L’Italia aderisce alla nuova alleanza contro petrolio e gas, ma solo in veste di “amica”

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Il nostro Paese entra nella "Beyond Oil and Gas Alliance" guidata da Danimarca e Costa Rica: che impegni prevede e con quali limiti.

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Alla fine l’Italia, dopo avere a lungo tentennato, ha deciso di aderire alla nuova iniziativa internazionale che punta a eliminare gradualmente la produzione di petrolio e gas.

Ma l’adesione è al livello più basso tra quelli possibili, come “amica” della Beyond Oil and Gas Alliance (Boga), lanciata alla Cop 26 di Glasgow da Danimarca e Costa Rica, i due Paesi fondatori.

A loro si sono aggiunti in totale altri dieci partner, compresa l’Italia, anche se mancano tutti i grandi produttori fossili.

Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, conferma la partecipazione italiana precisando che “l’Italia su questo programma è perfino più avanti e abbiamo le idee chiare: il grande piano per le rinnovabili con 70 miliardi di watt (70 GW, ndr) per i prossimi 9 anni per arrivare al 2030 con il 70% di energia elettrica pulita”.

Non è chiaro, invece, come il nostro Paese possa essere “più avanti” in tema di uscita dai combustibili fossili, essendo entrato nel terzo e ultimo livello della nuova alleanza, battezzato “Friends of Boga”.

Questo livello, dove al momento c’è solo l’Italia, prevede il supporto a una transizione energetica equa, e chi ne fa parte deve impegnarsi ad allineare la produzione di petrolio e gas agli obiettivi di Parigi (limitare a 1,5 °C il surriscaldamento globale, rispetto all’età preindustriale).

Quindi non c’è alcun obbligo di stabilire una data certa per l’abbandono delle fonti fossili, né di imporre uno stop a nuove concessioni per la ricerca di idrocarburi a terra e in mare.

D’altronde, la nostra Eni figura nella top 20 dei produttori globali di petrolio e gas, stando alla “Global Oil & Gas Exit List” preparata da un gruppo di organizzazioni della società civile, tra cui ReCommon, Urgewald e Greenpeace.

Il database raccoglie dati sulle attività di 887 aziende fossili, che rappresentano più del 95% della produzione internazionale di idrocarburi.

E queste analisi mostrano quanto siano false e contraddittorie le attuali politiche per il clima di governi e aziende, che affermano di voler azzerare le emissioni di CO2 entro metà secolo (o nel 2060-2070 come hanno dichiarato Cina e India), e allo stesso tempo pianificano di estrarre più oro nero e gas nei decenni a venire.

Difficile quindi che il governo italiano, che di fatto controlla Eni, potesse decidere in questa fase di aderire pienamente alla Boga, rischiando così di ostacolare i piani della stessa Eni.

Al contrario, per i membri effettivi della coalizione (Core members) gli impegni sono assai più stringenti: non assegnare nuove concessioni o licenze con cui estrarre petrolio e gas e fissare una data, compatibile con i traguardi di Parigi, per porre fine a tutte le attività oil & gas sui loro territori.

Mentre il secondo livello, che riunisce i membri associati, prevede che si compiano passi rilevanti e concreti per ridurre la produzione di combustibili fossili, ad esempio attraverso una riforma dei sussidi alle fonti inquinanti oppure lo stop ai finanziamenti internazionali per il settore oil & gas.

Finora hanno aderito complessivamente in dieci, oltre ai fondatori Danimarca e Costa Rica: Francia, Svezia, Irlanda, Quebec, Galles e Groenlandia come membri effettivi, California, Nuova Zelanda, Portogallo come partner associati, poi l’Italia “in amicizia”.

Certo, per il momento parliamo di un piccolo gruppo, dove si notano più le assenze dei big delle energie fossili, come Arabia Saudita, Canada, Cina, Russia, Stati Uniti, per citarne solo qualcuno, piuttosto che le presenze.

Servirà un impegno molto più profondo e globale per iniziare seriamente un percorso di uscita dalle fonti fossili. Almeno però è un punto di inizio, una prima bandierina che indica un percorso. Vedremo quali e quanti altri Paesi decideranno di seguirlo.

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