Certe volte viene da pensare che il fotovoltaico susciti nei burocrati pulsioni sadiche.
Consideriamo ad esempio lo strano caso, segnalatoci da un lettore, dell’unico impianto solare al mondo, dotato di… tendine parasole.
Se ne è scoperta l’esistenza informandosi sul Progetto Smart Islands, promosso da Terna, il gestore della rete ad alta tensione italiana, per dotare le piccole isole italiane non connesse alla rete (di cui ci siamo occupati infinite volte) di generazione elettrica a fonti rinnovabili, che andasse a sostituire l’inquinante e costosissimo diesel.
L’unico impianto Smart Islands finora realizzato è da 60 kW su pensilina, con 100 kWh di accumulo in batterie, nell’isola di Giannutri, in Toscana.
Il problema è che è stato dotato, appunto, di una grottesca tendina parasole, il che ha portato il nostro lettore a chiedersi come faccia a produrre, se lo si copre quando c’è il sole (foto in alto).
Abbiamo girato la domanda all’ingegner Luigi Michi, direttore Strategie, Sviluppo e Dispacciamento di Terna, che ci ha confermato quanto sospettavamo riguardo alle contorte fantasie punitive che il fotovoltaico suscita nella burocrazia nostrana.
«Quell’impianto si trova accanto all’eliporto di Giannutri, e come per ogni infrastruttura in quell’area, abbiamo dovuto chiedere un parere anche ad Enac, l’Ente nazionale aviazione civile, che ci ha risposto di no, perché avrebbe “abbagliato i piloti” con i suoi riflessi».
Ma gli avete fatto presente che nel mondo ci sono gigawatt di impianti FV intorno agli aeroporti?
«Sì, ma sono stati irremovibili perché secondo loro i piloti di elicotteri sono particolarmente disturbati dai riflessi».
Chi l’avrebbe detto che gli elicotteristi avessero questa debolezza oculare. Va detto però che negli aeroporti, pur se circondati da pannelli solari FV, pare atterrino anche gli elicotteri.
«Lo dica ad Enac. Comunque, per risolvere abbiamo dotato l’impianto di una tendina telecomandata dal pilota, che potrà così schermare l’impianto. Il costo dell’aggiunta è stato contenuto e dato che la pista è usata più che altro per emergenze, pensiamo che sarà usata molto raramente. Il problema, magari, sarà che, essendo quella una zona esposta al salmastro, dovremo mandare un manutentore a controllare lo scorrimento della tenda, e qui i costi diventano notevoli».
E il parasole solare non è stato neanche il peggiore degli intoppi.
«Come è noto Terna non può per statuto gestire impianti di produzione elettrica. Noi facciamo solo da progettisti e costruttori, e poi consegniamo l’impianto alle società elettriche dell’isola: offriamo, insomma, un servizio di assistenza a piccolissime aziende, che spesso non hanno mezzi finanziari e tecnici per provvedere da sole in tempi rapidi. Ma a Giannutri, a un anno dalla fine dei lavori, non siamo ancora riusciti a consegnare, e quindi ad accendere, l’impianto alla SIE, che rifornisce l’isola, per un problema di accatastamento. Speriamo di risolvere la questione entro ottobre».
Cosa succede nelle altre piccole isole?
Giannutri a parte, Terna ha fatto proposte di assistenza per velocizzare la transizione energetica a tutte le isole non connesse, tranne quelle gestite da Enel, che, si immagina, possa provvedere da sola alla transizione verso le rinnovabili. Ma la risposta non è stata entusiasmante.
«Per ora hanno accettato solo due società, la SIE che rifornisce Giglio e Giannutri, e la SMEDE, che provvede a Pantelleria; in entrambi i casi ciò è avvenuto per una forte intesa con le amministrazioni locali, e anni di discussioni per rassicurare queste aziende circa il nostro ruolo. Il punto è che queste società elettriche monopolistiche, spesso si comportano come feudatari che non vogliono scocciature e interferenze nella loro rendita di posizione. Molte ci hanno risposto: “No, grazie alle rinnovabili ci penseremo da soli”; ma temiamo, viste le complessità tecnico-burocratiche e i capitali necessari a installarle, che voglia spesso dire: “Non le faremo mai”».
E così Terna, a parte Giannutri e le sue “tendine”, per ora non è riuscita a completare alcun progetto.
«Al Giglio siamo però riusciti a trovare le aree adatte: dovremmo installare 500 kW in una vecchia cava di allume e 1,2 MW su una vecchia discarica, più altri impianti distribuiti sui tetti e batterie per l’accumulo. Il problema è che, abbiamo scoperto, i terreni della cava di allume sono divisi fra 60 proprietari, molti dei quali morti o emigrati chissà dove, mentre la discarica deve essere prima messa in sicurezza. Con pazienza stiamo cercando di risolvere i vari problemi e contiamo entro un paio di anni di raggiungere una copertura del 20% dei consumi isolani».
A Pantelleria sono però ancora più indietro.
«Lì non ci sono problemi paesaggistici, visto che esiste un’area industriale piena di rovine: basterebbe ripulire quella per installare i 4,3 MW previsti, oltre altri 8 MW sui tetti dell’isola e batterie per 4 MW, e così raggiungere un primo 20% di copertura della domanda. Secondo me potremmo anche mettere del minieolico, ma per ora c’è forte ostilità. Le cose però vanno a rilento, e prima di qualche anno non credo che vedremo nulla».
Tutti questi sforzi per arrivare poi solo al 20% di copertura. Non potreste essere più ambiziosi?
«L’obbiettivo finale è arrivare al 100%, ovviamente, ma ci potremo arrivare solo un passo alla volta. Forse non ci si rende conto delle difficoltà di operare in contesti dove tutto costa molto caro; si è soggetti a mille vincoli e autorizzazioni e ci sono i problemi peculiari di cui si è detto. Anche il fatto che la domanda vari di dieci e più volte fra estate e inverno non aiuta: se si copre il carico estivo, ci si ritrova con impianti costosissimi e sovradimensionati negli altri otto mesi dell’anno».
Per questo aiuterebbero sistemi di accumulo diversi dalle batterie: per esempio idroelettrico con pompaggio, come hanno fatto a Hierro, nelle Canarie. Oppure batterie a flusso, dove si può accumulare il liquido elettrolita carico. O anche la produzione di idrogeno da elettrolisi, da immagazzinare e usare poi per l’elettricità, ma anche per la mobilità e gli usi domestici.
Con accumuli di questo tipo potreste, per esempio, installare generatori ad onde, privi di impatto visivo e molto attivi d’inverno, così che accumulino energia per l’estate.
«Nelle isole minori italiane, che hanno rilievi modesti, l’idroelettrico di pompaggio richiederebbe volumi e costi enormi per servire come accumulo, e nessuno ci darà mai i permessi per i relativi bacini. Batterie a flusso e idrogeno sono ancora tecnologie sperimentali o molto costose. Idem per i generatori a onde marine, anche se stiamo valutando con Eni, Fincantieri e CDP, l’industrializzazione dei primi prototipi testati dal Politecnico di Torino proprio a Pantelleria».
Ma non pensate che le isole minori potrebbero essere anche un laboratorio dove sperimentare tecnologie innovative, da applicare poi in tutto Italia?
«Certo, ma bisogna essere realistici. L’importante è partire con questi primi progetti di limitata copertura dei consumi, che usino le tecnologie più collaudate ed economiche oggi disponibili. Così si creano esempi anche per le altre isole. Successivamente, con il perfezionamento e lo scendere dei prezzi di tecnologie innovative, più adatte al contesto isolano, potremo procedere con step successivi, fino a raggiungere il 100% di produzione da rinnovabili».
Per arrivare a questo, però, forse servirebbero anche interventi legislativi, oltre al decreto del 14 febbraio 2017, che prevede alte tariffe e incentivi alla produzione da rinnovabili nelle piccole isole.
«In realtà stiamo ancora aspettando il regolamento che spieghi chi ha diritto agli incentivi per la produzione da impianti “innovativi”. Ma forse neanche ciò sarà sufficiente a far decollare il settore: servirebbero meccanismi che forzino le società elettriche isolane al cambiamento, altrimenti temo che continuino a preferire il business as usual del diesel, ai fastidi e alle difficoltà di intraprendere la via delle rinnovabili», conclude Michi.