Dove finiranno le batterie esaurite dei veicoli elettrici?
È una domanda sempre più frequente: si teme che gli accumulatori al litio delle auto alla spina diventeranno una seria minaccia per l’ambiente, poiché contengono alcune materie prime potenzialmente inquinanti e difficili da smaltire.
Le soluzioni per lo smaltimento delle batterie puntano su riutilizzo e riciclo, due pilastri dell’economia circolare che renderanno sempre più sostenibile la mobilità elettrica.
Oggi però “nessuno recupera il litio”, racconta Luigi De Rocchi, responsabile ricerca e sviluppo di Cobat, la piattaforma nazionale che assicura la corretta gestione di diverse tipologie di rifiuti.
Difatti, spiega De Rocchi, gli impianti di riciclo “utilizzano un tipo di trattamento termico-chimico che nella fase iniziale, quando si riscalda la batteria a elevata temperatura, comporta la perdita del litio”, quindi si possono recuperare solo gli altri materiali come cobalto, nickel, alluminio e rame.
Poi c’è un problema di normativa europea, non più al passo con i tempi (è del 2006), che prevede si debba recuperare il 50% in peso della batteria, senza fornire sotto-obiettivi specifici per i diversi materiali e metalli.
L’Italia potrebbe giocare un ruolo di primo piano per le nuove tecnologie in questo settore.
Ora gli impianti di riciclo si trovano in pochi Paesi europei, precisa De Rocchi, perlopiù in Germania, Francia, Belgio e Spagna.
Intanto il Cobat, con il Cnr-Iccom (Consiglio nazionale delle ricerche-Istituto di chimica dei composti organometallici), ha sviluppato un processo idro-metallurgico che permette di recuperare oltre il 90% dei metalli contenuti in una batteria al litio. Si veda anche questo articolo: La “seconda vita” delle batterie al litio sarà nel riciclo a basso costo
Questi risultati si sono ottenuti in laboratorio, ma il passo verso una tecnologia su scala industriale potrebbe essere più breve di quanto si pensi.
“Abbiamo appena costituito una nuova società con un partner industriale per un primo impianto in centro Italia”, continua De Rocchi.
Nel 2024 dovrebbe essere pronta una linea produttiva a livello commerciale, con l’obiettivo di trattare 2.000 tonnellate annue di batterie, più che sufficienti, secondo De Rocchi, nella fase iniziale della diffusione delle auto elettriche.
Secondo Luigi Mazzocchi, esperto di batterie presso Rse (Ricerca sul sistema energetico), in Italia arriveremo a dover smaltire 100.000 tonnellate annue di batterie, se sarà rispettato il traguardo dei 5 milioni di auto elettriche nel 2030, fissato dal Piano nazionale su energia e clima.
È una percentuale minima, uno zero-virgola, dei rifiuti complessivamente generati nel nostro Paese in un anno, ma il problema non va sottovalutato, perché la Commissione europea ha addirittura proposto di vietare la vendita di nuove auto termiche dal 2035 e i modelli plug-in cresceranno a dismisura.
Senza dimenticare poi che Bruxelles, con l’iniziativa Ue Battery Alliance, punta a costruire un certo numero di super-fabbriche di batterie al litio in Europa nei prossimi anni, per ridurre la dipendenza attuale dai produttori asiatici.
L’economia circolare è un punto essenziale di questa strategia di autonomia energetica: le gigafactory dovranno ridurre al minimo i loro impatti sull’ambiente. Ecco perché il nuovo regolamento Ue sulle batterie, allo studio di Bruxelles, evidenzia De Rocchi, prevede “due percorsi con traguardi crescenti per il recupero di materiali”.
Il primo percorso riguarda la batteria nella sua interezza, in termini di peso: si dovrà recuperare il 65% del totale entro il 2025 e il 70% entro il 2030.
Il secondo percorso fa riferimento alle percentuali di recupero dei singoli metalli.
Per il litio, ad esempio, si parla di recuperare il 35% di quello contenuto nella batteria nel 2025 e il 70% nel 2030. Il regolamento fisserà anche obiettivi per l’uso di litio riciclato nei nuovi accumulatori: almeno 4% di litio riciclato nel 2029 per poi salire al 10% nel 2034.
“Le percentuali potranno ancora cambiare, ma la linea tracciata dalla Commissione europea è molto chiara”, sottolinea De Rocchi.
Un’altra possibilità è dare una “seconda vita” alle batterie. “Quando una batteria ha una capacità residua inferiore all’80% di quella iniziale, non è più adatta all’uso su un veicolo, perché la sua densità energetica è troppo bassa e l’autonomia del veicolo si riduce sensibilmente”, spiega Mazzocchi.
Qui si aprono le porte per altre possibili applicazioni di queste batterie, soprattutto nei sistemi stazionari di accumulo energetico sia a livello di singoli edifici sia per impianti di maggiori dimensioni al servizio della rete.
In questo momento, però, prosegue Mazzocchi, “l’ostacolo è far diventare queste applicazioni convenienti dal punto di vista economico”.
È uno degli obiettivi dell’iniziativa appena lanciata da nove partner industriali, tra cui Rse e Cobat, per creare la prima filiera italiana per il recupero delle batterie a fine vita del settore automotive.
Come Rse, spiega Mazzocchi, “stiamo lavorando in due direzioni”. La prima è “definire delle procedure rapide e semplificate per testare lo stato di salute delle batterie, verificandone la vita utile residua”. Moduli e celle ancora utilizzabili, saranno poi nuovamente assemblati in batterie dedicate allo storage stazionario.
Inoltre, Rse sta lavorando sulle tecnologie BMS (Battery Management System), per sviluppare un sistema di gestione della batteria più attivo e intelligente, in grado di sfruttare al massimo le potenzialità delle celle che hanno maggiore capacità residua, escludendo le celle più “deboli”.
Così facendo, si potranno aumentare le prestazioni delle batterie che hanno raggiunto il “fine vita” sulle auto, rendendole ancora convenienti per l’accumulo di energia rinnovabile e riducendo in questo modo il consumo di materie prime e la quantità di scarti.