Approvato il Piano italiano di adattamento ai cambiamenti climatici

Il ministero dell'Ambiente e della Sicurezza energetica ha firmato il decreto a fine dicembre. Gli impatti più importanti indicati per energia e reti elettriche. C'è poco su ciò che va veramente fatto e su come va fatto.

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Ridurre al minimo possibile i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, migliorare la capacità di adattamento agli eventi estremi come inondazioni, ondate di calore e siccità, trarre vantaggio dalle eventuali opportunità che si potranno presentare con le nuove condizioni climatiche.

Questi gli obiettivi principali del nuovo Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), approvato con il decreto 434/2023 dello scorso 21 dicembre dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica.

Nell’introduzione al documento si evidenzia che “i cambiamenti climatici rappresentano e rappresenteranno in futuro una delle sfide più rilevanti da affrontare a livello globale ed anche nel territorio italiano”, perché l’Italia si trova nel cosiddetto “hot spot mediterraneo”, un’area geografica “identificata come particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici”.

Gli impatti economici, sociali e ambientali dei rischi climatici “sono destinati ad aumentare nei prossimi decenni”, da ciò la necessità di intervenire con misure specifiche in tutti i settori, tra cui impianti e infrastrutture, trasporti, tutela degli ecosistemi e della biodiversità, agricoltura, pesca, dissesto idrogeologico.

In particolare, entro tre mesi dal decreto di approvazione del Pnacc, sarà istituito l’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici con relativa segreteria tecnica, con funzioni di indirizzo e coordinamento per pianificare e attuare le misure del piano stesso.

Tra le considerazioni più focalizzate sul tema energetico, il piano osserva che la “principale relazione tra cambiamenti climatici ed energia è inerente all’incremento della domanda di raffrescamento che determina un aumento dei consumi di energia elettrica nel periodo estivo, direttamente collegato all’innalzamento delle temperature medie”.

Lo stesso fenomeno “determinerà una minore richiesta di energia per soddisfare la domanda di riscaldamento nel periodo invernale”.

Guardando poi alla produzione di elettricità, la maggiore intensità e frequenza degli eventi meteo estremi, se accompagnata da una riduzione delle precipitazioni cumulate, potrà incidere in modo sempre più marcato sul rendimento degli impianti idroelettrici come già avvenuto nel 2022.

Difatti, si legge nel documento, “un fattore di enorme rilevanza è la variabilità delle precipitazioni e l’aumento della frequenza dei periodi siccitosi con conseguenti problemi dal punto di vista gestionale, soprattutto se alcuni invasi dovessero essere chiusi per la mancanza di condizioni economiche per il loro sfruttamento”.

L’aumento della temperatura inciderà poi sul settore termoelettrico, “anche in relazione al fabbisogno idrico del settore per il raffreddamento degli impianti”, come sottolineato da Terna nel suo ultimo rapporto sull’adeguatezza del sistema elettrico nazionale.

Potenziali impatti rilevanti potranno riguardare le reti elettriche.

L’aumento della temperatura determina “un aumento della resistenza dei cavi, e quindi delle perdite di trasmissione, e rende più difficile la dissipazione del calore prodotto. Per ogni grado di aumento della temperatura, la capacità dei trasformatori può ridursi fino all’1%, mentre la resistenza dei cavi di rame aumenta all’incirca dello 0.4%; nell’insieme, la capacità di una rete si riduce dell’1% circa per ogni grado centigrado di aumento della temperatura”.

Per i cavi sotterranei, si spiega, “la capacità di trasporto diminuisce con l’aumento delle temperature e con la riduzione dell’umidità del suolo ed è quindi influenzata dagli episodi di siccità”.

Tra gli altri possibili rischi per le reti e le infrastrutture energetiche si parla degli incendi, soprattutto in condizioni climatiche calde e secche con raffiche di vento, oltre alla caduta di rami e alberi.

Secondo WWF Italia, il Pnacc, nonostante le diverse consultazioni e l’unanime denuncia della mancata identificazione di azioni davvero in grado di anticipare i cambiamenti provocati dalla crisi climatica e dei finanziamenti necessari, “è analogo a quello precedente e ha gli stessi limiti: mancanza di decisioni chiare e coraggiose, ottima identificazione sintetica dei possibili impatti e problemi, scarsa e deficitaria individuazione delle cose da fare e di come finanziarle”. 

Secondo l’associazione ambientalista, quindi, va preso come un primo passo: spetterà soprattutto ai decreti attuativi e agli organi di governance cercare di correggere gli evidenti limiti e costruire un percorso che porti a quell’approccio sistemico che pure il Pnacc richiama.

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