C’è una sconnessione di fondo tra finanza e clima.
Spesso le istituzioni finanziarie sottostimano i reali rischi economici collegati ai cambiamenti climatici. Ciò avviene perché gli analisti finanziari, in molti casi, utilizzano modelli che non considerano in modo adeguato gli impatti causati dalla maggiore intensità e frequenza degli eventi estremi, come inondazioni, siccità, ondate di calore, incendi e così via.
Anche gli impatti sulla società del surriscaldamento globale, ad esempio le migrazioni di massa e l’insorgere di conflitti per la gestione delle risorse (cibo, acqua), sono spesso sottovalutati.
Questo, in sintesi, il campanello di allarme rilanciato da uno studio dell’Institute and Faculty of Actuaries dell’Università inglese di Exeter (link in basso), ripreso anche da un articolo del Financial Times.
Gli attuari sono i professionisti che cercano di determinare l’andamento futuro delle variabili economiche e demografiche, tramite le analisi statistiche, l’elaborazione di dati quantitativi e la valutazione dei rischi aziendali.
Dal documento emerge che gli scenari attuali, usati dal mondo finanziario e assicurativo, escludono molti degli impatti più gravi che possiamo aspettarci dal cambiamento climatico. In altre parole: molti modelli climatici sono troppo “benevoli”, quindi poco plausibili.
In alcuni casi, i modelli mostrano impatti finanziari limitati, o addirittura positivi, anche in scenari con un global warming ben sopra 1,5 °C rispetto all’età preindustriale.
Una semplice analogia è quella con il Titanic, evidenzia una nota dell’ateneo inglese che riassume il documento degli attuari. Guardando indietro dal ponte di poppa del Titanic, nel pomeriggio del 14 aprile 1912, si potrebbe ragionevolmente prevedere un viaggio tranquillo per New York; non ci sono prove che suggeriscano che le cose potrebbero andare storte.
Ma una mentalità di gestione del rischio presterebbe maggiore attenzione agli avvisi di iceberg e prenderebbe delle precauzioni, come inviare più vedette, cambiare rotta o ridurre la velocità.
Il punto, si spiega, è che alcuni modelli climatici sono retrospettivi e, come tali, semplicemente escludono molti dei rischi che potremmo affrontare.
Alcuni economisti, affermano gli autori dello studio, hanno stimato che un surriscaldamento di 3 °C avrebbe un impatto negativo di circa il 2% sul Pil, mentre le perdite economiche sarebbero assai più rilevanti.
L’errore fondamentale, in tanti casi, è presumere che il futuro sarà sostanzialmente come il passato, per quanto riguarda i cicli economico-finanziari e la capacità di adattamento alle diverse crisi globali.
Invece si dovrebbero usare modelli con “stress test” più realistici, riconoscendo che ci sono limiti pratici, oltre che fisici, nella nostra possibilità di adattarci a un Pianeta sempre più caldo e con eventi meteorologici sempre più devastanti.
Il cambiamento climatico, in definitiva, sta avvenendo più rapidamente del previsto. “Continuare a essere sorpresi implica che le nostre ipotesi su quanto velocemente il pianeta si riscalderà sono sbagliate, potremmo aver sottovalutato il cambiamento climatico”, avvertono gli autori.
Ecco perché rimane molta strada da fare, in termini di chiarezza, accuratezza e trasparenza, nella divulgazione dei rischi finanziari collegati al clima.
Indubbiamente è un esercizio molto complesso, perché ci sono molte incertezze, ad esempio sulle “risposte” del Pianeta a livelli crescenti di CO2 nell’atmosfera e sulla possibilità di innescare punti di non ritorno climatici con effetti che si rinforzano a vicenda (un esempio è lo scioglimento dei ghiacci artici che contribuisce a riscaldare gli oceani).
Essere consapevoli di questi errori nella gestione del rischio finanziario, quindi, è il primo passo per sviluppare modelli più realistici ed essere preparati alle sfide future.
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