Tanta CCS e troppa cautela sulle fossili: cosa non torna nel piano Ue sulle emissioni al 2040

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Le criticità della raccomandazione della Commissione europea sulla riduzione al 90% delle emissioni comunitarie secondo le principali associazioni ambientaliste.

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La raccomandazione non vincolante con cui la Commissione europea punta a ridurre del 90% le emissioni di CO2 entro il 2040 (rispetto ai livelli del 1990) è stata accolta con favore da analisti e associazioni ambientaliste ed energetiche, ma alcuni passaggi come il riferimento alla cattura e allo stoccaggio della CO2 (CCS) e alcune concessioni – ad esempio quelle fatte al settore agricolo in seguito alle proteste che sono sorte in tutta Europa – mettono in dubbio gli obiettivi net-zero fissati al 2050.

Il documento presentato ieri 6 febbraio a Bruxelles stabilisce una serie di condizioni necessarie per raggiungere il target del 90% fissato dall’European Scientific Advisory Board on Climate Change. Tra questi c’è la piena attuazione della legislazione concordata per ridurre le emissioni di almeno il 55% al 2030, che si accompagna però a un dialogo strategico sul quadro post 2030, anche con l’industria e il settore agricolo, e a un piano, illustrato in una comunicazione sull’Industrial Carbon Management, per lo sviluppo e la diffusione di tecnologie CCS e delle relative infrastrutture per creare un mercato unico della CO2 in Europa nei prossimi decenni.

Secondo L’European environmental bureau (Eeb) “l’eccessivo affidamento su tecnologie insufficienti e costose” come appunto la CCS, definita “l’ultima risorsa per fermare le emissioni per le quali non sono disponibili altre opzioni di decarbonizzazione”, e il mancato “obiettivo di riduzione delle emissioni per il settore agricolo” rischiano di trasformare i piani climatici comunitario in uno “spreco di tempo e risorse”. Nonostante le “buone intenzioni” contenute nel documento, secondo Eeb la Commissione non ha dato priorità alla riduzione delle emissioni “attraverso altri mezzi più efficaci dal punto di vista dei costi, come l’efficienza energetica e dei materiali”.

Anche l’Istituto per l’economia energetica e l’analisi finanziaria (Ieefa) ritiene che la strategia di gestione della CO2 stia puntando su tecnologie “non provate” che potrebbero indirizzare “ingenti somme di risorse pubbliche verso progetti inefficienti”. Andrew Reid, analista finanziario di Ieefa Europe, afferma: “L’ambizione della Commissione Europea di catturare la CO2 è significativa, circa 450 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2050, di cui circa il 40% proverrà dalla sola cattura diretta dell’aria (DAC), il più costoso processo di cattura della CO2. Per funzionare, la DAC avrà bisogno della propria energia a basse emissioni di CO2 e di adeguati siti di stoccaggio. Il costo va dai 600 ai 1.000 dollari per tonnellata, una cifra notevolmente superiore all’attuale sistema di scambio delle quote di emissione dell’Ue o al prezzo effettivo della CO2 di circa 60 euro”.

Sulle concessioni fatte agli agricoltori interviene ECCO Climate, uno dei principali think tank climatici italiani, che fa notare come il cambiamento climatico sia in particolare un rischio per il settore agricolo, che è uno di quelli che pagherebbe il prezzo più alto per l’inazione. “Questo settore rappresenta oltre il 10% delle emissioni europee – si legge in una nota – e pur subendo gli impatti del cambiamento climatico in maniera significativa, ha finora contribuito molto poco alla riduzione delle emissioni, dato che l’agenzia ambientale europea stima una riduzione delle emissioni del solo 4% nel 2030 rispetto al 2005 a politiche attuali”.

Le tempistiche del piano finiscono invece nel mirino del WWF, che in una nota “si rammarica che la Commissione abbia scelto l’obiettivo del 90% di riduzione al 2040, non prendendo in considerazione, tra gli scenari della valutazione, la possibilità di raggiungere la neutralità climatica entro il 2040 (anticipandola quindi di 10 anni rispetto agli obiettivi di metà secolo, ndr)”. Sul tavolo c’erano infatti tre possibili scenari di riduzione: fino all’80%, tra l’85% e il 90% e infine tra il 90% e il 95%.

“Considerando la responsabilità dell’Ue per le emissioni storiche, per il WWF sarebbe più giusto non fermarsi al 90%, ma puntare a zero emissioni nette entro il 2040”, spiega l’associazione. Come parte dell’obiettivo, la Commissione ha anche indicato come i settori dovrebbero contribuire agli sforzi per ridurre le emissioni. Osservando questa parte, “è evidente che non è prevista un’azione sufficiente sul fronte dell’uso del suolo, del cambiamento di uso del suolo e della silvicoltura (LULUCF), soprattutto attraverso il ripristino e la protezione degli ecosistemi naturali”.

Nella sua analisi, la Commissione europea considera “solo” circa 300 MtCO2eq all’anno per le attività LULUCF. “Raddoppiando questa cifra – sottolinea il WWF – l’Ue raggiungerebbe quasi la neutralità climatica entro il 2040”. Un altro passaggio fatto notare dall’associazione è quello che prevede l’eliminazione dei sussidi inefficienti ai combustibili fossili che non affrontano la povertà energetica o la giusta transizione”: “Tutti i sussidi ai combustibili fossili dovrebbero essere eliminati immediatamente – notano gli analisti – e le risorse liberate indirizzate per sostenere la transizione ecologica aiutando famiglie e imprese”.

Transport&Environment (T&E) si concentra invece sui 46 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep) di petrolio e di gas dalle emissioni unabated che secondo la Commissione nel 2050 l’Ue ancora utilizzerà, principalmente per il trasporto su lunghe distanze. “Ciò sarebbe sufficiente per continuare ad alimentare 900.000 voli transatlantici – scrive T&E in una nota – aggiungendo inutilmente 140 milioni di tonnellate di CO2 nell’atmosfera”.

Come detto, per il momento il documento proposto dalla Commissione europea non contiene obiettivi vincolanti: l’intenzione sarebbe quella di presentare una proposta legislativa dopo le elezioni europee di giugno, quando però il Parlamento e l’esecutivo comunitari potrebbero vedere indebolita la loro spinta ambientalista vista l’attesa ascesa dei partiti più conservatori.

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