Energia ed elezioni: intervista a Luca Squeri di Forza Italia

Tra le idee del responsabile Energia di Forza Italia, ritorno al nucleare “il giorno stesso” dell’insediamento del nuovo governo, più gas nazionale ma anche un Superbonus reso strutturale e meno generoso. La quinta delle nostre interviste ai candidati alle Politiche 2022.

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Continuiamo il nostro giro di colloqui con candidati alle Politiche che, dentro o fuori dal Parlamento, si sono mostrati più attivi sui temi dell’energia.

In fondo all’articolo tutte le altre interviste di QualEnergia.it.


Oggi parliamo con il responsabile Energia di Forza Italia, Luca Squeri.

Laureato in Scienze Giuridiche, imprenditore nel settore carburanti, Squeri e stato presidente nazionale delle Associazione gestori carburanti dal 1994 al 2013. Dopo varie esperienze come amministratore locale, è stato eletto deputato alle politiche del 2013 e rieletto nel 2018. In questa legislatura è commissario capogruppo della X Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati ed è stato relatore del disegno di legge di conversione del decreto Energia 17/2022.

1. Quali interventi immediati sosterrebbe per affrontare l’emergenza dei costi dell’energia che sta colpendo il sistema produttivo?

«Tutti gli interventi emergenziali adottati fino ad oggi per contrastare caro energia e carburanti andranno potenziati e, inevitabilmente, resi strutturali, perché è prioritario in questo momento proteggere il potere d’acquisto delle famiglie e delle imprese da una crisi senza precedenti che rischia di vanificare qualsiasi tentativo, piano di ripresa. Mi riferisco in particolare al credito d’imposta a favore delle imprese energivore che va migliorato e alla vendita a tariffe ridotte di gas ed energia da fonti rinnovabili acquistati dal Gse, la cosiddetta energy release, di cui aspettiamo ancora la piena attuazione.

A partire da questo inverno saremo chiamati a ridurre i consumi e a promuovere un uso efficiente dell’energia. Dobbiamo scongiurare il razionamento alle imprese e soprattutto a quella parte della nostra industria che non è interrompibile e che sta pagando il prezzo più alto di questa crisi. Occorre aumentare la produzione di energia dalle centrali a carbone già attive potendo in questo modo arrivare a soddisfare fino al 10% della domanda di energia nazionale.

Per proteggere il tessuto produttivo servono risorse imponenti. Dobbiamo considerare sia la strada di un eventuale nuovo scostamento di bilancio ma anche quella, possibile, di un nuovo Accordo con la Commissione europea, come previsto dai Regolamenti, per la revisione del Pnrr e dell’utilizzo dei fondi europei in funzione delle mutate condizioni che stiamo vivendo.

Il problema energia va affrontato seriamente a livello europeo non solo sostenendo politiche di price-cap. Duplice deve essere l’obiettivo che l’Europa intera deve porsi oggi: ridimensionare drasticamente la dipendenza dal gas russo e ridurre l’uso del gas in generale. Affrancarci da questa eccessiva dipendenza riuscendo al contempo a garantire la sicurezza energetica in tutto il Continente è la sfida che dobbiamo affrontare».

2. Sul medio termine, quali sono le soluzioni percorribili per ridurre la dipendenza dal gas russo? E delle fonti fossili in generale?

«L’Italia sconta oggi due grandi errori del passato: una politica energetica che si è progressivamente sviluppata puntando ad incrementare i consumi di elettricità – senza prestare attenzione al vero problema sotteso all’elettrificazione dei consumi ovvero a come si produce l’elettricità e, quindi, a come sostituire le fonti fossili con energia rinnovabile – e una drastica riduzione della produzione nazionale di gas. Entrambi questi fattori hanno determinato il forte aumento dei consumi cui si è assistito negli ultimi anni.

Dobbiamo superare definitivamente questa logica favorendo una transizione seria e sostenibile. Nel medio termine il gas continuerà ad essere fondamentale. Per questo dobbiamo proseguire la strada della diversificazione degli approvvigionamenti, anche di Gnl, potenziare la capacità di rigassificazione, ma anche le estrazioni da giacimenti nazionali superando i vincoli del Pitesai, perché disponiamo di riserve accertate di decine di miliardi di metri cubi ma molte di più sono quelle potenziali sfruttando le nuove tecnologie. Dobbiamo completare nuove infrastrutture strategiche sull’esempio del Tap.

Riteniamo grave la sottovalutazione dell’apporto energetico delle biomasse. La superficie boscata italiana si è triplicata dal 1951, raggiungendo 12 milioni di ettari, sui 30,1 milioni totali del Paese, ma si utilizza come fonte rinnovabile solo il 18 per cento dell’accrescimento, che corrisponde a 7,90 Mtep, e l’Italia è il primo importatore europeo di materia prima legnosa. Germania, Francia e Spagna prevedono al 2030 di produrre il 68 per cento dell’energia termica da biomassa. Se si utilizzasse il 67% dell’accrescimento (media europea) se ne otterrebbero 30 Mtep, che coprirebbero il 70% dei consumi termici da fonte fossile. La gestione sostenibile delle foreste migliora la capacità di assorbimento del carbonio. In Austria la capacità di assorbimento della CO2 è triplicata rispetto all’Italia che dispone di un’insolazione molto superiore e ha grande disponibilità di acqua.

La Commissione europea ha chiesto all’Italia una maggiore ambizione nella termica rinnovabile, il Pniec non ha raccolto l’invito mantenendo l’orientamento precedente. E va precisato che la tecnologia all’avanguardia per l’utilizzo delle biomasse è tutta italiana. Le nostre caldaie a 5 stelle sono in grado di abbattere oltre il 90% delle emissioni.

Per quanto riguarda eolico e fotovoltaico, non dobbiamo mai perdere di vista il nostro obiettivo che resta il superamento delle fossili. Ma va ricordato che gli incentivi alle rinnovabili hanno comportato negli ultimi 15 anni un conto superiore a 200 miliardi di euro, per ottenere percentuali di apporto alla generazione elettrica ancora non soddisfacenti. La Germania ha molte più pale eoliche di noi e molto più vento. Eppure ha riaperto le miniere di carbone. Forse è il momento che più che parlare di potenza installata, si cominci a parlare di energia effettivamente prodotta. Con le ultime leggi, come concorrenza e decreti energia, Pnrr e semplificazioni, abbiamo ampliato a dismisura le aree idonee, semplificato enormemente i procedimenti, previsto un testo unico delle norme autorizzatorie con ulteriori semplificazioni, allungato a 3 anni la durata del permesso di costruire. Il Parlamento il suo lavoro l’ha fatto.

Forza Italia ha anche tentato di far passare un principio generale, in base al quale il fotovoltaico a terra dovrebbe essere collocato in terreni marginali e non sui terreni agricoli. Siamo quindi più favorevoli ai pannelli sugli edifici, piuttosto che a terra. Questo ci porta a un modello rifkiniano: tanti produttori e piccoli. Siamo invece assolutamente favorevoli alle azioni previste del Pnrr per promuovere l’energia del futuro: idrogeno blu e verde, biocombustibili e biocarburanti, agro-energie, biometano. Ma soprattutto occorre chiarire che la transizione energetica deve essere sostenibile per l’economia, per le imprese e per le popolazioni. L’Europa ha gettato il cuore troppo al di là dell’ostacolo e ora si ritrova con una inflazione che sarà a due cifre e a bruciare lignite».

3. Forza Italia è una delle forze politiche in competizione che propone il ritorno al nucleare. Secondo lei è una strada percorribile?

«Gli ambiziosi obiettivi che ci siamo posti prevedono in tempi brevi un forte abbattimento delle emissioni di anidride carbonica che resta difficilmente raggiungibile con il solo utilizzo di energie da fonti rinnovabili. L’intermittenza di queste fonti ha bisogno di ridondanza, di mantenimento di capacità di generazione alternativa, di capacità di accumulo abnormi, che diventano problematiche ove si considerino i costi delle materie prime e di smaltimento e di reti altamente interconnesse che non sono presenti.

La stessa Commissione europea ha inserito l’energia da fissione nucleare di nuova generazione tra le fonti di energia pulita all’interno della Tassonomia degli investimenti verdi, cioè l’insieme di regole di classificazione che si applicano alle attività economiche per poterle definire sostenibili.

Molti Paesi stanno investendo in energia atomica. Basti pensare alla Francia che ha annunciato la costruzione di sei nuovi reattori nucleari EPR e l’entrata in servizio del reattore di Flamanville, prevista per il 2024, senza contare gli investimenti per la realizzazione di reattori di piccole dimensioni e la riapertura di quasi la totalità delle centrali chiuse.

Dobbiamo assolutamente riconsiderare lo sviluppo di tecnologie di fissione nucleare e promuovere la ricerca nel nostro Paese. Non possiamo rimanere indietro. E per accelerare potremmo anche valutare la costruzione di mini centrali nucleari, anche questa ormai una tecnologia ampiamente collaudata».

Tra i punti deboli del nucleare ad oggi ci sono però i costi alti e i tempi di costruzione relativamente lunghi. Il nostro paese poi ha votato contro questa soluzione in due referendum e la storia del deposito definitivo per le scorie mostra che ci si dovrebbe scontrare con fenomeni di NIMBY. Quando e come potrebbe eventualmente entrare in gioco in Italia questa tecnologia?

«Con il Governo di centro-destra entrerà in gioco il giorno stesso della sua costituzione. Le nuove centrali sono intrinsecamente sicure e hanno una quantità assai ridotta di scorie. I benefici per le comunità che accettano la costruzione di una centrale nucleare sul proprio territorio sarebbero adeguati agli impatti. Mi pare che gli abitanti delle aree dove sono insediate le nostre sei centrali a carbone, che quest’inverno andranno a pieno regime, se la passino molto peggio».

4. Sulle rinnovabili abbiamo obiettivi sfidanti, un grande interesse del mercato e una situazione che inizia a sbloccarsi. Come giudica l’operato del governo uscente da questo punto di vista? E quali sono oggi i provvedimenti più urgenti da prendere?

«Va riconosciuto che negli ultimi mesi, sull’onda del progressivo deterioramento dello scenario geopolitico internazionale, il governo italiano si è adoperato non solo con misure emergenziali di aiuto, ma anche attraverso una significativa opera di semplificazione nelle procedure di autorizzazione e individuazione di nuove aree idonee per le rinnovabili.

Adesso dobbiamo proseguire in questo percorso semplificando, prima di tutto, il quadro normativo: è necessaria una seria razionalizzazione della normativa di riferimento non solo per agevolare i futuri interventi del legislatore, ma anche per favorire gli investimenti nel Paese che richiedono normative chiare. Occorre rendere il quadro il più possibile semplice e, al contempo, breve il processo autorizzativo sia per i nuovi impianti che per il revamping e il repowering di quelli esistenti.

Dobbiamo ancora avere più ambizione e aumentare gli investimenti sul termico: bioenergia, geotermia e mobilità con i biocarburanti. Occorre semplificare e inserire nei fondi del Pnrr gli impianti di smaltimento di rifiuti con recupero energetico su cui, finalmente, si è assistito ad un ripensamento da più parti. Promuovere ancora il ruolo delle CER e dell’autoconsumo collettivo.

Molto si è fatto per semplificare, a cominciare dal decreto n. 17 di cui sono stato relatore e molto ancora si può fare ma, senza un parallelo sviluppo delle reti di trasmissione e di distribuzione, dei sistemi di accumulo di lunga durata, senza rendere il sistema infrastrutturale italiano all’altezza della situazione, tutto il percorso della transizione rischia di essere fortemente compromesso».

5. Superbonus: come giudica questa misura e i risultati ottenuti finora? E quale futuro vede per gli incentivi dedicati all’efficientamento energetico dell’edilizia residenziale?

«Esiste l’esigenza di mettere mano agli immobili italiani che soffrono dei difetti degli edifici costruiti principalmente tra i trenta e i cinquanta anni fa. È evidente quanto l’idea stessa di consumo energetico sia cambiata da allora. Pertanto occorre ed occorrerà anche in futuro intervenire sugli immobili rendendo appetibile sul mercato il loro miglioramento energetico e lo strumento è ovviamente quello degli incentivi dedicati all’efficientamento energetico dell’edilizia residenziale.

Più in generale dobbiamo promuovere sostegni e incentivi strutturali per le azioni di rigenerazione urbana per garantire l’ammodernamento, l’efficientamento e la messa in sicurezza degli edifici pubblici e privati, favorendo l’installazione di impianti per le rinnovabili e rafforzando ove possibile lo strumento delle comunità energetiche e dell’autoconsumo per le grandi aziende.

Il Superbonus ha mostrato una serie di criticità, in primis il fatto che è stato fissato al 110% della spesa, generando una serie di distorsioni e tensioni sul mercato. Ora c’è il problema legato alla cessione dei crediti, che è rimasto sostanzialmente bloccato. La stretta sulla responsabilità solidale ha finito per colpire imprese cessionarie e meno abbienti. È paradossale che un Governo con una forte componente di sinistra, finisca per colpire lavoro e bassi redditi. Il Governo di centrodestra correggerà il tiro orientando diversamente il bonus verso il processo di decarbonizzazione, ma soprattutto riducendo le aliquote del beneficio – ipotizzo tra il 70 e il 90% a seconda della tipologia di intervento – e stabilizzando la misura. Ma il problema della cessione del credito va risolto ora. Abbiamo presentato specifici emendamenti al Senato, al dl Aiuti-bis (su questo si vedano gli aggiornamenti di oggi, ndr).

Oggi dobbiamo fare i conti con un grave problema di sostenibilità economica di questa misura e dei tanti, troppi bonus dannosi cui si è fatto ricorso in questi anni. Occorrerà riuscire a salvaguardare le situazioni in essere promuovendo un serio riordino degli incentivi».

6. Per abbattere in modo strutturale i costi energetici delle imprese, quali strumenti metterebbe in campo?

«Il Prezzo Unico Nazionale dell’energia elettrica nel 2022 è schizzato oltre i 500 euro a MW. Il costo della bolletta energetica a carico delle imprese è salito dagli 8-10 miliardi di euro del periodo 2019-2018 ai preventivati 68 nel 2022 determinando un costo dell’energia talmente elevato per le imprese energivore – parliamo di bollette aumentate anche di 150 milioni di euro rispetto al 2021! – da rendere la produzione non solo non remunerativa, ma addirittura in perdita. Questo mette a rischio la tenuta della nostra industria con evidenti ripercussioni occupazionali anche sulle aziende dell’indotto e sul nostro Pil.

Politiche emergenziali come il riconoscimento del credito di imposta non sono sufficienti. Non possiamo togliere liquidità. Le imprese hanno bisogno di liquidità. Servono misure strutturali e politiche di lungo termine che affrontino tutti i problemi legati alla sicurezza del nostro sistema energetico e alla eccessiva dipendenza dall’estero.

Nel frattempo dobbiamo dare piena attuazione alle misure introdotte per la cessione di importanti quantità di energia elettrica e gas detenuta dal Gestore del sistema elettrico (Gse) a prezzo calmierato alle imprese energivore riconoscendo inoltre una quota ai soggetti localizzati nelle Isole Maggiori sufficiente a colmare il loro riconosciuto gap energetico.

Si tratta di una proposta che prende spunto da un meccanismo similare adottato in Francia, dove si è stabilito di cedere agli energivori una quota importante dell’energia elettrica prodotta dalle centrali nucleari a un prezzo calmierato di 41 euro al megawattora.

Dobbiamo infine promuovere misure di incentivi strutturali e crediti di imposta per le imprese che riconvertono e investono in eco innovazione e nuove tecnologie».


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