Direttiva Case Green, la versione finale votata dalla commissione Itre

La direttiva EPBD ha ormai preso la sua forma definitiva. Il testo concordato tra Consiglio, Parlamento e Commissione, votato dalla commissione Industria dell'Europarlamento.

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La EPBD, la cosiddetta direttiva Case Green, è ormai definita: lunedì, il 15 gennaio, con 38 voti favorevoli, 20 contrari e 6 astenuti, la commissione Industria, ricerca ed energia (Itre) dell’Europarlamento ha approvato l’accordo sulla revisione della direttiva, concordato nel trilogo tra Commissione, Parlamento e Consiglio. Ora manca solo il voto della plenaria e la ratifica del Consiglio.

Il compromesso del trilogo, ricordiamo, era stato raggiunto lo scorso 7 dicembre, su un testo nettamente meno ambizioso di quello proposto dalla Commissione: trovate in basso la versione votata dalla Itre lunedì.

Bruxelles puntava a introdurre un obbligo di intervenire sugli immobili residenziali con le prestazioni energetiche peggiori, portandoli almeno in classe E entro il 2030 e in classe D entro il 2033. Ciò aveva innescato le critiche di vari governi, con in testa la destra italiana che aveva parlato di un vero “attacco alla casa e ai diritti dei proprietari”.

Nel testo attuale l’approccio è cambiato: gli Stati membri dovranno ridurre il consumo medio di energia primaria degli edifici residenziali del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035, con il 55% di questa riduzione che dovrà arrivare dalla ristrutturazione degli edifici con le prestazioni peggiori.

Ciò lascia un margine di manovra molto ampio ai governi su dove e come intervenire e sono previste anche molte eccezioni, ad esempio per edifici storici, luoghi di culto, case indipendenti più piccole di 50 metri quadrati, edifici delle forze armate.

Per quanto riguarda, invece, gli standard minimi di prestazione energetica per gli immobili non residenziali, gli Stati membri dovranno ristrutturare il 16% degli edifici non residenziali con le peggiori prestazioni entro il 2030 e il 26% entro il 2033.

In tema di caldaie, il testo concordato tra Parlamento e Consiglio e ora votato dalla Itre prevede che i governi adottino misure volte a eliminare gradualmente l’uso di combustibili fossili entro il 2040 (mentre la Commissione proponeva il 2035).

Dal 2025 non si potrà più sovvenzionare l’installazione di caldaie autonome alimentate a gas o con altre fonti fossili; si potranno però mantenere incentivi per sistemi di riscaldamento ibridi, come quelli che abbinano generatori a gas con pompe di calore o solare termico.

Altri punti importanti riguardano gli obblighi progressivi di installazione di impianti solari sugli edifici, se fattibile dal punto di vista tecnico ed economico, partendo da tutti i nuovi immobili non residenziali con superficie utile superiore a 250 mq, dal 2027.

Dal 2028, tutti i nuovi edifici pubblici dovranno essere a zero emissioni e dal 2030 dovranno rispettare questo requisito tutte le nuove costruzioni, comprese quelle residenziali.

Sul nuovo testo della direttiva, già alla notizia dell’accordo erano piovute diverse critiche. Tra le prime, quelle dell’European Environmental Bureau (EEB), vasta rete di organizzazioni ambientaliste europee, di cui fa parte anche Legambiente.

In una nota si parla di una direttiva “fortemente indebolita” che ha lasciato troppo spazio alla lobby dei combustibili fossili.

I legislatori, afferma l’EEB, “hanno diluito gli standard minimi di prestazione energetica per gli edifici residenziali” perché il testo rivisto “consente ai Paesi di scegliere la propria strategia di ristrutturazione, anziché concentrarsi in modo armonizzato sugli edifici con le prestazioni più basse e sulle famiglie a basso reddito”.

Inoltre, secondo le associazioni ambientaliste, la definizione di edificio a emissioni zero (ZEB: Zero Emissions Building) “è ancora piena di lacune e non richiede che le nuove costruzioni diano priorità alle energie rinnovabili, senza lasciare alcuna garanzia che tutte le nuove case saranno prive di combustibili fossili a partire dal 2030”.

Anche le misure per eliminare le caldaie a fonti fossili sono insufficienti, perché “sono ampiamente soggette a interpretazione nazionale e non abbastanza ambiziose da raggiungere gli obiettivi di neutralità carbonica dell’Ue”.

Ora l’accordo sulla direttiva EPBD – un pilastro del Green Deal europeo – dovrà essere approvato formalmente da Parlamento e Consiglio prima di diventare legge.

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