La consulenza energetica mondiale diventa verde. Ma solo a metà…

Si prevedono scenari di transizione energetica molto spinti verso le rinnovabili, ma al tempo stesso si stima una grande resistenza delle fossili, magari esagerando le possibilità del CCS. È il caso dell’ultimo rapporto di Ernst & Young.

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Qual è il segno più chiaro che la transizione energetica è inarrestabile? Gli attivisti che si incollano ai quadri? I politici che improvvisamente si scoprono “verdi”? Gli accordi fra nazioni?

No, forse il segnale più evidente di questo fenomeno storico che cambierà il mondo va ricercato nella finanza, in quell’arido ambiente dove circolano poco sogni, fantasie, appelli al buon senso e al bene comune, e molto i grafici su profitti e valutazioni dei rischi degli investimenti.

Dunque, la finanza sta finalmente assumendo una tinta “più verde” di prima (verde dollaro, naturalmente), indicando che investire in rinnovabili è la scelta sempre più sicura e conveniente.

Peccato che sia ancora incapace di fare il passo successivo, cioè dire agli investitori di fuggire dai fossili, che rischiano di far diventare fossile anche il loro denaro.

Lo dimostra anche l’ultimo, contraddittorio, rapporto di una delle agenzie di consulenza direzionale, industriale e finanziaria più importanti e ascoltate del mondo, Ernst & Young (EY), gigante multinazionale con 300mila dipendenti.

Il documento, Energy and resources transition (pdf), presenta un modello dell’economia mondiale realizzato alla EY, che tiene conto delle 6 variabili che stanno ridisegnando il nostro settore energetico.

  1. La tecnologia delle rinnovabili continua ad avanzare ed è ormai talmente matura che pure in un periodo di alta inflazione, l’LCOE del solare resta del 29% inferiore di quello del più economico combustibile fossile (il carbone), tanto che 189 GW (l’89%) dei progetti di grande scala a rinnovabili del 2022, forniranno elettricità ai prezzi più bassi dei mercati locali. Questo trend non si invertirà. Nonostante in 10 anni il MWh solare sia già calato di prezzo dell’88% e quello dell’eolico del 60%, si continuano ad annunciare progressi sia tecnologici che di scala, che porteranno a ulteriori diminuzioni.
  2. Le tecnologie stanno convergendo: internet, digitalizzazione, AI, batterie, nuovi materiali e tante altre innovazioni stanno aiutando la diffusione delle rinnovabili rispetto al mantenimento del comparto fossile, che tecnologicamente, in 200 anni, ormai ha dato tutto quello che aveva da dare. Pensiamo solo alla potenzialità di decarbonizzazione date dall’intreccio fra auto elettrica, rinnovabili, pompe di calore, batterie e sistemi elettronici che gestiscano la carica dell’auto che il suo uso come accumulatore per la casa.
  3. I consumatori stanno cambiando approccio. La Gen Z e i millennial sono ormai la maggioranza delle persone, e quelle più interessate alla sostenibilità: una ricerca di EY su 70mila consumatori in 18 mercati ha rivelato che circa la metà comprerà probabilmente un veicolo elettrico come prossimo veicolo. Tutto ciò fa pensare che questi mezzi supereranno le vendite di tutti tipo di vetture entro il 2030. Il 62% ha acquistato o sta pensando di installare pannelli solari e il 50% le batterie di accumulo.
  4. La sostenibilità è al centro delle agende di sempre più aziende. Non tanto perché siano diventate “green”, ma perché subiscono una pressione crescente da parte di investitori, clienti e normative climatiche. Risultato: i capitali, che prima finivano quasi tutti nel gorgo delle fonti fossili stanno cambiando rotta. Il sorpasso è avvenuto nel 2017, e ormai si sta per assistere a un doppiaggio: nel 2022 siamo arrivati a 1700 mld $ verso le rinnovabili, i fossili sono 1000 mld. Il fatto che la COP28 abbia deciso quella criticabile “uscita graduale” da questi ultimi, non farà che accelerarne la fuga, perché chi continuerà a buttarci sopra capitali rischia di vedere il proprio investimento bloccato in giacimenti inutilizzabili.
  5. La geopolitica, e in particolare la guerra in Ucraina, ha ridefinito l’importanza della sicurezza energetica. Un tempo questa si traduceva in cercare nuovi giacimenti, oggi in prodursi da soli l’energia con le rinnovabili. Queste nuove fonti faranno finire i conflitti? Forse no, visto che molte nazioni stanno tentando di diventare superpotenze energetiche “verdi”, sfruttando l’ubicazione e la disponibilità di risorse naturali. Ad esempio, gli Stati Uniti stanno tentando di riprendere alla Cina il controllo delle filiere industriali; Australia e Arabia Saudita vogliono diventare superpotenze dell’energia solare e il Cile punta ad essere il maggior fornitore di litio per le batterie, e così via. Ma la natura distribuita, variegata e multi tecnologica delle rinnovabili, renderà difficile la creazione di veri e propri, ma farà nascere altri protagonisti, come per esempio la ricchissima Mauritania, in fatto di vento e sole, che la danese GreenGo vorrebbe far diventare fornitrice di elettricità e idrogeno verde per l’Europa e per il suo sviluppo.
  6. La sicurezza nell’investimento: come si fa a sapere quanto renderanno fonti come quelle fossili, che un giorno costano 10 e il giorno dopo 100, solo perché una qualche crisi ne ha bloccato la produzione o il commercio? Certo, tutto questo può far arricchire chi le produce, ma non invoglia i consumatori a investire in questi prodotti. Oggi le alternative, solare ed eolico, hanno una produzione quasi costante e garantita: sai quanto ci investi e sai quanto ti ritornerà anno dopo anno. Per questo nell’Ue la loro produzione sarà acquistata dalla rete praticamente a “prezzo fisso”, uscendo dalla contrattazione in Borsa. Non a caso le rinnovabili sono diventate le “cocche delle banche”, che con loro non rischiano certo brutte sorprese nel recupero del denaro dato in prestito.

Nonostante tutte queste premesse che sembrano indicare la fine dei fossili, al netto comunque di tante potenziali contraddizioni, il modello di EY prevede che petrolio, gas e carbone copriranno al 2050 ancora circa la metà delle forniture di energia: 87.000 TWh su 153.000 di consumi totali (contro i 131.000 attuali).

Le rinnovabili (83% solare ed eolico) e nucleare (che crescerà molto solo in Cina) copriranno il 62% del settore elettrico (oggi sono al 30%), passando da 30.000 a 49.000 TWh. Altri 5.000 TWh non fossili arriveranno sotto forma di idrogeno e 12.500 TWh dalle bioenergie.

Al 2050, precisa il modello, il 55% della crescita dell’elettricità sarà legata all’industria, che userà questo vettore per molte più lavorazioni.

L’estrazione di petrolio scenderà da 100 a 80 milioni di barili al giorno, e il 63% del calo sarà dovuto ai trasporti su strada elettrificati. Un altro 10% della domanda per i trasporti verrà coperto da e-fuel e biofuel.

Sempre a metà secolo, i consumi di metano passeranno da 4000 a 3200 mld di metri cubi annui: l’80% della riduzione dipenderà dalla diminuzione dei consumi residenziale e della produzione di energia elettrica.

Del carbone il rapporto EY, pudicamente, non fa menzione, ma dai suoi grafici sembra di capire che, secondo loro, al 2050 se ne consumerà tanto quanto oggi, soprattutto per la possibile inerzia del colosso cinese.

La domanda, a questo punto, è come si potrà rispettare l’impegno a restare sotto almeno i 2 °C di aumento delle temperature, se bruceremo ancora così tante fossili fino al 2050?

Ed ecco la solita soluzione propinata da chi guarda un po’ avanti e un po’ indietro: il CCS, la cattura e stoccaggio della CO2.

Secondo gli analisti di EY, i due terzi degli impianti a fonti fossili in uso allora saranno dotati di questa “magica” tecnologia, evitando di aggiungere CO2 in atmosfera.  

La soluzione per la sopravvivenza dei fossili, insomma, sarebbe separare dai loro fumi miliardi di tonnellate di CO2 e stiparle non si sa bene dove, e senza sapere con quale sicurezza e a che costi.

È evidente che la conversione verde di EY è ancora bloccata metà: non riesce a immaginare, oppure non osa proporre ai suoi clienti, uno scenario in cui si faccia del tutto, o in gran parte, a meno di gas, carbone e petrolio.

Noi non abbiamo l’expertise degli economisti di EY e la potenza di calcolo dei loro computer, però ricordiamo che in passato ogni modello riguardante la crescita delle rinnovabili è stato stracciato dalla realtà.

Inoltre sappiamo anche che il punto di forza dell’uso delle fonti fossili è sempre stata la loro semplicità ed economicità, e dotarle di CCS, una tecnologia che per ora ha collezionato solo clamorosi fallimenti, le renderà così costose e macchinose da usare, e che il CCS avrà un solo risultato positivo: spostare sempre più investimenti e installazioni dal settore delle fossili a quello delle rinnovabili.

In altre parole, le energie rinnovabili al 2050 saranno così economiche e semplici da utilizzare, avendo superato anche i loro problemi di programmabilità con sistemi di accumulo avanzati di tutte le taglie e durate, da non esserci più ragioni per non sceglierle per la produzione energetica, soprattutto se la concorrenza diventerà sempre più costosa.

La tendenza è che sempre più roadmap nazionali e internazionali prevederanno a lasciare sotto terra risorse di gas, carbone e petrolio? Probabile.

Quindi, cari analisti di EY e vostri colleghi consulenti, fate un ultimo coraggioso sforzo e tirate qualche conclusione più realistica dalle vostre stesse premesse: il mondo delle energie fossili è al tramonto, e non sarà la stampella del CCS a farlo sopravvivere per altri 30 o 40 anni.

Forse non sarà una bella notizia da dare a molti dei vostri clienti, ma almeno cominceranno a valutare meglio dove davvero convenga investire i propri capitali.

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