Livelli di gas serra nell’atmosfera fuori controllo, temperature superficiali da record, dimensioni dei ghiacciai ridotte al minimo ed eventi catastrofici sempre più estremi e frequenti, che sconvolgono la vita di milioni di persone e causano danni economici per svariati miliardi di dollari.
La desolante fotografia dell’attuale situazione climatica in cui versa la Terra arriva dall’ultimo rapporto dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo), pubblicato ieri 19 marzo e denominato “State of the Global Climate 2023” (link in basso), che ha confermato come il 2023 sia stato l’anno più caldo nei 174 anni di dati a disposizione, con la temperatura media globale in prossimità della superficie pari a +1,45 °C (con un margine di incertezza di 0,12 °C), al di sopra dei valori preindustriali. Infranto il record del 2016 con 1,29 °C sopra la media del periodo 1850-1900 e del 2020 con +1,27 °C.
A livello globale, ogni mese da giugno a dicembre ha registrato rispettivamente temperature record, con luglio, agosto e settembre a rappresentare il periodo con il disavanzo più ampio rispetto al passato. Le zone più colpite sono state l’Atlantico nordorientale, il Golfo del Messico, i Caraibi, il Pacifico settentrionale e vaste aree dell’Oceano Antartico, che hanno subìto diffuse ondate di caldo marino.
Questo ha portato a una progressiva acidificazione degli oceani – con tutte le conseguenze negative sulla biosfera – e a un rapido scioglimento dei ghiacciai. L’estensione del ghiaccio marino antartico nel 2023 è stata di gran lunga la più bassa mai registrata, con il valore massimo – riscontrato alla fine dell’inverno – pari a 1 milione di chilometri quadrati in meno rispetto all’anno precedente.
Come conseguenza, il tasso di innalzamento medio globale del livello del mare si è alzato. Negli ultimi dieci anni (2014-2023) è più che raddoppiato rispetto al primo decennio analizzato tramite dati satellitari (1993-2002).
Il cambiamento climatico ha anche acuito la portata e la frequenza degli eventi meteorologici estremi. Il Wmo cita le inondazioni legate alle precipitazioni estreme causate dal ciclone mediterraneo Daniel che hanno colpito Grecia, Bulgaria, Turchia e Libia, oppure il ciclone tropicale Freddy di febbraio e marzo 2023, uno dei più longevi del mondo, con impatti devastanti su Madagascar, Mozambico e Malawi.
La stagione degli incendi in Canada è stata la peggiore mai registrata, con una superficie totale bruciata a livello nazionale di 14,9 milioni di ettari, più di sette volte la media a lungo termine. E ancora, il caldo estremo che ha colpito le città dell’Europa meridionale e nel Nord Africa, soprattutto nella seconda metà di luglio, con temperature che in Italia hanno raggiunto i 48,2 °C.
Tra tanto catastrofismo c’è però un barlume di speranza, rappresentato dalla transizione energetica. Nel 2023, l’aggiunta di potenza rinnovabile è aumentata di quasi il 50% rispetto al 2022, per un totale di 510 GW, il dato più alto osservato negli ultimi due decenni.
Alla riunione di Copenaghen del 21-22 marzo i leader e i ministri del Clima di tutto il mondo si incontreranno per la prima volta dalla COP28 di Dubai per discutere dei miglioramenti da apportare ai contributi determinati a livello nazionale (NDC) prima della scadenza di febbraio 2025.
Si dovrà parlare inevitabilmente anche di soldi. Nel biennio 2021-2022 i flussi finanziari globali legati al clima hanno raggiunto quasi 1,3 trilioni di dollari, raddoppiando rispetto ai livelli del 2019-2020. Ciononostante, secondo stime della Climate Policy Initiative – gruppo di ricerca indipendente per la politica climatica con sede negli Usa – i flussi di finanziamenti per il clima rappresentano solo circa l’1% del Pil globale.
Il costo dell’inazione, legato alle riparazioni materiali e ai risarcimenti dovuti, non è però da sottovalutare: considerando il periodo 2025-2100, il costo totale previsto dal Wmo è di 1.266 trilioni di dollari.