Perché le tecnologie CCS non decollano

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Secondo un rapporto del Worldwatch Institute, nonostante gli investimenti dei Governi, le tecnologie per la cattura e lo stoccaggio della CO2 non starebbero crescendo quanto sperato. Ai costi troppo alti e ai notevoli consumi idrici ed energetici, si aggiungono le preoccupazioni ambientali. Un settore in fase di stallo.

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Le tecnologie per la cattura e lo stoccaggio della CO2 sembrano non decollare, tra costi troppo elevati – sia in termini economici, di risorse idriche ed energetiche – e non poche perplessità ambientali. Questa è la conclusione dell‘ultimo rapporto Vital Signs Trends, dedicato al Carbon Capture and Storage (CCS), presentato dal Worldwatch Institute.
Al marzo del 2012, secondo i dati del Global CCS Institute, esistono, in 17 diversi Paesi, 75 grandi progetti per impianti di cattura e stoccaggio della CO2, in vari stadi di sviluppo. Il numero è diminuito rispetto al 2010, quando ne esistevano 79. Tuttavia, dal 2009 a oggi, è rimasto invariato il numero di impianti attivi: sono appena 8 a livello mondiale e provvedono allo stoccaggio di 23,18 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, un quantitativo che equivale alle emissioni annuali di 4,5 milioni di veicoli americani. Ad oggi, nonostante una considerevole crescita (il numero complessivo di impianti non è aumentato, ma la capacità di stoccaggio degli impianti esistenti è stata incrementata), la quantità di anidride carbonica che può essere sequestrata, tra progetti attivi e pianificati, rappresenta appena lo 0,5 per cento delle emissioni derivate dalla produzione di energia nel 2010.

Secondo la ricerca del Worldwatch Institute gli investimenti su progetti di larga scala, nel corso del 2011, sono rimasti sostanzialmente invariati rispetto all’anno precedente: nel 2011 i fondi stanziati dai Governi del mondo per progetti di CCS ammontano a 23,5 miliardi di dollari. “Perché il settore della cattura e stoccaggio della CO2 possa svilupparsi al punto da dare un contributo significativo alla riduzione delle emissioni – ha detto Matthew Lucky, uno degli autori dello studio – saranno necessari investimenti di grossa portata”.  La maggioranza dei fondi stanziati per le tecnologie CCS è rivolta a progetti su centrali di produzione energetica da fonti fossili, in particolare impianti a carbone. Su questo tipo di centrali si stima che un impianto di cattura e stoccaggio possa essere in grado di ridurre le emissioni di anidride carbonica dall’85 al 95%.

I dati raccolti dal Worldwatch Institute dicono che sono ancora gli Stati Uniti, con 7,4 miliardi di dollari (di cui 6,1 già stanziati), il maggiore investitore in progetti di cattura e stoccaggio. E, mentre l’Unione Europea ha annunciato di voler investire 5,6 miliardi di dollari in queste tecnologie, il Canada ha già stanziato 2,9 miliardi. Ma non si tratta di numeri che saranno in grado di far esplodere il settore. Nonostante gli investimenti, infatti, secondo l’istituto di ricerca sono ancora troppo alti i costi aggiuntivi legati alla realizzazione di un impianto di cattura e stoccaggio della CO2 in una centrale energetica. Secondo un recente studio della International Energy Association, citato nel rapporto Vital Signs Trends, aggiungere un impianto di CCS a una centrale a carbone fa aumentare i prezzi medi dell’elettricità tra il 39 e il 64%. Per le centrali a gas naturale ci sarebbe un incremento dei costi del 33%. Aumenti che costituiscono un forte deterrente. Ne è una riprova il fatto che nel 2011, a livello mondiale, 13 progetti di CCS sono stati cancellati o posticipati, nella maggioranza dei casi, perché ritenuti antieconomici.

Al di là del fattore economico, spiega il rapporto, in futuro lo sviluppo del settore sarà condizionato da diversi elementi, non ultime le politiche nazionali e internazionali. Se, per esempio, gli USA dovessero approvare la legge proposta dall’Environmental Protection Agency sulla limitazione delle emissioni delle centrali energetiche, nel giro di pochi anni, sul territorio americano, non sarebbe più possibile costruire centrali senza dispositivi per il controllo e l’abbattimento della CO2. Le tecnologie CCS, quindi, diventerebbero sempre più strategiche per il settore.

Ma, proprio per questo motivo, il Worldwatch Institute fa notare che, prima di andare verso uno sviluppo incondizionato del settore, è necessario prendere in considerazione alcune preoccupazioni di carattere ambientale. Se alcuni scienziati e rappresentanti dell’industria sostengono che la CO2 possa essere stoccata senza rischi per centinaia di migliaia di anni, restano comunque diverse perplessità. Recenti analisi su acque e terreni vicini a siti di stoccaggio, hanno rivelato piccole fughe e concentrazioni crescenti di anidride carbonica. Altre preoccupazioni sono legati ai consumi idrici: secondo dati del Dipartimento dell’Energia americano, infatti, le centrali a carbone che usano tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2, rispetto a quelle tradizionali, consumano tra l’87 e il 93% di acqua in più, per MW/h prodotto. Preoccupazioni suscita anche la possibilità di contaminazione dell’acqua potabile. Infine, i procedimenti per la cattura e lo stoccaggio della CO2 comportano grossi consumi energetici che possono causare una diminuzione dell’efficienza delle centrali che, nel caso degli impianti a carbone, può arrivare fino al 20-25%.

Intanto, il quadro normativo internazionale in materia stenta a delinearsi. All’ultima conferenza ONU sui cambiamenti climatici è stato deciso che le tecnologie CCS sono ammissibili all’interno del sistema del CDM (Clean Development Mechanism), non senza suscitare lo scontento di chi ritiene che il CDM dovrebbe stimolare lo sviluppo sostenibile e la riduzione delle emissioni, più che supportare soluzioni scappatoia per prolungare la vita di settori industriali ad alto potenziale inquinante. “Vale la pena di esplorare le tecnologie CCS in quanto una all’interno di un vasto assortimento di potenziali strategie per rallentare l’accumulo di CO2 in atmosfera. – ha detto il presidente del Worldwatch Institute, Robert Engelman – Ma, come dimostra il nostro rapporto, al momento si sono fatti pochi progressi nel realizzare questo potenziale. Una tecnologia che sia in grado di sequestrare in modo permanente grossi quantitativi di anidride carbonica è costosa, e finora i  mercati mondiali e i Governi non hanno dato molto valore all’anidride carbonica né alla prevenzione dei cambiamenti climatici di origine antropica. E, in definitiva, è questo ciò che serve per ottenere progressi nello sviluppo e nella realizzazione delle tecnologie CCS”.

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