Il voto di ieri, mercoledì 8 giugno, del Parlamento europeo sullo stop alla vendita di nuove auto benzina e diesel dal 2035 ha ridato fuoco alle polveri di chi si oppone alle auto elettriche.
Da giorni le lobby dei motori termici hanno intensificato le pressioni sulle istituzioni Ue, chiedendo norme più aperte al contributo di tutte le tecnologie per la transizione ecologica dei veicoli, includendo i carburanti alternativi derivati da idrogeno e prodotti con energia elettrica rinnovabile (cosiddetti elettro-carburanti, e-fuel).
Ma con 339 voti favorevoli, 249 contrari e 24 astensioni, gli eurodeputati hanno approvato uno dei pilastri del pacchetto Fit for 55 su energia e clima, presentato a luglio 2021 dalla Commissione Ue: dal 2035 si potranno vendere solo auto e furgoni a zero emissioni di CO2 allo scarico, quindi solo modelli elettrici oppure fuel-cell a idrogeno.
È previsto anche un traguardo intermedio al 2030 con un 55% di riduzione delle emissioni per le auto nuove (50% per i furgoni), in confronto ai livelli del 2021.
Questa è la posizione finale del Parlamento Ue che ora potrà negoziare il provvedimento con Consiglio e Commissione.
Cosa dice il fronte polemico del “no”
Su diversi giornali italiani è quindi esplosa la polemica contro questa scelta della plenaria a Strasburgo. In prima pagina, il Giornale parla di “delirio ecologista” e titola “Il Pd rottama l’auto italiana” mentre il titolo di Libero è “Moriremo di utopia” preceduto da un occhiello, “mazzata alle auto”, che non lascia alcun dubbio sulla linea editoriale.
Emblematico il commento del senatore Paolo Arrigoni (respondabile energia della Lega), secondo cui il voto di Strasburgo è “sbagliato, ideologico e mette a rischio imprese, lavoratori e famiglie”, perché “consentire la vendita delle sole auto elettriche non rappresenta solo uno stop ai mezzi a benzina e gasolio, ma anche ai biocarburanti immediatamente disponibili per decarbonizzare e ai nuovi carburanti non fossili”.
Inoltre, la decisione del Parlamento Ue “significa violentare il principio della neutralità tecnologica, demolire la filiera automotive italiana con la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro, significa consegnarci mani e piedi alla Cina e, paradossalmente, contribuire ben poco alla tutela ambientale vista la ipocrisia di non considerare per il calcolo delle emissioni il ciclo di vita del mezzo”.
Queste sono le punte di un iceberg di dubbi molto diffusi sulle auto elettriche.
Inoltre, molti affermano che la mobilità elettrica è elitaria, perché le auto alla spina costano il doppio di quelle con motori termici, e che avremo il grandissimo problema di come smaltire le batterie (spesso definite tossiche) delle vetture.
Senza dimenticare le incertezze su tempi e modi delle ricariche e sulla disponibilità di colonnine in numero adeguato.
Più volte su queste pagine abbiamo spiegato che sono argomentazioni deboli e, quando hanno un fondo di verità, evitano di citare le possibili soluzioni che già si stanno affacciando sul mercato grazie al continuo progresso tecnologico in campo automobilistico.
I punti di forza delle auto elettriche
In generale, va detto che su un orizzonte di 13 anni – tanti ne mancano al 2035 – i prezzi delle batterie e delle auto elettriche sono destinati a scendere in modo consistente, grazie alle economie di scala e agli incrementi delle vendite, come accade in tutte le fasi di transizione da una tecnologia consolidata a una nuova.
Un recente studio della società indipendente Profundo, commissionato da Transport & Environment (TE), spiega che se i costruttori auto accelerano i loro piani di vendita dei modelli elettrici in questo decennio, possono generare centinaia di miliardi di euro in valore aggiuntivo sul mercato per gli azionisti (oltre 800 miliardi nel caso specifico analizzato, che riguarda sei costruttori, tra cui Stellantis), rispetto a una transizione più lenta verso la mobilità alla spina.
Al contrario, se le case auto rimangono agganciate al business tradizionale dei motori a combustione interna, rischiano di essere sorpassate da chi sta investendo massicciamente in batterie e motori elettrici, ritrovandosi con quelli che TE definisce stranded engines: motori incagliati, letteralmente, obsoleti dal punto di vista tecnologico, inquinanti e non più richiesti dal mercato.
Per quanto riguarda la presunta non sostenibilità dei veicoli elettrici, perché usano energia prodotta da fonti fossili e batterie che hanno un elevato impatto ambientale, ricordiamo la bufala circolata un anno fa sulle auto elettriche che vanno a carbone, sostenuta perfino dal nostro ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani.
A parte il fatto che il carbone vale una fetta piccolissima del mix energetico italiano ed è destinato a scomparire, in quella occasione abbiamo citato uno studio ICCT (International Council on Clean Transportation), dove si confrontano le emissioni di CO2 elettrico vs termico sul ciclo intero di vita delle automobili, quindi non solo le emissioni allo scarico durante la guida ma anche quelle per produrre le vetture e tutte le loro parti, comprese le batterie.
Ebbene, da quella ricerca emerge che in Europa una vettura elettrica (nel 2021) emette il 66-69% di CO2 in meno di un modello comparabile a benzina, considerando proprio il ciclo di vita complessivo di produzione, uso e smaltimento finale.
Biocarburanti e combustibili sintetici sono una falsa soluzione
Cingolani nelle scorse ore ha poi ribadito di essere favorevole a un maggiore impiego di biocarburanti e combustibili sintetici derivati da idrogeno.
Omettendo però alcune informazioni rilevanti: i biocarburanti hanno un notevole impatto ambientale (piantagioni intensive, deforestazione) mentre i carburanti sintetici sono molto meno efficienti delle batterie e produrli è assai costoso (si veda anche La falsa promessa di sostituire gas e petrolio con carburanti derivati dall’idrogeno)
Sempre in tema di biocarburanti, ricordiamo che quelli ricavati da colture alimentari, secondo le associazioni ambientaliste, emettono fino a 3 volte più CO2 nel ciclo di vita rispetto al diesel di origine fossile che vanno a sostituire, quindi sono una falsa soluzione al problema delle emissioni.
Sul fronte delle batterie, invece, oltre a ricordare che in Europa e anche in Italia si sta investendo diffusamente in nuove super-fabbriche per produrle in casa anziché importarle dalla Cina o da altri Paesi, è ragiovevole aspettarsi che nel giro di pochi anni aumenteranno le tecnologie di recupero e riciclo (si veda Auto elettrica, per le batterie a fine vita ecco come si punta su riutilizzo e riciclo).
Ad esempio il Cobat, con il Cnr-Iccom (Consiglio nazionale delle ricerche-Istituto di chimica dei composti organometallici), ha sviluppato un processo idro-metallurgico che permette di recuperare oltre il 90% dei metalli contenuti in una batteria al litio.
La prima linea produttiva è prevista per il 2024 con una capacità di trattamento iniziale pari a 2.000 tonnellate/anno di accumulatori.
Verso un elettrico più accessibile
In conclusione, oggi la mobilità elettrica può sembrare un lusso perché i veicoli sono cari, anche se con gli incentivi statali e considerando il costo totale di utilizzo e possesso, il vantaggio di un veicolo elettrico cresce parecchio, grazie in particolare ai minori costi di gestione (si vedano le analisi Rse in proposito).
Le auto elettriche diventeranno via via più accessibili e democratiche, sulla spinta di tanti fattori economici e tecnologici. La transizione elettrica insomma è qualcosa che va aiutato, incentivato, anche per la realizzazione dei punti di ricarica su strade e autostrade, anziché essere ostacolato da chi difende gli interessi delle lobby fossili.
Certo, non va dimenticato che la stessa auto elettrica non è a impatto zero, perché ha una sua impronta ecologica (consumo di risorse e materiali con relative emissioni) e che quindi deve essere inserita in una politica più complessiva sui trasporti, in grado di favorire la mobilità alternativa, in particolare nei centri urbani.
Ma da qui a sostenere che la mobilità elettrica è un “delirio ecologico” passa in mezzo una bella dose di fake news.