L’Europa vuole o non vuole il gas nella transizione energetica?

Il punto della situazione dopo le decisioni sul budget Ue e sul Just Transition Fund al Consiglio dell'Ue.

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L’Europa sta cercando di mettere in campo una politica di finanziamenti orientata alla ripresa economica “verde”, eliminando il supporto Ue ai progetti nelle energie fossili, compreso il gas.

Ci sta riuscendo? Facciamo il punto alla luce degli ultimi sviluppi.

Consiglio dell’Ue: niente gas nel fondo per la transizione

Partiamo da mercoledì 16 dicembre, quando il Consiglio dell’Ue – l’istituzione formata dai ministri dei singoli Stati membri e che quindi rappresenta i governi – ha approvato l’accordo politico con l’Europarlamento sul JTF (Just Transition Fund), il fondo per la transizione “giusta” (nel senso di equa e sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale) da 17,5 miliardi di euro.

Il fondo, spiega una nota del Consiglio dell’Unione europea, si concentra sulle regioni che devono abbandonare gradualmente la produzione e l’utilizzo di carbone/lignite e che devono trasformare le loro industrie pesanti con investimenti in efficienza energetica e fonti rinnovabili.

E l’accordo conferma l’orientamento “no gas” che sta prevalendo in alcune decisioni della politica Ue.

Il JTF, infatti, evidenzia la nota (neretti nostri), “non sosterrà alcun investimento connesso ai combustibili fossili, compreso il gas naturale, e non può essere utilizzato per la disattivazione o la costruzione di centrali nucleari […]”.

Così il testo finale del regolamento del fondo, termina la nota, sarà definito nei primi mesi del 2021 sotto la presidenza portoghese del Consiglio.

Ricordiamo che il JTF sarà finanziato con 7,5 miliardi di euro dal budget pluriennale 2021-2027 e con 10 miliardi dallo strumento Next Generation EU.

Poi, ieri,  giovedì 17 dicembre, il Consiglio dell’Ue ha adottato il budget comunitario 2021-2017 da 1.000 miliardi di euro: è il passaggio finale nel processo di adozione da parte delle istituzioni europee (a metà novembre c’era stato l’accordo politico tra Consiglio e Parlamento).

In totale, sommando i 750 miliardi del Recovery Fund, gli Stati membri potranno contare su 1.800 miliardi di euro di finanziamenti in sette anni.

Ricordiamo che un terzo del budget europeo dovrà essere speso per iniziative e progetti contro il cambiamento climatico.

Ma per il Consiglio europeo il gas è una tecnologia “di transizione”

Il ruolo futuro del gas resta però con dei contorni sfumati.

Nelle conclusioni del Consiglio europeo (che a differenza del Consiglio Ue riunisce oltre ai capi di Stato, il presidente della Commissione) di venerdì scorso, 11 dicembre, si legge infatti che gli Stati membri hanno il diritto (corsivo e neretti nostri) “di decidere in merito ai rispettivi mix energetici e di scegliere le tecnologie più appropriate per conseguire collettivamente l’obiettivo climatico 2030, comprese le tecnologie di transizione come il gas”.

Pertanto il gas è riconosciuto chiaramente come risorsa energetica di transizione, vale a dire, che può fare “da ponte” nel passaggio dai combustibili fossili alle tecnologie rinnovabili.

Ma la Commissione europea, nella proposta di regolamento delegato sui requisiti tecnici che consentono di stabilire se un’attività economica è sostenibile dal punto di vista ambientale, ha inserito la produzione di elettricità con centrali a gas che emettono meno di 100 grammi di CO2e per kWh.

Un requisito, quest’ultimo, molto stringente che, di fatto, elimina tutti gli impianti sprovvisti di sistemi CCS (carbon capture and storage) con cui catturare l’anidride carbonica.

Invece, nella politica di finanziamento della Bei (Banca europea per gli investimenti) in ambito energetico, sono ammessi i contributi alle centrali fossili che producono energia elettrica con emissioni inferiori a 250 grammi di CO2 per kWh, una soglia ben più elevata in confronto a quella proposta da Bruxelles.

Il Consiglio europeo nell’ultima seduta ha anche deciso di tagliare del 55% le emissioni di CO2 al 2030, in confronto ai livelli del 1990.

La Commissione Ue non vuole più il gas nei corridoi dell’energia

Intanto la Commissione Ue ha proposto di aggiornare il regolamento TEN-E (Trans-European Networks for Energy), per trasformare le reti energetiche trans-europee in linea con il Green Deal.

In particolare, Bruxelles propone di escludere dai finanziamenti europei, nell’ambito dei progetti di interesse comune (PCI: Projects of common interest), tutte le infrastrutture dell’energia che riguardano il petrolio e il gas naturale.

In generale, afferma la Commissione Ue in una nota, è previsto l’obbligo, per tutti i progetti, di soddisfare criteri vincolanti di sostenibilità ambientale e rispettare il principio del “non nuocere” (all’ambiente) stabilito nel Green Deal.

Negli ultimi anni il gas ha ottenuto ampio supporto dalla politica europea delle reti energetiche.

Tra i tanti PCI per il gas approvati finora a livello Ue, alcuni interessano l’Italia, tra cui il gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline) del corridoio Sud, che ha iniziato le attività commerciali nelle scorse settimane, oltre al gasdotto Italia-Malta e quello Ungheria-Italia via Slovenia.

Ora invece la Commissione Ue scommette di più sulle reti elettriche, in modo da favorire lo sviluppo delle fonti rinnovabili con particolare attenzione ai grandi parchi eolici offshore e alle relative interconnessioni, come stabilito nella strategia Ue sulle rinnovabili marine presentata a metà novembre.

Si punta, infatti, a facilitare la realizzazione di parchi offshore “ibridi”, vale a dire, connessi alle reti elettriche nazionali di due o più Paesi, ottimizzando così i costi di connessione e valorizzando il più possibile le infrastrutture comuni (cavi sottomarini, stazioni/sottostazioni elettriche e così via).

L’altra scommessa di Bruxelles è su idrogeno e gas a basso impatto ambientale, come il biometano (si parla di “green gas” oppure di “low-carbon gas”).

In sostanza, quando parla di gas, Bruxelles propone di finanziare solamente i progetti per adattare le reti esistenti al trasporto di idrogeno e altri gas puliti (biometano, metano sintetico), nell’ambito della nuova categoria “smart gas grids” che comprende anche investimenti in elettrolizzatori (per produrre idrogeno) da almeno 100 MW di capacità.

Insomma sul gas la politica di Bruxelles è ancora molto contraddittoria.

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