Le implicazioni geopolitiche della transizione dalle fossili alle rinnovabili

Come dovranno adattarsi i Paesi a un mondo in cui la produzione energetica sarà sempre più basata su rinnovabili ed elettrificazione. Un'analisi dell'Agenzia internazionale per le energie rinnovabili.

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Passando dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, si dovrà riconsiderare alla base il concetto di sicurezza energetica, che risentirà di tutti i cambiamenti che le nuove fonti apporteranno ai rapporti di forza tra i Paesi e al commercio.

Le fonti rinnovabili sono destinate a portare maggiore resilienza, soprattutto attraverso il decentramento della produzione, e una maggiore dipendenza regionale e nazionale.

“È fondamentale modellare in modo proattivo questa resilienza con politiche e investimenti lungimiranti”, ammonisce Francesco La Camera, direttore generale dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena), che ha appena pubblicato un report dal titolo “Geopolitics of the energy transition” (link in basso) per mettere in guardia i decisori globali sulle conseguenze della transizione.

Un passaggio che interesserà le tecnologie e le rispettive catene del valore, come la flessibilità del sistema di trasmissione e la crescente domanda di energia e la sicurezza dei consumatori. I principali cambiamenti geopolitici – sostengono gli analisti di Irena – sono destinati a influenzare profondamente le dinamiche del commercio energetico e ad alterare i rapporti di dipendenza. Il commercio transfrontaliero di elettricità, ad esempio, aumenterà di importanza, favorendo vantaggi reciproci, in contrasto con le dipendenze asimmetriche del settore oil&gas.

La crescente elettrificazione è uno dei tratti distintivi della transizione energetica globale. Come risultato delle tendenze attuali, secondo l’Irena la domanda globale di elettricità aumenterà di quasi il 220% da oggi al 2050.

Nella maggior parte dei Paesi, l’energia elettrica è il 20-30% del consumo finale di energia, con picchi del 40% in Paesi come Islanda, Norvegia e Svezia. Attualmente l’elettricità importata costituisce la maggior parte dell’approvvigionamento elettrico nei Paesi più piccoli, come Gibuti (90%), Lussemburgo (82%), Lituania (67%), Belize (35%) e Nepal (31%).

Il grafico in basso mostra importatori ed esportatori al 2022 secondo i dati dell’Irena. EnAppSys, società britannica di consulenza e raccolta dati sull’energia, fornisce numeri più dettagliati e riporta come nei primi sei mesi del 2022 l’Italia abbia mantenuto il primato di Paese europeo che importa più energia elettrica, 22 TWh complessivi (9,6 TWh dalla Svizzera e 6,7 TWh dalla Francia).

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Oltre a favorire l’elettrificazione, le rinnovabili vengono considerate migliori dei combustibili fossili dal punto di vista della sicurezza energetica globale, in quanto attingono a fonti di energia che non possono essere facilmente interrotte per scopi geopolitici.

E anche se per alcune tecnologie esistono già degli squilibri (e quindi delle dipendenze), ad esempio sui pannelli fotovoltaici dalla Cina, non potranno mai essere paragonate alle dipendenze da fossili: un’interruzione della fornitura di componenti per gli impianti solari potrà portare a un ritardo nella diffusione dei moduli, ma non influisce sul funzionamento di quelli già installati.

Se uno Stato decidesse invece di tagliare improvvisamente le forniture di gas, gli effetti sarebbero pressoché immediati. Lo si è visto ad esempio con lo scoppio della guerra in Ucraina e la corsa agli approvvigionamenti in Nord Africa e in altre aree del mondo.

Allo stesso modo l’interruzione brusca della fornitura di minerali critici (con una forte dipendenza sempre dalla Cina) non comporterebbe un’immediata carenza di energia o un’impennata dei prezzi. Inoltre, nel medio-lungo termine, i minerali possono essere riciclati, attutendo gli effetti dell’interruzione. Il passaggio alle energie rinnovabili riduce quindi significativamente il rischio di blocchi nell’approvvigionamento energetico.

Nelle economie altamente elettrificate, l’attenzione si sposterà su altri fattori, come l’accesso alla tecnologia, le capacità produttive e di innovazione, la disponibilità di manodopera qualificata.

Le Fer sono anche più “democratiche”: le riserve di combustibili fossili sono concentrate in un numero limitato di Paesi, con la maggior parte del mondo costretto ad importarli: il petrolio è il primo prodotto importato (in termini di valore) in 128 Paesi. La maggior parte degli Stati del mondo è importatrice netta di combustibili fossili e circa 8,1 miliardi di persone – ovvero l’86% della popolazione mondiale – vive in questi Paesi.

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Mentre le risorse in sé rimangono insensibili alle interruzioni di fornitura guidate da motivi geopolitici, per averne accesso sono determinanti le tecnologie che si hanno a disposizione, che possono rivelarsi non alla portata di alcune economie emergenti e in via di sviluppo. È quindi urgente – puntualizza Irena – facilitare i trasferimenti di tecnologie e garantire un accesso equo ai diritti di proprietà intellettuale per incoraggiare la più ampia diffusione possibile.

Le sinergie tra Paesi vicini saranno favorite anche dalla stessa elettrificazione del sistema energetico globale. L’energia rinnovabile viene infatti prodotta e scambiata soprattutto a livello locale o regionale: a differenza del petrolio o del gas, che possono essere trasportati in modo relativamente efficiente su lunghe distanze (attraverso oleodotti o navi cisterna), la trasmissione dell’elettricità ha diversi limiti in fatto di infrastrutture.

Secondo il think tank britannico Ember, ad esempio, nel 2022, solo il 9,4% di tutta l’elettricità consumata a livello globale è stata trasportata oltre confine, anche se la quota è aumentata negli ultimi anni.

Provando a immaginare di ottimizzare il commercio energetico in un sistema completamente decarbonizzato anche su lunghe distanze, nel 2022 Irena ha condotto un’analisi basandosi sull’ idrogeno verde, il veicolo migliore per questo genere di scambi.

È emerso che entro il 2050, in base a ipotesi ottimistiche, circa un quarto della domanda globale di idrogeno potrebbe essere soddisfatto attraverso il commercio internazionale, mentre i restanti tre quarti verrebbero prodotti e utilizzati a livello nazionale. Della quantità messa in commercio, il 55% verrebbe trasportato attraverso le condutture e il restante 45% come ammoniaca (o altro liquido).

Insomma, con l’aumento della quota di fonti rinnovabili nel mix energetico le politiche di approvvigionamento devono cambiare alla radice. Se un tempo la preoccupazione principale riguardava l’accesso alle fonti energetiche fisiche (petrolio, gas, carbone), ora è una questione di governance internazionale che deve puntare a garantire un servizio senza interruzioni.

Questo cambiamento rimodellerà le relazioni energetiche internazionali, riducendo l’influenza geopolitica e commerciale di petrolio e gas ed aumentando il peso e il ruolo dell’elettrificazione, del commercio transfrontaliero e dell’accesso alla tecnologia. Gli investimenti e gli sforzi dei governi allora dovranno andare in questa direzione se non vorranno farsi trovare impreparati.

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