Energia ed elezioni: intervista a Chiara Braga del PD

Un contratto sociale per dare energia da Fer gratis a microimprese e famiglie, semplificazioni, incentivi per l'efficienza nelle industrie e molto altro tra le proposte della responsabile Transizione ecologica del Partito Democratico. La terza di una serie di interviste ad alcuni tra i candidati alle Politiche 2022 più attivi sui temi energetici.

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Dopo aver pubblicato l’analisi dei programmi elettorali del think tank ECCO, continuiamo il nostro giro di colloqui con candidati che, dentro o fuori dal Parlamento, si sono mostrati più attivi sui temi dell’energia.

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Oggi risponde alle nostre domande Chiara Braga, da marzo 2021 responsabile nazionale Transizione ecologica, Sostenibilità e Infrastrutture del PD.

Laureata in pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale al Politecnico di Milano, dopo diverse esperienze come amministratrice locale ed assessora all’Urbanistica, Braga è stata eletta per prima volta alla Camera nel 2008, per poi essere riconfermata nel 2013 e nel 2018.

Nella legislatura che si avvia al termine è capogruppo per il PD in Commissione Ambiente di Montecitorio. La ricordiamo (assieme al senatore pentastellato Gianni Girotto) come promotrice di diverse semplificazioni per le rinnovabili tra cui molte di quelle  arrivate con la conversione in legge del decreto Energia 17/2022, come la norma sulla “Solar Belt”.

1. Onorevole Braga, quali interventi immediati sosterrebbe per affrontare l’emergenza dei costi dell’energia che sta colpendo il sistema produttivo?

«Nell’immediato è fondamentale aiutare le imprese a fronteggiare gli aumenti e fissare al più presto un tetto al prezzo dell’elettricità. Le proposte concrete che abbiamo presentato nel nostro programma sono articolate in cinque punti e tutte intendono contribuire a dare una risposta all’emergenza energia che attanaglia il sistema produttivo: primo, fissare un tetto europeo al prezzo del gas; secondo, introdurre un regime di prezzi amministrati per l’energia elettrica per famiglie e imprese, agendo sul disaccoppiamento del prezzo delle rinnovabili da quello del gas.

Al terzo punto, raddoppiare il credito di imposta per compensare gli extra-costi energetici delle imprese per gas e elettricità a partire dal giugno di quest’anno: dal 25 al 50% per imprese energivore e gasivore e dal 15 al 30% per le altre imprese. Quarto, un nuovo contratto “luce sociale” per microimprese e famiglie con redditi medi e bassi, garantendo una fornitura di energia, prodotta totalmente da fonti rinnovabili, gratuita fino a un massimo di 1.350 kWh/anno per famiglia, cioè 50% consumo medio, con prezzi calmierati per la parte eccedente.

Infine, un grande piano per le rinnovabili e il risparmio energetico, incentivando investimenti per le imprese in efficienza e rinnovabili e rimuovendo gli ostacoli burocratici che ne limitano lo sviluppo.

Diverse di queste misure saranno oggetto di discussione nella riunione dei Ministri dell’Energia del 9 settembre: è importante che si assumano rapidamente decisioni efficaci a livello europeo, dal tetto al prezzo del gas al meccanismo di disaccoppiamento del prezzo tra rinnovabili e fossili».

2. Sul medio termine, quali sono le soluzioni percorribili per ridurre la dipendenza dal gas russo? E delle fonti fossili in generale?

«In questi mesi abbiamo lavorato sulla differenziazione delle fonti di approvvigionamento per ridurre la dipendenza dal gas russo, ma l’obiettivo deve essere quello di accelerare rapidamente la produzione da fonti rinnovabili, che oggi rappresentano la forma di produzione di energia più rapida e più conveniente per diminuire la dipendenza dalle fonti fossili, realizzare una maggiore autonomia energetica e raggiungere gli obiettivi climatici.

Vogliamo accelerare lo sviluppo di progetti industriali sulle rinnovabili, azzerare la burocrazia e riconoscere incentivi alle imprese che installano rinnovabili sui loro capannoni e nelle aree produttive, con un’attenzione specifica alle Pmi. Il gas resta una fonte di transizione necessaria nel breve periodo, ma deve essere progressivamente superata, in linea con gli obiettivi europei della decarbonizzazione previsti dal Green Deal».

3. Tra le forze politiche in competizione, c’è anche chi propone il ritorno al nucleare. Secondo lei è una strada percorribile?

«No, perché i tempi di realizzazione, in media 10 anni, e le tecnologie esistenti non sono compatibili con la riduzione delle emissioni al 2030 e il ritorno evocato al nucleare non è una soluzione all’emergenza dei costi dell’energia. Nel nostro Paese ci sono stati due referendum dagli esiti molto chiari e in più per noi che abbiamo abbandonato da anni la produzione di energia nucleare sarebbe una scelta antieconomica: i costi sono molto alti, basta vedere cosa accade in Francia dove il reattore di Flamanville, ancora in costruzione dal 2006, è passato da un costo iniziale di 3,3 miliardi a 19,4 miliardi stimato dalla Corte dei conti francese; sempre in Francia il Governo ha dovuto rinazionalizzare EDF facendosi carico dei costi enormi, di costruzione e manutenzione, delle centrali nucleari.

L’unico nucleare che esiste allo stato attuale è quella da fissione, che produce scorie. L’Italia ancora non ha realizzato il Deposito nazionale per la loro gestione e ha ancora problemi enormi di sicurezza. Il “nucleare pulito e sicuro” di cui parla la destra non esiste: la tecnologia da fusione è ancora in fase di sperimentazione, forse sarà applicabile dopo il 2050.

È giusto che l’Italia sia presente con Enea e altri centri di ricerca di eccellenza nella ricerca e nello sviluppo del nucleare da fusione, ma chi oggi propone il ritorno al nucleare distoglie risorse e attenzione del nostro sistema energetico da quello su cui dobbiamo invece puntare con forza: rinnovabili e efficienza energetica».

4. Sulle rinnovabili abbiamo obiettivi sfidanti, un grande interesse del mercato e una situazione che inizia a sbloccarsi. Come giudica l’operato del governo uscente da questo punto di vista? E quali sono oggi i provvedimenti più urgenti da prendere?

«Le rinnovabili non sono solo il futuro, ma anche il presente del nostro sistema energetico. Le rinnovabili non sono mai state così competitive sul piano economico come in questo momento, quello che serve è proseguire con ancora più decisione sulla strada di accelerazione e semplificazione per il loro sviluppo, per ragioni ambientali ma anche economiche.

Il Governo uscente, anche grazie al contributo del Parlamento su molti provvedimenti, ha fatto dei passi in avanti significativi, ma ci sono cose da completare urgentemente e scelte non più rinviabili. A livello europeo è fondamentale procedere a una revisione del meccanismo di formazione del prezzo dell’elettricità, disaccoppiando tra rinnovabili e fonti fossili.

A livello nazionale è urgente emanare in tempi brevi il decreto Fer 2 sulle fonti più innovative, semplificare le procedure su repowering e nuove installazioni, sostenere la produzione distribuita di rinnovabili attraverso le Comunità energetiche, sbloccando i decreti attuativi da parte di MiTE e Arera ed emanando il Bando del Pnrr per i Comuni sotto i 5000 abitanti.

È essenziale poi che il MiTE recuperi il ritardo accumulato e provveda ad attuare la norma sulle aree idonee per lo sviluppo delle rinnovabili: devono essere definiti i criteri per la loro individuazione da parte delle Regioni. È poi importante aggiornare le Linee guida in materia di autorizzazioni di energie rinnovabili applicate dalle Soprintendenze e dalla Regioni, oggi ferme al 2010, per tenere conto dei progressi che ci sono stati in questi anni sul fronte delle tipologie e delle tecnologie disponibili, come l’agrivoltaico, e in rapporto ai nuovi target europei da raggiungere entro il 2030.

Infine, per consentire il pieno sviluppo delle potenzialità dell’energia rinnovabile, occorre adeguare la rete e rafforzare i sistemi di accumulo e realizzare 100.000 colonnine elettriche e 30.000 punti di ricarica rapida entro il 2027».

5. Superbonus: come giudica questa misura e i risultati ottenuti finora? E quale futuro vede per gli incentivi?

«Il Superbonus 110% è stato ideato nel 2020 come misura eccezionale per sostenere gli investimenti in efficienza energetica e le imprese del settore delle costruzioni nella fase post pandemia. La misura ha prodotto molte aspettative e c’è stata una forte adesione di cittadini e imprese, unita a alcuni oggettivi problemi applicativi e storture su cui è stato giusto intervenire.

Un limite di questo strumento è stato quello di non essere particolarmente efficace laddove ce n’era più bisogno: penso ai risultati modesti che ha prodotto sulla riqualificazione sull’edilizia residenziale pubblica, per la complessità del meccanismo e le difficoltà operative incontrate dalle aziende proprietarie e di gestione del patrimonio di ERP.

In questo momento per noi è fondamentale garantire a tutti i cittadini e alle imprese impegnate nella realizzazione degli interventi di vedersi riconosciuta la detrazione a cui hanno diritto secondo le norme vigenti; risolvendo rapidamente alcune criticità che continuano ad esserci, in particolare nel meccanismo di cessione del credito.

Per il futuro intendiamo rendere più efficaci gli incentivi fiscali per l’efficientamento energetico degli edifici, migliorando gli aspetti di equità sociale e di premialità ambientale, a partire da un nuovo “bonus rigenerazione casa” che sostituisca il bonus 110% e che abbia un orizzonte temporale certo, fino al 2030, con percentuali di inventivo comprese tra il 70% e il 90%, in base alle soglie Isee.

6. Per abbattere in modo strutturale i costi energetici delle imprese, quali strumenti metterebbe in campo?

«Le imprese stanno pagando un prezzo altissimo per effetto della crisi energetica; in questo momento servono azioni immediate, come il raddoppio del credito di imposta che abbiamo proposto da subito, ma occorre agire in chiave strutturale. Servono strumenti dedicati per aiutare le imprese a efficientare i propri consumi energetici, soprattutto le Pmi che hanno dimensioni minori e costi fissi più difficili da assorbire: un fondo di finanziamento a fondo perduto per aumentare l’efficienza energetica degli insediamenti produttivi, sviluppare le comunità energetiche, così come altre forme di autoproduzione e consumo.

Poi è necessario sostenere con strumenti dedicati lo sviluppo delle rinnovabili proprio a servizio delle attività produttive; semplificando le procedure per l’installazione, come abbiamo fatto con una proposta PD con la norma sulle “green belt” nelle aree contigue agli insediamenti produttivi, a partire dai tetti dei capannoni, azzerando la burocrazia; aiutare le aziende a sviluppare contratti di fornitura PPA soprattutto da rinnovabili».


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