli obblighi di riqualificazione imposti dalla nuova normativa.

Cosa prevede la direttiva

Il testo della Epbd approvato a Strasburgo a marzo è quello uscito dal voto della commissione Industria, ricerca ed energia (Itre) il 15 gennaio, considerato “annacquato” da diversi osservatori rispetto alle iniziali intenzioni della Commissione Ue.

Bruxelles puntava a introdurre un obbligo di intervenire sugli immobili residenziali con le prestazioni energetiche peggiori, portandoli almeno in classe E entro il 2030 e in classe D entro il 2033. Posizione che aveva innescato le critiche di diversi governi nazionali.

Il testo attuale, invece, prevede che gli Stati membri riducano il consumo medio di energia primaria degli edifici residenziali del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035, con il 55% di questa riduzione che dovrà arrivare dalla ristrutturazione degli edifici con le prestazioni peggiori.

Ciò lascia un margine di manovra molto ampio ai governi su dove e come intervenire.

Per quanto riguarda gli immobili non residenziali, gli Stati membri dovranno ristrutturare il 16% degli edifici con le peggiori prestazioni entro il 2030 e il 26% entro il 2033.

Venendo al tema dell’abbandono dei combustibili fossili, le caldaie a metano saranno messe al bando dal 2040, facendo slittare di 5 anni in avanti il termine ipotizzato inizialmente dalla Commissione. Dal prossimo anno però saranno già vietati gli incentivi per installarle, mentre saranno promossi quelli per sistemi di riscaldamento ibridi, ad esempio gli impianti che combinano caldaie e pompe di calore o solare termico.

Altri punti importanti riguardano gli obblighi progressivi di installazione di impianti fotovoltaici, partendo dal 2027 da tutti i nuovi immobili non residenziali con superficie utile superiore a 250 mq.

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