Sulle auto elettriche si sentono spesso obiezioni assurde sul fatto che potrebbero inquinare più di quelle a combustibili fossili (vedi dichiarazioni di Marchionne), e altre più ragionevoli basate sui limiti tecnici delle batterie al litio, le più usate attualmente nei mezzi elettrici per la loro alta capacità di accumulo, rapportata al peso.
Queste obiezioni ruotano intorno ad alcuni aspetti, come la lentezza della ricarica e la scarsa capacità di immagazzinare energia (comparata ai combustibili fossili), la vita limitata a circa un decennio e il pericolo che si incendino o esplodano (non che un serbatoio di benzina sia molto più sicuro, peraltro …).
Anche la supposta scarsità del litio stesso viene spesso citata da chi teme che si ripeta la situazione attuale con il petrolio: pochi produttori che possono ricattare il mondo (QualEnergia.it, Auto elettrica e storage, inizia l’economia litio-dipendente. Scenari e rischi).
Tutti limiti innegabili e ragionevoli, se non fosse per un fatto: che la ricerca sulle batterie al litio (e non solo) è appena cominciata in modo massivo, messa in moto dalla convinzione che ormai la strada verso l’abbandono dei combustibili fossili è tracciata e irreversibile, e non è quindi affatto detto che le batterie in uso oggi, con le loro limitazioni, saranno le stesse usate nel prossimo futuro.
Per dubitarne basta farsi un giro sui siti che aggregano notizie sulla ricerca scientifica per trovarsi sommersi da una valanga di studi sui miglioramenti apportati a questi dispositivi.
Certo, è noto che fra laboratori e industria corre un abisso: ciò che funziona su piccola scala in laboratorio, non è detto che possa essere replicato, con la necessaria costanza qualitativa, sui milioni di esemplari sfornati dalle fabbriche.
Ma al tempo stesso immaginare che fra dieci anni le batterie saranno identiche alle attuali è quantomeno ingenuo.
L’innovazione dell’elettrolita solido
Prendiamo per esempio il caso dell’elettrolita, lo strato di liquidi organici che nelle attuali batterie al litio separa i due elettrodi, permettendo il passaggio degli ioni litio, ma non degli elettroni, e che è responsabile dell’infiammabilità delle batterie e le rende sensibili al freddo e complicate da riciclare.
Pochi mesi fa lo stesso inventore delle batterie al litio, l’ingegnere chimico 94enne John B. Goodenough, della University of Texas ad Austin, annunciò di aver realizzato un tipo di elettrolita solido simile a un vetro, che non solo eliminava tutti gli inconvenienti dell’elettrolita convenzionale, ma triplicava la capacità della batteria, la rendeva più facile da ricaricare, di vita più lunga (1200 cicli scarica-carica senza perdere efficienza), funzionante anche a 60 °C sotto zero e persino più facile ed economica da fabbricare, potendo contenere un anodo fatto solo di litio, senza uso di grafite.
Il solito prodotto da laboratorio, senza futuro industriale?
Niente affatto, la Toyota, che finora ha prodotto auto ibride, puntando su quelle ad idrogeno come tecnologia finale per superare il petrolio, ha appena annunciato che dal 2019 comincerà a produrre auto elettriche in Cina e dal 2022 queste cominceranno ad essere dotate di batterie al litio con elettrolita solido, quelle inventate da Goodenough, insomma.
Con queste batterie, ha annunciato Toyota, l’autonomia dell’auto e la vita delle batterie cresceranno considerevolmente, riducendo i tempi di ricarica ed eliminando il rischio di incendi.
Sopperire alla potenziale scarsità del litio
Certo però che, anche con batterie perfette, se il litio fosse un elemento scarso o troppo inegualmente distribuito nel mondo, un sistema di trasporti basato su questo elemento avrebbe molti punti a suo sfavore, rischiando di ripetere le dinamiche già viste per il petrolio.
Quello di cui non ci si rende conto, però, è che mentre il petrolio una volta bruciato è perduto per sempre, i sistemi d’accumulo e il litio che contengono possono essere riciclati e riusati.
Il primo passo è riutilizzare le batterie per auto che non riescono più a dare alte prestazioni, per usi meno estremi, come l’accumulo per la rete o anche per stazioni di ricarica delle auto elettriche.
Il secondo passo sarà quello di smontare le batterie a fine vita e riciclare gli elementi che contengono. Al momento il litio, a differenza del cobalto e alluminio delle batterie, non viene riciclato e in genere finisce ammucchiato da qualche parte, ma via via che la sua domanda aumenterà e si affineranno le tecniche per estrarlo dai disoisitivi esausti, e rivenderlo, il ciclo del litio si chiuderà, e la pressione per estrarne di nuovo dal terreno diminuirà.
Estrarre in modo nuovo il litio
E se pure il riciclo non dovesse bastare a coprire la crescente domanda di litio che arriverà da centinaia di milioni di veicoli elettrici nel mondo, non è affatto detto che si stiano già conoscendo e utilizzando tutte le sorgenti di litio esistenti a basso costo (ad esempio in mare ce ne sarebbe più che a sufficienza per ogni nostra esigenza).
Varie compagnie minerarie si sono messe a caccia di questo metallo in tutto il mondo: per esempio la Lithium Australia, ha messo a punto un sistema per estrarlo dalle comuni miche di litio, che finora non erano state prese in considerazione.
La compagnia mineraria MGX Minerals of Vancouver, invece, ha appena annunciato che comincerà a sperimentare l’estrazione di litio da una nuova e molto originale sorgente: le acque di scarico dell’industria petrolifera.
Queste acque sono estratte con il petrolio o il gas, separate dai combustibili e poi smaltite come rifiuti. Ma spesso contengono molto carbonato di litio, oltre ad altri sali, che sta ora acquistando un inedito valore.
Così la MGX sta sperimentando un impianto pilota per l’estrazione del litio, che tratta le acque estratte da due miniere e tre pozzi petroliferi, spendendo un dollaro al gallone (3,5 litri) per eliminare il petrolio residuo e altrettanto per estrarre i sali di litio e magnesio.
Il processo è ancora molto costoso e deve essere messo a punto: il 30% del litio resta nelle acque dopo il trattamento; tuttavia è già enormemente più veloce dei sistemi tradizionali di estrazione dai laghi salati in Sud America: richiede solo pochi giorni, contro i 18 mesi necessari ad attendere che le acque salate si concentrino per evaporazione.
MGX pensa di cominciare a vendere il litio “petrolifero” entro la fine dell’anno, e sarebbe veramente ironico se alla fine pure le batterie delle auto elettriche dipendessero dall’industria del greggio.
Alternative al litio
Per evitarlo, insieme a tutte le altre complicazioni legate a questo elemento, basterebbe riuscire a perfezionare sistemi di storage elettrochimico che del litio facciano del tutto a meno, per esempio quelli al magnesio, inventati da un team italiano e ora entrati nel mirino dalla stessa Toyota.
Ricercatori dell’Università di Bath, con colleghi olandesi, francesi e americani, hanno messo a punto una “spugna” in biossido di titanio, perfetta per ospitare ioni di magnesio e di alluminio, due metalli leggeri, abbondantissimi e in grado di portare ognuno due elettroni, e che, in teoria, consentono di realizzare batterie più capienti, durevoli e sicure di quelle al litio.
Con quel nuovo materiale si potrebbe superare uno dei maggiori ostacoli che previene la realizzazione di batterie commerciali al magnesio: trovare un catodo che permetta lo stoccaggio e il movimento di questi ingombranti ioni, aumentando capacità e velocità di ricarica delle batterie.
Ma sulla strada delle alternative al litio, gli ostacoli non sono ormai solo tecnici, ma anche industriali, visto che l’industria e la ricerca stanno puntando così pesantemente su quell’elemento: farle sterzare ora sterzare verso nuove direzioni diventa sempre più difficile.