Al G7 Ambiente un accordo annacquato sullo stop al carbone

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I grandi del mondo decidono di abbandonare gradualmente la generazione elettrica con questa fonte fossile, ma solo negli impianti "unabated" (senza cattura della CO2). E spingono sul nucleare. L'Italia resta isolata sui biocarburanti.

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Il messaggio più atteso nel comunicato che segna la conclusione del G7 Ambiente, Energia e Clima di Torino era una data, quella sullo stop definitivo al carbone.

Quella scadenza è stata fissata, ma con contorni più sfumati rispetto a quanto filtrato nella giornata di ieri.

I grandi del mondo, infatti, si sono accordati “sull’eliminazione graduale della produzione di energia elettrica da carbone nei sistemi energetici”, ma solo negli impianti “unabated” (cioè privi di sistemi di abbattimento delle emissioni, come la Ccs), entro la metà del prossimo decennio “o in un lasso di tempo coerente con l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5 °C”, si legge nella risoluzione del vertice (link in basso).

Al tavolo erano presenti i ministri dell’Ambiente di Italia, Francia, Germania, Canada, Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, oltre a un rappresentante della Commissione europea (Wopke Hoekstra, commissario europeo per l’Azione per il clima) e delle presidenze della Cop 28 (Emirati Arabi) e della Cop 29 (Azerbaijan). Presenti anche i rappresentanti del Brasile quale presidenza di turno del G20 e di Arabia Saudita, Mauritania, Kenya, Algeria e Banca africana di sviluppo.

Tutti riuniti all’interno della Reggia di Venaria per dare seguito ai propositi affrontati nel corso della Cop 28 di Dubai e apparecchiare la tavola per la Cop 29 di Baku.

Ieri il ministro inglese delle Rinnovabili e del Nucleare, Andrew Bowie, aveva rivelato l’esistenza di un accordo per l’uscita dal carbone “nella prima metà degli anni 2030”, definendolo un “patto storico che non siamo riusciti a raggiungere alla Cop 28”. La risoluzione di Dubai era infatti molto vaga sulla fuoriuscita dalle fonti fossili, ma il comunicato G7 non è stato da meno.

D’altra parte tutte le economie del G7, eccezion fatta per il Giappone, hanno già da tempo intrapreso un percorso per eliminare il più inquinante dei combustibili fossili. Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Pichetto Fratin ha confermato che per l’Italia continentale la chiusura delle centrali a carbone avverrà entro pochi mesi, mentre in Sardegna lo stop è rimandato al 2027.

“Potremmo spegnere le centrali di Civitavecchia e Brindisi nel corso del 2024, certamente da qui a un anno”, ha detto il ministro. “Eravamo pronti già lo scorso settembre, ma poi ho avuto un ripensamento, temendo che potesse succedere qualcosa a livello geopolitico. E in effetti di lì a poco c’è stato il 7 ottobre e la crisi nello Stretto di Hormuz”.

Altri punti fondamentali della risoluzione del G7 prevedono:

  • contribuire all’obiettivo globale di stoccaggio dell’energia di 1.500 GW nel 2030, un aumento di oltre sei volte rispetto ai 230 GW del 2022, come suggerito dal recente report Iea “Batteries and Secure Energy Transitions”;
  • aumentare significativamente gli investimenti nelle reti di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica entro il 2030, riconoscendo che sono necessari 600 miliardi di dollari all’anno per raggiungere gli obiettivi climatici nazionali annunciati;
  • invitare tutte le principali economie a presentare i propri Nationally Determined Contributions (Ndc) nel 2025, coerenti con l’obiettivo di raggiungere le emissioni zero nei sistemi energetici ben prima o entro il 2050;
  • sviluppare e attuare piani, politiche e azioni nazionali per l’uscita progressiva dai combustibili fossili, compresi sforzi intensi per ridurre la domanda;
  • ribadire che la “tecnologia chiave” della decarbonizzazione dei trasporti è l’elettrico;
  • perseguire uno sforzo collettivo per ridurre del 75% le emissioni globali di metano da combustibili fossili, anche riducendo l’intensità delle emissioni di metano delle operazioni petrolifere e di gas entro il 2030;
  • promuovere una definizione comune di sussidi “inefficienti” ai combustibili fossili nel contesto del G20 e riferire nel 2025 sui progressi compiuti verso l’impegno di eliminarli;
  • dare piena priorità all’energia pulita nel sostegno pubblico internazionale;
  • riconoscere la necessità di sbloccare finanziamenti per il clima nell’ordine di migliaia di miliardi e di andare oltre l’obiettivo dei 100 miliardi di dollari;
  • sostenere i Paesi in via di sviluppo più vulnerabili a stabilire piani di investimento completi per l’adattamento e lanciare il “G7 Adaptation Accelerator Hub” per promuovere partenariati in questi Stati, accelerando l’attuazione dei piani di adattamento nazionali.

Dal think tank italiano ECCO Climate la soddisfazione per l’accordo raggiunto: “Per la prima volta le economie avanzate fissano un obiettivo comune per l’uscita dal carbone nel settore elettrico, con importanti ripercussioni per le economie asiatiche, in particolare Giappone, ma di riflesso anche per Cina e India”, afferma il direttore e co-fondatore Luca Bergamaschi in una nota.

Visto il peso marginale del carbone nel mix elettrico italiano (il 5% nel 2023, ricorda l’associazione) “il vero obiettivo G7 di riferimento per il nostro Paese è il raggiungimento di un sistema elettrico decarbonizzato al 2035”.

Lo scontro sul nucleare

Quanto al nucleare, il vertice ha riconosciuto il ruolo assegnato da alcuni Paesi a questa fonte come strumento per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, rispettando però allo stesso modo la scelta di altri di farne a meno.

Una spinta che è arrivata anche su input del governo italiano. Per WWF Italia il dibattito del nostro Paese si muove “in una dimensione fantasy” sull’argomento, come afferma Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia.

“Mentre tutto il mondo intende perseguire l’obiettivo di triplicare le rinnovabili e raddoppiare d’efficienza energetica – prosegue Midulla – noi perdiamo tempo a parlare di nucleare ben sapendo che il nucleare sicuro a fissione non esiste, e che investendo nei piccoli reattori si riduce la produzione energetica, ma si moltiplicano i costi e si rischia in sicurezza”.

Sul tema lo scontro è stato soprattutto con la Germania: Berlino era contraria a esplicitare il sostegno all’energia derivata dalla fissione nucleare, dopo aver messo fuori servizio la sua ultima centrale un anno fa.

Usa, Canada, Regno Unito, Francia e Giappone hanno fatto da sponda in questo senso all’Italia, che però è rimasta assai più isolata sui biocombustibili, immaginati per far sopravvivere le auto a combustione anche dopo il 2035 (anno della messa a bando prevista dall’Ue). In realtà i “sette grandi” puntano decisamente sull’elettrico per la mobilità su strada, con i biofuel che potrebbero essere una risorsa spendibile più nel settore dell’aviazione.

Si tratta dunque di un cambiamento rispetto al G7 Energia e Clima svoltosi un anno fa a Sapporo, in Giappone, quando i biocarburanti furono inclusi tra le opzioni per eliminare i carburanti fossili dal trasporto stradale.

Le (basse) aspettative sulla COP29

Il prossimo appuntamento in cui ribadire gli obiettivi fissati oggi e aggiungerne eventualmente di nuovi sarà la Cop 29 di novembre a Baku, che, come nel caso della scorsa edizione a Dubai, non lascia presagire svolte epocali.

Il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, ha dichiarato venerdì scorso in un incontro a Berlino che “petrolio e gas sarebbero necessari negli anni a venire” a causa della domanda europea.

Secondo i dati dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, queste due fonti fossili rappresentano circa il 90% dei proventi delle esportazioni dell’Azerbaigian e finanziano circa il 60% del bilancio governativo.

Mentre il Paese sta cercando di aumentare le proprie forniture di energia rinnovabile, sta anche investendo nella produzione di gas per venire incontro alle necessità del Vecchio Continente, acuite dal contesto geopolitico. L’Ue si è infatti rivolta all’Azerbaigian dopo il taglio alle forniture dalla Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina, prendendo accordi per raddoppiare entro il 2027 le importazioni di gas a 20 miliardi di metri cubi.

L’Azerbaigian deve ancora aggiornare i propri piani climatici in vista della Cop 29. L’ultimo piano presentato all’Onu prometteva una riduzione del 40% delle emissioni di gas serra entro il 2050 (rispetto ai livelli del 1990), a condizione di ricevere un largo sostegno economico internazionale.

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