Abbiamo tradito l’Accordo di Parigi e la colpa è per l’80% di 57 enti

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Nei sette anni successivi alla COP21 le emissioni hanno continuato a crescere e l'80% della CO2 emessa dal 2016 al 2022 è imputabile a 57 produttori di combustibili fossili e cemento, mostra un'analisi di Influence Map

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Anche dopo la firma dell’Accordo di Parigi, nel 2015, le emissioni hanno continuato ad aumentare, compromettendo l’obiettivo di fermare  a 1,5 °C l’aumento della temperatura rispetto ai livelli preindustriali.

Nei sette anni successivi all’Accordo di Parigi, che ricordiamo è stato sancito nel corso della COP21, 58 aziende su 100 hanno fatto registrare emissioni più elevate rispetto allo stesso periodo precedente il patto.

Questo aumento è più pronunciato in Asia, dove 13 aziende su 15 (87%) valutate nell’indagine sono collegate a emissioni più elevate nel 2016-2022 rispetto al 2009-2015, e in Medio Oriente, dove questo numero è di 7 aziende su 10 (70%). In Europa, 13 aziende su 23 (57%), in Sud America, 3 aziende su 5 (60%) e in Australia, 3 aziende su 4 (75%) hanno fatto registrare un aumento delle emissioni, così come 3 su 6 (50%) aziende africane. Il Nord America è l’unica regione in cui la proporzione si inverte: sono 16 su 37, il 43%.

Nei sette anni dal 2016 al 2022 è stato emesso il 12,2% del totale della CO2 dall’inizio del monitoraggio, mentre 6 dei 10 anni con più emissioni sono avvenuti dopo gli accordi di Parigi. Il tutto senza considerare l’eventualità che i dati possano essere sottostimati.

Questi i numeri che arrivano database “Carbon Majors”, pubblicato dal think tank climatico Influence Map (link in basso), che tiene traccia di 1.421 gigatonnellate di CO2 equivalente (GtCO2e) di emissioni storiche cumulative dal 1854 al 2022, in capo a 122 produttori industriali, le cui azioni equivalgono al 72% delle emissioni globali di CO2 legate alla produzione di combustibili fossili e cemento.

Il database classifica le entità in tre tipi: società di proprietà degli investitori, società di proprietà statale e stati-nazione. L’80% del totale delle emissioni dal 2016 al 2022 è attribuibile a soli 57 enti produttori tra aziende e Stati. Le società di proprietà degli investitori rappresentano il 31% di tutte le emissioni tracciate dal database (440 GtCO2e), con Chevron, ExxonMobil e BP rispettivamente primo, secondo e terzo maggior contributore.

Le società statali sono collegate al 33% del totale del database (465 GtCO2e), con in cima Saudi Aramco (Arabia Saudita), Gazprom (Russia) e National Iran Oil Company (Iran). Gli stati-nazione rappresentano il restante 36% (516 GtCO2e), con la produzione di carbone della Cina e l’ex Unione Sovietica i maggiori contributori. Il gigante asiatico pesa per il 14% del totale delle emissioni, l’Urss per il 6,8%, subito dopo c’è Saudi Aramco per il 3,6%.

L’analisi dei dati mostra che nei sette anni successivi all’Accordo di Parigi si è verificato inoltre un graduale spostamento della produzione di carbone dalle società di proprietà degli investitori a entità controllate dallo Stato. Le emissioni collegate alle prime sono scese del 27,9% dal 2015 al 2022, ma sono state sostituite dalle seconde, contestualmente aumentate del 29% (quelle degli stati-nazione del 19%).

Quelle sulla produzione di petrolio sono rimaste stabili, scendendo nel 2020 e 2021 e risalendo nel 2022 quasi ai livelli del 2015.

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E come se non bastasse, le proiezioni sul futuro non sono confortanti. Secondo Global Energy Monitor (Gem), Ong climatica americana, i produttori mondiali di combustibili fossili sono sulla buona strada per quadruplicare il quantitativo di petrolio e gas estratto dal 2021, anno in cui l’International Energy Agency dichiarò ufficialmente nella sua roadmap per il net-zero al 2050 che non fossero più necessari (né opportuni) nuovi progetti in tal senso.

Da quel momento, sono state scoperte risorse per circa 20 miliardi di barili di petrolio equivalente. L’anno scorso almeno 20 giacimenti hanno ricevuto il via libera per l’estrazione. Il giacimento di gas “Shahini” in Iran – contenente 623 miliardi di metri cubi di gas – è la più grande scoperta degli ultimi due anni, seguito dal progetto Venus di TotalEnergies in Namibia.

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Nel suo nuovo tracker globale dell’estrazione di petrolio e gas, Global Energy Monitor ha inoltre identificato altri 45 progetti che hanno raggiunto la “decisione finale di investimento ”, con ulteriori 16 miliardi di barili in arrivo.

Secondo l’analisi di questi dati fornita da Carbon Brief, se tutto il petrolio e il gas presenti nelle riserve appena scoperte venissero bruciati nei prossimi anni, 8GtCO2 in più verrebbero rilasciati nell’atmosfera. Aggiungendo le riserve scoperte tra il 2022 e il 2023 questo totale arriva a 14,1 GtCO2, più di un anno intero di emissioni della Cina.

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