Gli incendi in California, segnali di una crisi climatica sempre più intensa

  • 14 Settembre 2020

Intanto l'Organizzazione Meteorologica Mondiale rilancia: il surriscaldamento globale non si è fermato con la pandemia del Covid-19.

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Le immagini degli incendi che stanno devastando la California – e non solo: altri undici Stati americani sono interessati dai fuochi in questi giorni, soprattutto in Oregon e Washington – rilanciano la domanda su quali siano i legami tra questi eventi “estremi” e il cambiamento climatico.

Finora nel 2020 i roghi hanno bruciato 3,1 milioni di acri in California, si legge nell’ultimo bollettino disponibile al momento (10 settembre), diffuso dal dipartimento californiano per le foreste e la protezione dagli incendi, California Department of Forestry and Fire Protection (CAL FIRE).

E ben sei dei venti incendi più estesi nella storia della California, si sono sprigionati proprio quest’anno. Solo nelle ultime tre settimane sono state letteralmente incenerite circa 4.000 abitazioni (nella foto San Francisco di giorno avvolta dal fumo degli incendi lontani anche centinaia di km).

Il maggiore di tutti è quello battezzato “August Complex” nella contea di Tehama, che ha interessato 471.000 acri con diversi gruppi di fuochi.

Gli incendi sono sempre stati comuni nei mesi più caldi e secchi in California e più in generale sulla costa ovest degli Stati Uniti; ma CAL FIRE afferma che la stagione degli incendi ogni anno inizia prima e finisce più tardi.

Il cambiamento climatico è considerato un fattore-chiave di questa tendenza (Climate change is considered a key driver of this trend).

Temperature più alte in estate, riduzione della coltre nevosa, scioglimento anticipato della neve in primavera, evidenzia CAL FIRE, contribuiscono a creare stagioni secche più intense e durature che, a loro volta, rendono le foreste maggiormente esposte al rischio di incendi disastrosi.

Torniamo a un punto essenziale della climatologia: il surriscaldamento globale antropogenico (cioè innescato dalle attività umane e soprattutto dall’uso di combustibili fossili che emettono CO2), aumenta la frequenza e l’intensità degli eventi estremi come ondate di calore, inondazioni, tifoni, incendi e così via.

Ricordiamo, infatti, che l’anidride carbonica agisce come una coperta stesa sull’atmosfera terrestre, perché la CO2 trattiene il calore: quindi se c’è troppa CO2 le temperature continuano a crescere. Lo scorso giugno, ad esempio, a ulteriore conferma della tendenza globale al surriscaldamento, le temperature avevano raggiunto un picco record di 38 gradi centigradi in Siberia.

E la stessa Siberia era stata coinvolta da gravi incendi lo scorso anno, con milioni di ettari di foreste andate in fumo e nubi di cenere che avevano raggiunto gli Stati Uniti e il Canada.

Intanto una nota dell’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO: World Meteorological Organization) riporta l’attenzione sulla necessità di costruire un modello energetico-economico più attento all’ambiente nella post-pandemia.

In sostanza, spiegano gli esperti della WMO, il lockdown è stato una parentesi quasi ininfluente per quanto riguarda l’accumulo complessivo di CO2 nell’atmosfera sul lungo periodo; si veda anche l’articolo Dal lockdown un effetto “trascurabile” sul clima: per questo servono subito politiche green oltre a questa intervista a Luca Mercalli.

In particolare, si legge nella nota, la concentrazione cumulativa di CO2 nell’atmosfera ha proseguito la sua crescita anche nel 2020: 414 ppm (parti per milione di molecole nell’atmosfera), registrate a luglio 2020 dall’osservatorio Mauna Loa nelle Hawaii, contro 411 ppm di luglio 2019.

In altre parole: per stabilizzare il clima bisognerebbe diminuire costantemente e di parecchi punti percentuali le emissioni di anidride carbonica.

Poi i climatologi si aspettano che il periodo 2016-2020 sarà il più caldo della storia, circa 1,1 gradi centigradi sopra la media registrata nel 1850-1900 e 0,24 gradi sopra la temperatura media globale del 2011-2015.

E nel periodo 2020-2024, sostiene la WMO, c’è una probabilità del 24% che almeno uno dei prossimi cinque anni registrerà una temperatura media più alta di 1,5 gradi in confronto all’epoca preindustriale.

Ricordiamo che mantenere a +1,5-2 gradi il surriscaldamento terrestre, rispetto all’età preindustriale, è l’obiettivo degli accordi sul clima siglati a Parigi nel 2015.

Insomma, il cambiamento climatico non si è fermato con il Covid-19 e anzi sta dipanando le sue conseguenze devastanti in tutto il mondo, come testimoniano anche gli incendi californiani di queste settimane.

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