L’altra faccia della Cop 26: più petrolio e gas all’orizzonte per Eni e altri big fossili

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Le false e contraddittorie politiche di aziende e governi secondo i dati e le analisi della "Global Oil & Gas Exit List" pubblicata da un gruppo di organizzazioni, tra cui ReCommon e Greenpeace.

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Mentre alla Cop 26 di Glasgow proseguono i difficili negoziati su come ridurre le emissioni di CO2, invece di uscire gradualmente dalle fonti energetiche tradizionali e puntare agli obiettivi climatici internazionali, centinaia di compagnie oil & gas di tutto il mondo continuano a espandere le loro attività per produrre più combustibili fossili.

E la nostra Eni figura nella top 20 dei produttori globali di petrolio e gas.

Questo è quanto emerge dalla “Global Oil & Gas Exit List” preparata da un gruppo di organizzazioni della società civile, tra cui ReCommon, Urgewald e Greenpeace, un database che raccoglie dati sulle attività di 887 aziende petrolifere e del gas, che rappresentano più del 95% della produzione internazionale di idrocarburi (link in basso).

Queste analisi –  come denunciato di recente anche dal Production Gap Report 2021 delle Nazioni Unite – mostrano quanto siano false e contraddittorie le attuali politiche per il clima di governi e aziende, che affermano di voler azzerare le emissioni di CO2 entro metà secolo (o nel 2060-2070 come hanno dichiarato Cina e India), e allo stesso tempo pianificano di estrarre più oro nero e gas nei decenni a venire.

Tutto ciò mentre la stessa Iea (International energy agency) va ripetendo da mesi, e con ancora più forza alla vigilia della Cop 26, che per limitare il surriscaldamento globale a +1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali, bisogna smettere di cercare altro gas e petrolio e dirottare gli investimenti sulle rinnovabili.

In base agli ultimi dati analizzati, evidenzia ReCommon in una nota, Eni, attraverso la società controllata Vår Energi, è anche tra le prime dieci compagnie al mondo che sfruttano le risorse della regione artica, soprattutto con le piattaforme petrolifere nel Mare di Barents.

I rischi associati alla produzione di idrocarburi, sottolinea ReCommon, aumentano esponenzialmente proprio nella zona artica: le condizioni estreme non fanno che accrescere le possibilità di fuoriuscite e incidenti, minacciando ecosistemi già fragili. A ciò si aggiunge il pericolo del rilascio, dal suolo e dai fondali marini, di enormi quantità di gas serra.

Secondo Luca Iacoboni, responsabile Energia e Clima di Greenpeace Italia, Eni “intende continuare a cercare, estrarre, vendere e bruciare gas fossile e petrolio, addirittura aumentando la produzione negli anni a venire. La ricerca di combustibili fossili in Artico è inoltre doppiamente grave, considerando gli enormi rischi ambientali”.

Incrociando i dati della Exit List con quelli di ReCommon e Greenpeace, emerge poi che Intesa Sanpaolo è una “banca nemica del clima”, sottolinea ReCommon, perché nel 2020 ha investito in sei delle otto società dei combustibili fossili che figurano nelle principali classifiche del nuovo database: la top 20 dei produttori di idrocarburi, la top 20 delle società che hanno intenzione di espandere il proprio business e la top 20 di quelle che hanno speso più soldi nella ricerca di nuovi idrocarburi.

“ExxonMobil, Shell, TotalEnergies, BP, Chevron ed Equinor hanno beneficiato di investimenti pari a 604 milioni di euro da parte di Intesa Sanpaolo”, ha commentato Simone Ogno di ReCommon, mentre sul fronte italiano, nel 2020 la banca italiana ha concesso prestiti a Eni per 866 milioni di euro e investimenti pari a 183 milioni di euro”.

La maggior parte (80% circa) dei produttori oil & gas analizzati nel database, prosegue la nota, si appresta a sviluppare nuove riserve di idrocarburi nei prossimi anni. Le prime cinque società che stanno espandendo il proprio business sono Qatar Energy, Gazprom, Saudi Aramco, ExxonMobil e Petrobras.

Senza dimenticare che ci sono attualmente 211.849 chilometri di oleodotti e gasdotti in via di sviluppo.

Tanto per capire dove si sta andando, Valori.it ci segnala che la delegazione più grande alla Cop26 è quella delle fossili, con 503 delegati. Si tratta del gruppo più nutrito che si è presentato a Glasgow. Obiettivo è convincere i governi che va più o meno tutto bene così e non c’è bisogno di una transizione ecologica troppo stringente.

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