G20 di Napoli: nulla di fatto su uscita dal carbone e riduzioni più veloci delle emissioni

L'opposizione di alcuni paesi, soprattutto Cina e India, ha portato a escludere questi punti fondamentali dagli accordi finali.

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Il G20 di Napoli ha mancato il bersaglio proprio sui due punti chiave che avrebbero fatto la differenza nella lotta contro il cambiamento climatico: fissare una data di uscita dalla generazione elettrica a carbone e accelerare gli sforzi nel decennio 2021-2030 per ridurre più velocemente le emissioni di anidride carbonica.

Così il documento finale del G20 partenopeo su energia e clima ha sostanzialmente le armi spuntate e sarà molto più difficile, per non dire impossibile, salvo correzioni di rotta prima della CoP 26 di Glasgow a novembre, contenere il surriscaldamento globale a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali.

Europa, Stati Uniti, Canada e Giappone erano favorevoli a impegni più ambiziosi su uscita dal carbone e taglio delle emissioni, ma le opposizioni di altri paesi, Cina e India in primis, hanno impedito di includere questi punti nel testo.

Confermato l’impegno a sostenere le nazioni in via di sviluppo con finanziamenti pari a 100 miliardi di dollari l’anno, come previsto dagli accordi di Parigi.

Una vera svolta nella transizione energetica non c’è stata, anche se il ministro della Transizione ecologica (MiTe), Roberto Cingolani, al termine del vertice di Napoli ha affermato che il documento su cui hanno concordato i diversi paesi “era impensabile fino a pochi anni fa”.

Per quanto riguarda le tecnologie pulite, una nota del MiTE riprende alcuni passaggi del documento del G20: si sottolinea, ad esempio, il grande potenziale delle rinnovabili offshore e dell’energia oceanica, si riconosce che le misure di efficienza energetica hanno un ruolo determinante per la riduzione dei gas serra e la promozione della crescita economica sostenibile.

La nota chiarisce poi che (neretti nostri) “è opportuno agire su efficienza, modelli di produzione e consumo sostenibili e circolarità, consapevoli che nessun singolo carburante o tecnologia da solo può consentire all’intero settore energetico di ridurre le emissioni […]”.

Si cita anche il contributo che dovrà arrivare dall’idrogeno, soprattutto nei settori dove è più difficile abbattere le emissioni di CO2, come trasporti e industrie pesanti.

Inoltre, “si riconosce la necessità di continuare a investire per le tecnologie rinnovabili, insieme alla riduzione dell’uso del metano, e di procedere spediti verso la riduzione della povertà energetica. Viene riconosciuto che sistemi energetici convenienti, affidabili, sostenibili e moderni sono essenziali per proteggere il nostro pianeta e la sua gente. Inoltre, si sottolinea l’importanza degli sforzi esplorando la più ampia varietà di opzioni in base ai contesti nazionali al fine di raggiungere transizioni energetiche green ambiziose e realistiche, garantendo al contempo un approvvigionamento energetico stabile“.

Tuttavia, nel complesso, le politiche per il clima dei paesi del G20 sono del tutto insufficienti per traghettare il mix economico-energetico mondiale verso le emissioni zero a metà secolo, come evidenzia il “Climate Policy Factbook pubblicato nei giorni scorsi da Bloomberg Philanthropies e Bloomberg New Energy Finance.

Ad esempio, i governi del G20 dal 2015 al 2019 hanno sostenuto l’industria dei combustibili fossili con circa 3.300 miliardi di dollari complessivi (3,3 trilioni), in buona parte sotto forma di esenzioni e riduzioni fiscali.

Ricordiamo poi che a giugno il G7 su energia e clima aveva fissato impegni più ambiziosi, anche se con poca chiarezza sui fondi, tra cui lo stop a una parte dei sussidi alle fonti fossili e ai finanziamenti internazionali destinati alle nuove centrali a carbone.

Le critiche degli ambientalisti

Secondo Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia, “anche se il documento approvato al G20 ambiente di Napoli ribadisce formalmente gli impegni dell’Accordo di Parigi, non contiene due punti cruciali. Il primo è l’obiettivo di dimezzare le emissioni entro il 2030 e l’altro, collegato di fatto al primo, è quello di uscire più rapidamente dall’uso del carbone. In questo modo, l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura del pianeta entro 1,5 °C è già sostanzialmente saltato“.

D’altronde, evidenzia Onufrio, “il successo politico dell’Accordo di Parigi era anche legato a un quadro di cooperazione tecnologica Usa-Cina che oggi sembra far parte di un’epoca remota”.

Pertanto, secondo il direttore di Greenpeace Italia, con queste divergenze tra paesi sui tempi della transizione energetica e climatica, “il vertice G20 di Roma a ottobre non potrà essere un successo” e anche la possibilità di riuscita della CoP 26 a Glasgow “è oggi ridotta al lumicino”.

Mentre per il Wwf, si legge in una nota (neretti nostri), “appare evidente che le politiche energetiche devono ancora davvero incorporare il rischio climatico e che il pericolo di scelte volte a tenere in gioco i combustibili fossili e le emissioni che hanno determinato il riscaldamento globale non è scongiurato. Per esempio, avremmo voluto vedere molto più coraggio sulle scelte verso le tecnologie pulite e rinnovabili e sull’abbandono dei fossili, oltre che più concretezza sull’efficienza energetica”.

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