Greta Thunberg “contro” Donald Trump: energia e clima a un bivio nel 2020

L’urgenza di agire per salvare l'umanità contro il negazionismo climatico in scena al forum di Davos. Come si è chiuso il 2019 e cosa aspettarsi dall’anno appena iniziato.

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Chi si aspettava un confronto risolutivo (anche se a distanza) tra Greta Thunberg e Donald Trump al forum economico internazionale in corso a Davos, in Svizzera, probabilmente è rimasto un po’ deluso.

La giovane attivista svedese, che ha saputo mobilitare milioni di persone in tutto il mondo contro il cambiamento climatico, ha ripetuto il suo mantra ecologista: bisogna ascoltare la scienza e ridurre immediatamente la produzione e l’utilizzo di combustibili fossili, anche se “quasi nulla è stato fatto”, ha ammesso Greta, per diminuire le emissioni inquinanti, che difatti nel 2019 sono aumentate rispetto ai dodici mesi precedenti, tanto che l’anno appena passato è stato uno dei più caldi di sempre.

Il presidente americano, dal canto suo, pur senza menzionare direttamente il cambiamento climatico, ha dichiarato che bisogna stare lontani dalle previsioni apocalittiche di un futuro avverso e che, anzi, “siamo sulla soglia di riserve virtualmente illimitate di energia, inclusi i carburanti tradizionali, il carbone pulito, il nucleare di nuova generazione e il gas”.

Tra le tante bufale di Trump, vale la pena ricordare almeno quella sulle “molecole di libertà” da esportare in tutto il globo, dove le molecole di libertà sarebbero quelle del gas da scisto (shale gas) estratto dai giacimenti americani, forieri di una nuova stagione di indipendenza energetica e investimenti crescenti in combustibili fossili.

In sostanza, nella prima giornata di Davos è andato in scena un botta-risposta tra due personaggi che incarnano i valori di generazioni inconciliabili: impossibile comunicare se c’è il negazionismo climatico da una parte e l’urgenza di agire per salvare l’umanità, dall’altra.

Il “match” Greta Thunberg vs Donald Trump riassume i confini di un’umanità che nel 2020 si trova, letteralmente, di fronte a un bivio (vedi anche il nostro editoriale): ascoltare la scienza, come esorta Greta, o ascoltare l’ottimismo in salsa americana condito di fake news sul clima, come invita a fare Donald.

E in mezzo cosa troviamo?

Troviamo qualche segnale positivo e tante contraddizioni. C’è l’Europa che sta provando a innalzare le sue ambizioni per combattere i cambiamenti climatici, con un piano, il Green Deal, che dovrebbe portare il nostro continente ad azzerare le emissioni nette di anidride carbonica nel 2050.

Ci sono paesi che stanno tentando di rinunciare al carbone, come la Germania che ha appena concordato un piano per chiudere gli impianti, e altri che invece, come la Cina, stanno faticando moltissimo a smarcarsi dalla loro dipendenza da questa fonte energetica; Pechino sta addirittura costruendo nuove centrali a carbone.

Negli Stati Uniti, nonostante la predilezione di Trump per le risorse fossili, stanno aumentando gli investimenti in rinnovabili e diversi stati americani hanno già fissato obiettivi per produrre il 100% di elettricità a zero emissioni entro metà secolo.

Poi però tutto finisce per cozzare contro l’incapacità di negoziare misure concrete e vincolanti su scala mondiale con cui tagliare velocemente e drasticamente le emissioni: la CoP 25 di Madrid ha fallito sui temi più importanti, come la definizione di un mercato internazionale del carbonio, e ha rimandato il dibattito alla prossima conferenza che si terrà a dicembre a Glasgow.

Il punto, in definitiva, è che se si volessero prendere sul serio i numerosi campanelli d’allarme lanciati da climatologi e scienziati (tra gli ultimi in ordine di tempo c’è stato il monito del programma ambientale delle Nazioni Unite prima della CoP 25: bisogna ridurre almeno del 2-3% l’anno le emissioni per limitare il surriscaldamento terrestre) si dovrebbero adottare politiche energetiche e ambientali di vastissima portata.

E cittadini, governi, imprese, sarebbero pronti ad accettarle?

Può darsi, se è vero che tra i peggiori incubi degli investitori ci sono i rischi associati ai cambiamenti climatici, come ha evidenziato l’ultimo rapporto del World Economic Forum alla vigilia di Davos: disastri naturali, eventi meteorologici estremi, fallimento delle politiche per adattare il sistema economico alle minacce ambientali.

Anche l’Agenzia internazionale dell’energia, tradizionalmente conservatrice su certi temi (ricordiamo quante volte ha sbagliato, e di molto, le stime sulla crescita delle rinnovabili), ha suonato una sveglia per l’industria fossile, sollecitandola a investire molto di più e subito in tecnologie pulite.

Non resta che vedere che piega prenderà il 2020: tra gli appuntamenti cruciali ci saranno le elezioni Usa di novembre e magari sarà l’occasione per mettere a tacere il negazionismo climatico di Trump.

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