Gli impatti del clima ignorati da economisti autoreferenziali

Mentre la maggior parte delle aziende europee non è in linea con la tassonomia verde Ue, molti fondi pensione continuano a basare i loro investimenti su modelli economici imperfetti che sottostimano i rischi climatici.

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Il mondo della finanza è ancora lontano dall’aver compreso i reali rischi del cambiamento climatico.

E ciò potrà avere conseguenze negative per milioni di persone. Molti fondi pensione, secondo un nuovo rapporto del think tank finanziario Carbon Tracker, includono investimenti particolarmente esposti ai rischi climatici.

Il punto è che economisti, banche e istituzioni finanziarie, tendono a prendere sottogamba i potenziali impatti del surriscaldamento globale sulle attività economiche, contribuendo ad alimentare un falso senso di sicurezza sulla stabilità finanziaria globale.

Intanto, secondo le ultime rilevazioni di ESG Book, piattaforma globale di dati sulle performance ambientali, sociali e di governance delle aziende, la maggior parte delle imprese europee non è allineata ai criteri della tassonomia verde Ue.

La tassonomia è la lista delle attività e degli investimenti considerati “sostenibili” dal punto di vista ambientale, secondo una serie di parametri, tra cui ad esempio il principio DNSH (Do no significant harm: non fare danni significativi).

In particolare, quasi due terzi delle aziende (427 su 683 esaminate, il 62,5%) hanno fatturati che non soddisfano alcun criterio della tassonomia. In altre parole, l’allineamento dei loro fatturati agli obiettivi ambientali è pari a zero.

Questo è un indicatore di quanto sia ancora diffusa la pratica del greenwashing: tante aziende fanno credere di essere verdi magari usando etichette ingannevoli sui prodotti o con pubblicità fuorvianti, mentre i loro conti economici dicono ben altro.

Ma c’è di più. La sottovalutazione sistematica dei rischi finanziari connessi ai cambiamenti climatici, potrebbe portare a ingenti perdite economiche per milioni di pensionati.

I fondi pensione, infatti, si affidano spesso a modelli economici autoreferenziali, basati su analisi costi-benefici che ignorano o sottostimano i potenziali esiti catastrofici del global warming.

È il succo delle ricerche svolte da Steve Keen, economista presso lo University College di Londra e autore dello studio intitolato “Can We Avoid Another Financial Crisis?” (Possiamo evitare un’altra crisi finanziaria?).

Secondo il documento, pubblicato da Carbon Tracker, molti fondi pensione utilizzano modelli di investimento che prevedono che un riscaldamento globale da 2 a 4,3 °C avrà un impatto minimo sui portafogli dei membri.

Questi modelli si fondano su stime errate degli economisti, per quanto riguarda i danni causati dagli eventi estremi (ondate di calore, alluvioni, siccità), la cui frequenza e intensità continua ad aumentare per via del cambiamento climatico.

Vale qui lo stesso appello fatto dai 100 scienziati ai media italiani: bisogna dire chiaramente quali sono le cause (antropiche) del cambiamento climatico, cioè l’uso massiccio di combustibili fossili, e come si può rimediare grazie alle energie rinnovabili e alle politiche di adattamento.

Altrimenti si cade nel campo delle fake news e del negazionismo climatico. Quindi anche gli economisti hanno un ruolo importante: hanno la responsabilità di elaborare modelli finanziari che tengano conto della scienza sul clima. Mentre le imprese hanno la responsabilità di divulgare correttamente i dati e le informazioni che riguardano le loro attività.

Invece, molti studi economici, utilizzati da diverse strategie di investimento tradizionali, ignorano i potenziali “punti di non ritorno” climatici, come la perdita dei ghiacci artici, che a loro volta potrebbero amplificare gli effetti del cambiamento climatico.

È un aspetto evidenziato anche da un recente rapporto dell’Institute and Faculty of Actuaries (IFoA) dell’Università di Exeter (si veda “Perché la finanza prende sottogamba i rischi climatici”).

Gli studi economici solitamente sono sottoposti a una revisione tra pari di altri economisti, escludendo quindi la scienza climatica. E ciò porta a ipotesi “scientificamente false”, scrive Keen.

In definitiva, c’è un enorme divario tra le attuali decisioni su dove e come investire, che presuppongono impatti relativamente modesti del surriscaldamento globale, e i probabili effetti reali futuri dei cambiamenti climatici sull’economia e sulla società.

Secondo Mark Campanale, direttore di Carbon Tracker, “è fondamentale che i regimi pensionistici inviino al mercato i giusti segnali di investimento” verso una transizione “rapida e ordinata” alle energie pulite, eliminando gradualmente le fonti fossili.

Il riscaldamento globale, sottolinea poi Keen, con un aumento delle temperature che per ora è sotto 1,5 °C, “sta già colpendo persone e aziende in tutto il pianeta: le ondate di caldo record, le inondazioni e le tempeste che si intensificano bloccano il commercio, danneggiano i raccolti, creano aree non assicurabili e compromettono le infrastrutture”.

Tuttavia, un’indagine su 738 articoli di economia climatica nelle principali riviste accademiche, evidenzia l’esperto, “ha rilevato che la previsione mediana degli economisti era che 3 °C di riscaldamento avrebbero ridotto il Pil globale solo del 5%”.

Nello studio ci sono tanti esempi di gestori di fondi, società di consulenza degli investimenti e istituzioni finanziarie, che utilizzano modelli “imperfetti”, dove si stima che l’aumento delle temperature globali (anche di parecchi gradi) comporterà perdite economiche relativamente piccole, a volte anche di pochissimi punti percentuali di Pil.

Il messaggio è chiaro: le previsioni economiche devono iniziare a prendere più sul serio la scienza del clima e i potenziali impatti del global warming.

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