Serve una nuova politica industriale europea per il settore automobilistico, per difendere le imprese Ue dalla concorrenza sempre più forte di Cina, India e Stati Uniti, soprattutto in tema di offerta di veicoli elettrici.
Ma questa politica deve essere più orientata “alla neutralità tecnologica” ossia, tradotto, non deve mettere fuori gioco i motori a combustione endotermica.
Questa, in sintesi, la posizione del governo italiano sul fronte automotive, ribadita dal viceministro delle Imprese e del Made in Italy, Valentino Valentini, in risposta a una interrogazione alla Camera di Luca Squeri (Forza Italia), che chiedeva “quali iniziative politiche intenda adottare il ministro a tutela della filiera italiana dell’automotive e della sua componentistica”.
Il governo Meloni fin da subito ha digerito male la decisione Ue di vietare la vendita di nuove auto con motori endotermici dal 2035.
La linea attuale – in continuità con il precedente esecutivo di Draghi – è che sia sbagliato puntare su una sola soluzione, il 100% elettrico, mentre bisognerebbe dare spazio anche alle altre tecnologie, come biocombustibili, idrogeno e carburanti sintetici di origine rinnovabile (cosiddetti e-fuel).
Nella risposta del ministero alla interrogazione, si legge che “è ora tempo che l’Unione europea si muova sulla strada di una propria politica industriale, anche attraverso la modifica dei parametri dell’accordo Fit 55, favorendo una visione più neutrale della tecnologia, per garantire la sostenibilità del nostro sistema produttivo” (neretti nostri nelle citazioni).
Dopo aver ricordato la convocazione lo scorso 5 dicembre del tavolo automotive presso il ministero, Valentini ha sottolineato che “è assolutamente necessario creare una politica industriale europea per rispondere sia alla sfida sistemica con i produttori dell’oriente come India e Cina, che a quella con gli Stati Uniti che hanno da poco messo in campo una massiccia politica di aiuti a sostegno del settore automobilistico americano”.
Indubbiamente l’Europa deve affrontare una concorrenza cinese sempre più agguerrita, come ha evidenziato l’associazione ambientalista Transport & Environment in un recente studio: la Cina, infatti, potrebbe conquistare ampie fette del mercato Ue con la sua offerta in crescita di veicoli elettrici a prezzi più bassi, grazie anche alla grande apertura del nostro mercato alle importazioni cinesi.
La Ue deve attuare rapidamente una strategia industriale in grado di contrastare Cina e Usa, ad esempio con regole per il contenuto locale made in Eu di componenti di auto e batterie, al fine di preservare competitività e posti di lavoro.
Sono temi al centro del rapporto appena pubblicato da Cami e Motus-E, in cui si evidenziano le opportunità per la filiera automobilistica italiana in uno scenario di crescente diffusione delle vetture elettriche.
Si evidenzia, in particolare, che in Italia gli occupati nel settore auto potrebbero aumentare del 6% al 2030 grazie alla spinta della mobilità elettrica. Le analisi si basano su oltre 2.400 aziende italiane che producono componenti per auto, con più di 280mila addetti.
Intanto la stessa Unrae (Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri), nel commentare i dati negativi del mercato auto italiano nel 2022, ha chiesto al governo Meloni “di dare una direzione chiara al mercato sull’accoglimento delle nuove tecnologie, altrimenti l’Italia continuerà ad essere l’unico paese europeo che retrocede nelle vendite di auto con la spina, e resterà fanalino di coda non solo fra i 5 major markets europei ma anche rispetto a mercati secondari, rallentando la transizione energetica”.
A novembre la quota complessiva di veicoli plug-in venduti in Italia è salita al 9,8%, ma rimane molto distante dalla Germania (39,4%), dal Regno Unito (27,7%) e dalla Francia (24,4%).
Andrea Cardinali, direttore generale Unrae, afferma quindi che è necessario “potenziare gli incentivi all’acquisto di autovetture per il rinnovo del parco circolante almeno fino al 2026 per privati e aziende; elaborare una politica infrastrutturale per la ricarica elettrica e il rifornimento di idrogeno; rivedere l’impianto fiscale del settore modulando detraibilità Iva e deducibilità dei costi in base alle emissioni di CO2 per le auto aziendali; pianificare rapidamente una riconversione industriale della filiera automotive e della componentistica”.