Si precisano i dettagli dell’uscita tedesca dal carbone anche se restano le critiche da ambo le parti (associazioni ambientaliste da una parte, industrie e utility dall’altra) sul piano concordato tra governo federale e regioni minerarie.
Tra i punti principali dell’accordo raggiunto da Berlino con quattro stati federati (Sassonia-Anhalt, Sassonia, Nord Reno-Westfalia, Brandeburgo), informa una nota del governo, ci sono 40 miliardi di euro di sostegno finanziario complessivo per aiutare le regioni interessate a riconvertire le loro economie verso altri settori industriali, sviluppando nuovi investimenti e creando nuovi posti di lavoro.
Inoltre, spiega la stessa nota, gli operatori delle centrali a carbone riceveranno in totale 4,35 miliardi di euro nei prossimi 15 anni a titolo di compensazioni economiche per la chiusura anticipata dei loro impianti.
Ricordiamo che esattamente un anno fa, a gennaio 2019, la commissione speciale incaricata da Berlino di elaborare una strategia per uscire dal carbone aveva pubblicato le sue raccomandazioni, indicando il 2038 come data per lo stop definitivo all’utilizzo di questa fonte fossile.
E lo scorso agosto, l’esecutivo di Angela Merkel aveva approvato un disegno di legge per supportare gli stati minerari nel loro graduale abbandono del carbone, una “legge per il rafforzamento delle strutture” (Strukturstärkungsgesetz che è lo stesso provvedimento entrato nell’accordo tra il governo e i quattro stati federati) con cui realizzare progetti di diverso tipo: infrastrutture, energie rinnovabili, conservazione della natura, mobilità sostenibile e così via.
Più in dettaglio, l’intesa, che dovrà essere formalizzata nei dettagli dal parlamento nelle prossime settimane, riguarda la chiusura delle centrali a lignite (si parla infatti di “brown coal”), le più numerose e inquinanti del mix elettrico fossile della Germania, con la possibilità di anticipare di tre anni il fermo totale di tutti gli impianti, quindi al 2035.
Tra i punti dell’intesa c’è anche la tutela della foresta di Hambach, divenuta il simbolo delle proteste contro il carbone, perché RWE intendeva disboscare il territorio per creare spazio a nuove miniere a cielo aperto.
Il ministero tedesco per l’economia e l’energia ha anche pubblicato il calendario con le previste chiusure dei singoli impianti (clicca sulla tabella per ingrandirla).
La prima tranche comprende un totale di quasi 3 GW al 2022; nel periodo 2025-2030 si punta a fermare altri 6-7 GW di unità a carbone arrivando infine a zero nel 2038 (oppure 2035).
Tuttavia, l’accordo non è piaciuto alle associazioni ambientaliste.
Secondo Olaf Bandt, presidente di BUND (Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschland), parte della rete di organizzazioni ecologiste Friends of The Earth, “il cosiddetto accordo è uno scandalo per le politiche energetiche e climatiche” perché ad esempio tra 2022 e 2025 non è prevista alcuna chiusura e una buona fetta delle unità a carbone sarà fermata solamente dopo il 2030.
Ricordiamo che la Germania è alle prese con un compito difficile: rinunciare sia al carbone sia al nucleare in una transizione energetica che dovrebbe puntare al 65% di rinnovabili nel 2030.
Intanto nel 2019 il paese è riuscito a produrre il 46% circa dell’energia elettrica con le rinnovabili con punte del 64-65% in alcuni periodi, grazie soprattutto all’eolico che ha fatto il 25% della generazione totale.
Ma utility e industrie temono che l’uscita contemporanea da carbone e nucleare comporterà rischi di approvvigionamento elettrico e un aumento dei costi energetici; anche molti operatori delle rinnovabili sono preoccupati perché temono che la Germania non potrà raggiungere gli obiettivi per le energie pulite, tanto da sollecitare in più occasioni uno snellimento della burocrazia e delle autorizzazioni per costruire nuovi impianti eolici e solari.
E la transizione tedesca non è esente da situazioni davvero paradossali: si parla di uscire dal carbone ma proprio quest’anno è prevista l’entrata in esercizio di una nuovissima centrale che utilizzerà questo combustibile fossile, Datteln 4 da 1.100 MW nell’omonima città della Renania settentrionale.