La difficile transizione energetica nelle piccole isole italiane: la parola ai produttori locali

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Nonostante progetti dimostrativi, finanziamenti e incentivi per le rinnovabili, la produzione energetica nelle isole minori italiane resta quella fossile, rappresentata dal presidente dell’Unione Nazionale Imprese Elettriche Minori che abbiamo intervistato per sentirne le motivazioni.

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Si parla da anni di transizione energetica per le piccole isole. I tanti progetti finanziati dalla Commissione Europea e gli incentivi nazionali hanno sin qui prodotto qualche best practice, ma hanno lasciato pressoché inalterati i sistemi di produzione dell’energia.

Sebbene i diversi progetti contribuiscano a far avanzare la ricerca per nuove soluzioni tecnologiche e organizzative, i problemi che ostacolano la transizione energetica delle piccole isole italiane sembrano strutturali.

Secondo Alessandro Bianco, presidente UNIEM, «ogni progetto e ogni strategia che voglia traguardare la transizione energetica delle isole difficilmente potranno essere realizzati senza il coinvolgimento dei produttori locali».

UNIEM è l’Unione Nazionale Imprese Elettriche Minori, che rappresenta i produttori di energia elettrica delle isole italiane di Favignana, Levanzo, Marettimo, Giannutri, Isola del Giglio, Lampedusa, Linosa, Lipari, Pantelleria, Ponza, Isole Tremiti e Ustica. Tutte isole minori non connesse alla rete nazionale, la cui produzione elettrica non è gestita da Enel.

L’ingegner Luigi Michi, direttore Strategie, Sviluppo e Dispacciamento di Terna, intervistato da QualEnergia.it nel settembre del 2019, ci diceva, a proposito del ruolo dei produttori di energia nelle isole minori, che «queste società elettriche monopolistiche, spesso si comportano come feudatari che non vogliono scocciature e interferenze nella loro rendita di posizione. Molte ci hanno risposto: “No, grazie alle rinnovabili ci penseremo da soli”; ma temiamo, viste le complessità tecnico-burocratiche e i capitali necessari a installarle, che voglia spesso dire: “Non le faremo mai”».

Tuttavia, al netto delle diverse posizioni in campo, le difficoltà finora riscontrate sono legate soprattutto alla stagionalità dei flussi: alla disponibilità di quantitativi importanti di energia per brevissimi periodi dell’anno non corrisponde una giusta remunerazione, allorché il fabbisogno si riduce alla sola e scarsa popolazione residente in forma permanente.

Poi ci sono gli ostacoli delle normative ambientali e paesaggistiche, gli eventuali spazi da destinare agli impianti, così come per gli accumuli, che hanno peralttro costi ancora elevati.

Insomma, consapevoli delle difficoltà di fare delle piccole isole degli esempi del 100% rinnovabili (almeno elettriche), ma anche del fatto che oggi le tecnologie per riuscirci ci sarebbero, andiamo dall’altra parte della barricata per capire la posizione degli storici produttori locali.

Al presidente di UNIEM, Alessandro Bianco, iniziamo con il chiedere: perché secondo il suo osservatorio la transizione energetica delle isole è così complicata?

«Per ognuna delle isole che rappresento c’è un piccolo produttore che con il suo gruppo elettrogeno diesel garantisce l’accesso all’energia in tutte le stagioni, per i pochi che vi risiedono per l’intero anno e per i molti turisti che sovrappopolano le isole nei due o tre mesi estivi, a prescindere dalla produzione rinnovabile, quando presente.

Paradossalmente, ogni intervento di produzione di energia rinnovabile su un’isola è reso possibile dalla presenza di questi piccoli impianti che fanno funzionare la rete di distribuzione locale anche quando cala il sole o cessa il vento. Tuttavia, la loro sostenibilità economica si riduce all’aumentare della produzione da rinnovabili, anche nel caso in cui siano gli stessi produttori a realizzare gli impianti. La prova provata di questa disfunzione è che sebbene la produzione da rinnovabile sia libera, nessuno la sta facendo sulle isole. Personalmente credo che se non ci riescono i produttori locali è difficile pensare che possa farlo qualcuno da fuori».

Sono tanti i progetti di transizione energetica, anche finanziati, destinati alle isole: perché non hanno portato a risultati significativi?

«In generale, produrre energia sulle isole, così come gestire i servizi idrici e dei rifiuti, è più oneroso rispetto al continente, quindi la transizione energetica costa ancora di più. Per sostenerla sarebbero necessari livelli di incentivazione e sostegno ben più elevati di quelli previsti attualmente.

È bello parlare di transizione energetica con riferimento alle piccole isole, ma si rivela un obiettivo difficile perché si parte da una situazione più complessa rispetto a quella del continente: il problema dovrebbe essere affrontato coinvolgendo i soggetti maggiormente interessati alla transizione energetica, che sono proprio quelli che rappresento.

Spesso veniamo a conoscenza di progetti che si vogliono realizzare sulle isole senza che siano stati presi in considerazione i problemi reali e senza che i produttori siano stati consultati. Le isole rappresentano una splendida vetrina per i proponenti, ma spesso i loro progetti non danno alcun valore aggiunto, se non a loro stessi e proprio in termini di visibilità. Si ha quasi la sensazione che i proponenti abbiano l’ambizione di venire a civilizzare le isole».

Ci sono anche vecchi, e non superati, limiti normativi e autorizzativi?

«Sicuramente. Nell’attuale contesto normativo, di incentivi e di tutela del paesaggio, non si vede una via d’uscita. Le Isole Tremiti hanno realizzato un impianto FV nell’ambito del perimetro della centrale; al Giglio stanno progettando un impianto FV in una ex discarica perché gli impianti non si devono vedere dal mare. Chiaro poi che in questa situazione il meno visibile, nonostante il suo impatto ambientale, è il generatore diesel».

Lei, allora, cosa consiglierebbe di fare?

«Le aziende che producono energia nelle isole sono di piccole dimensioni e operano in condizioni estreme, lavorano in regime di integrazione tariffaria dei costi e sono liquidate per acconti e conguagli e con anni di ritardo. Già questo costituisce un notevole freno a possibili investimenti.

Occorre anche tener presente che una eventuale ‘esplosione’ della produzione rinnovabile sulle isole non farà venir meno la necessità di mantenere perfettamente operative le attuali centrali, i cui titolari andranno indennizzati per il diminuito utilizzo dei loro impianti similmente a quanto accade a livello nazionale con il mercato della capacità.

Una possibile transizione potrebbe passare dall’utilizzo del GNL. Anche in questo caso, tuttavia, bisognerebbe costruire tutta l’attrezzatura per l’imbarco e lo sbarco e garantire le condizioni di sicurezza per ridurre l’elevata percezione del rischio da parte della popolazione per questo genere di carburante.

Dobbiamo renderci conto che transizione energetica è costosa, che genererà benefici solo in un secondo momento e che non possiamo scaricare i costi sui soli produttori. Dobbiamo riconoscere l’importanza del servizio pubblico erogato da queste aziende private, che devono essere coinvolte e supportate nella transizione energetica».

Con tutto il rispetto per chi ha gestito l’energia delle isole in questi anni, andrebbe però replicato che il mondo sta cambiando e nel mondo ci sono oggi una trentina di esempi virtuosi di isole che stanno puntando decisamente sulla transizione energetica e sostenibile.

Ecco qui una lista non completa: Isole Scilly nel Regno Unito, Green Island nelle Filippine, Kodiak Island (Usa), Hawaii (Usa), King Island (Australia), Orkney Island (Scozia), Jamaica, Graciosa (Portogallo), Capo Verde, Sumba (Indonesia), Tilos (Grecia), El Hierro (Spagna), Samso (Danimarca), Eigg (Scozia), Bonaire (Paesi Bassi), Bornholm (Danimarca), Pellworm (Germania), Tokelau (Nuova Zelanda), Aruba (Paesi Bassi), Muck (Scozia), Wight (Inghilterra), Gigha (Scozia), ecc.

Far diventare un’isola un laboratorio del 100% rinnovabili è una scelta politica e non deve essere limitata da aspetti tecnologici o economici. Il governo deve affrontare questi progetti, che hanno un enorme potenziale di innovazione, con tutti gli strumenti necessari: finanziari, normativi, e anche coercitivi. Perché come diceva Albert Einstein “non possiamo risolvere i problemi con lo stesso tipo di pensiero che abbiamo usato quando li abbiamo creati”.

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