Lo storage come il fotovoltaico: una storia che si ripete, almeno in parte

Il mercato dell'energy storage stazionario è in una fase per molti aspetti simile a quella vissuta dal fotovoltaico nei primi anni duemila. Cosa ci suggerisce questo sulla sua possibile evoluzione?

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In questi mesi stiamo assistendo a un’evoluzione convulsa del mercato degli accumuli stazionari sia a livello globale che nazionale e viene spesso da pensare a quanto accaduto recentemente nel campo del solare fotovoltaico.

L’evoluzione del mercato del fotovoltaico dai primi anni duemila ai nostri giorni merita di essere raccontata come uno snodo unico nella storia dell’energia e probabilmente anche della tecnologia tout-court. Può essere di ispirazione per altri mercati, come i sistemi di accumulo stazionari.

Chi lo ha vissuto direttamente, come il sottoscritto, può ricordare quel periodo come qualcosa di unico ed emozionante, ma spesso anche spiazzante.

Lo sviluppo del FV dai primi anni Duemila

Ricostruiamo brevemente il succedersi dei principali eventi e delle fasi del pensiero unico condiviso da parte di operatori e analisti che a distanza di qualche mese si reincontravano e prendevano atto di un cambiamento repentino in una direzione inaspettata.

Dapprima l’invidia per i Paesi virtuosi, prima il Giappone poi la Germania che riuscivano a introdurre meccanismi generosi di incentivi che stimolavano il mercato nazionale (sorpresa per installazioni annue inaudite che superavano i 100 MW!) e l’industria nazionale lungo tutta la value chain.

Ricordate poi le discussioni infinite sul miraggio della grid parity? Tutti la evocavano come la soluzione di tutti i problemi e la giustificazione dei sacrifici richiesti – vedi incentivi in conto energia – per stimolare il mercato, ma anche i più visionari avevano qualche dubbio che la si potesse mai raggiungere, sembrava così lontana.

A quel punto subentrava lo shortage del polisilicio, con prezzi spot oltre i 300 $/kg, legato alla limitata capacità produttiva di una filiera nata e sviluppatasi sino a quel momento solo per l’industria elettronica. Ed ecco il fiorire delle soluzioni più esotiche e geniali. Prima di tutto i film sottili, in silicio amorfo e microcristallino, CIS, CIGS, CdTe e in materiali organici. Poi gli impianti a concentrazione, da 2x a 500x, tutto si faceva pur di eliminare o ridurre la quantità di silicio utilizzata.

Era convinzione comune che sviluppare nuove fabbriche di polisilicio sarebbe stato un processo lungo e capital intensive che non sarebbe avvenuto nel breve-medio termine, che forse il polisilicio era qualcosa di troppo sofisticato per il vile fotovoltaico e sarebbe rimasto appannaggio dell’industria dei microchip.

Nel giro di pochi mesi un nuovo ribaltone: l’industria cinese si era organizzata e il polisilicio non era più un problema. Il crollo dei prezzi e nel contempo l’introduzione di moduli più efficienti (si passava da un 10% di inizio secolo ad un 15% nel giro di 5 anni) spazzava via tanta creatività (a parte il CdTe di First Solar che fa storia a parte) e, se da una parte deprimeva qualsiasi nuova idea e l’industria europea, dall’altra faceva intravedere una reale possibilità di avere una fonte energetica competitiva con le fonti fossili e con l’eolico.

Da non trascurare in questa fase la spinta propulsiva del settore della microelettronica: senza quel bacino di esperienze tecniche, finanziarie e commerciali da cui si è attinto a piene mani lo sviluppo del fotovoltaico sarebbe stato senz’altro più lento.

Da quel momento è iniziata la corsa inarrestabile del fotovoltaico nonostante le previsioni sempre sbagliate da parte degli analisti che, da una parte hanno sottostimato e continuano a sottostimare la crescita del mercato nell’idea che ogni anno che viene è l’anno buono per vedere l’inizio della saturazione, e dall’altra non accettano l’idea che i costi/prezzi dei sistemi possano ancora scendere.

Siamo così arrivati ai nostri giorni: nuovi spettri vengono agitati a minaccia di futuri sviluppi esponenziali del fotovoltaico quale quello, del tutto strumentale o dettato dall’ignoranza, dell’occupazione del suolo e quello dell’adeguatezza delle reti di trasmissione e distribuzione per l’inevitabile variabilità della risorsa solare che rende l’energia elettrica da essa prodotta non dispacciabile e quindi “poco gradita” ai sistemi elettrici e ai suoi operatori.

Similitudini e differenze con l’industria delle batterie

E ora veniamo alle batterie elettrochimiche per gli accumuli stazionari e alle analogie con i moduli fotovoltaici.

Dapprima una considerazione tecnologica che pone queste due tecnologie in una interessante comunanza. Parliamo di due tecnologie entrambe statiche, ovvero non possiedono parti meccaniche in movimento, e modulari, ovvero si compongono entrambi attraverso elementi singoli identici, che casualmente si chiamano in entrambi i casi celle, posti elettricamente in serie/parallelo per realizzare sistemi grandi a piacere, dal piccolo calcolatore tascabile al mega impianto grid-scale.

Queste due caratteristiche hanno dato e stanno dando al modulo fotovoltaico un enorme vantaggio competitivo rispetto ad altre soluzioni per la produzione di energia: la prima attraverso l’intrinseco maggior potenziale di innovazione in termini di efficienza delle tecnologie non dipendenti da componenti meccanici in movimento che da decenni ormai  hanno raggiunto il limite asintotico della possibile sofisticazione (si pensi all’eolico), la seconda per l’effetto dirompente della standardizzazione di prodotto in più mercati differenti sui volumi in gioco.

È evidente quindi come le stesse caratteristiche stiano iniziando ora a produrre gli stessi effetti sugli accumuli elettrochimici.

Il tema della standardizzazione di prodotto su diverse applicazioni può essere oggetto di un’ulteriore interessante considerazione. Come abbiamo già visto, nel settore del fotovoltaico la cella in silicio cristallino è stata favorita nella sua evoluzione tecnologica e di mercato da un’applicazione preesistente e coesistente che è quella dei microchip per l’industria elettronica, basata anch’essa su wafer di silicio cristallino.

Nel caso delle batterie viene subito evidente pensare ad una seconda analogia, nidificata nella prima sopra esposta, che è quella fra le celle fotovoltaiche in silicio cristallino, beneficiarie come detto della “dote” dei microchip, e le celle elettrochimiche agli ioni di litio (Li-ion) avvantaggiate dal volano del mercato della mobilità elettrica.

Nei primi anni Duemila la produzione annuale di polisilicio (allora dell’ordine delle 40.000 t ora oltre al milione di tonnellate) era praticamente destinata per il 90-95% all’industria elettronica e una quota residuale, spesso la parte con maggiori impurezze, era dedicata alla produzione delle emergenti celle fotovoltaiche.

Analogamente a partire dal 2020 ad oggi le batterie Li-ion per uso stazionario rappresentano una quota minima del totale delle batterie prodotte in quanto la mobilità elettrica e i dispositivi portatili assorbono oltre il 90% del mercato che nel 2024 varrà oltre 1,2 TWh complessivamente e meno di 100 GWh per lo stazionario.

Questa analogia presenta tuttavia delle importanti differenze.

Nel caso del fotovoltaico ci si è innestati su di una tecnologia e su di un mercato consolidato da decenni come quello della microelettronica; inoltre i fabbisogni specifici di materia prima per il fotovoltaico sono, per la natura della tecnologia stessa, assai maggiori di quelli per la microelettronica.

Nel caso delle batterie Li-ion, l’accumulo stazionario si aggiunge in corsa ad un mercato giovane in fase di sviluppo esponenziale e ancora praticamente inespresso come quello della mobilità elettrica. È quindi improbabile aspettarci che per il futuro i volumi dell’accumulo stazionario possano essere comparabili con quelli della mobilità elettrica.

Vale la pena di menzionare anche una tendenza recente alla contaminazione dei due settori tecnologici, fotovoltaico e batterie Li-ion: il silicio sta fisicamente entrando nel settore dei materiali per la realizzazione dell’anodo andando a sostituire la grafite (QualEnergia.it, L’era del silicio è arrivata anche per le batterie?, ndr). Pur essendo un’interessante sinergia tecnologica che dimostra ancora una volta l’effetto acceleratore delle intersezioni fra diversi settori, non sembra tuttavia rilevante ai fini delle analogie di sviluppo dei due mercati.

Una storia che ci fornisce delle indicazioni

Quindi, avendo evidenziato tutte queste analogie, con qualche rilevante differenza, quali utili indicazioni possiamo ricavare per il futuro dei sistemi di accumulo?

Prima di tutto una affermazione ovvia: dobbiamo fare tesoro dell’esperienza accumulata nel fotovoltaico e ascoltare chi conosce quel mercato, per cogliere i segnali deboli dal mercato, evitare facili entusiasmi e pensieri unici dominanti.

Secondo: le previsioni degli analisti sono spesso sbagliate e in particolare i volumi, i miglioramenti tecnologici (densità energetica) e le riduzioni di costo sempre sottostimati. Aspettiamoci che i sistemi di storage, entrati ora nella fase di crescita esponenziale, supereranno per molti anni a venire le stime e la tanto attesa fase di saturazione si sposterà di anno in anno più avanti.

Terzo: nonostante la tendenza alla diminuzione dei costi non si possono escludere fasi temporanee di rialzo dei prezzi a seguito di un’improvvisa crescita della domanda e/o di fattori esterni (ad es. logistici/geopolitici).

Quarto: le tecnologie mainstream sviluppate per la mobilità elettrica influenzeranno pesantemente le scelte sul mercato dell’accumulo stazionario nel medio termine, favorendo quelle in comune (Li-ion, Na-ion, stato semi-solido?) e ostacolando l’affermarsi di alternative utilizzabili nel solo stazionario (ad es. le batterie a flusso). Ciò è tanto più vero per i sistemi di accumulo rispetto al fotovoltaico in quanto possiamo prevedere, come detto, che il mercato della mobilità sarà anche in futuro prevalente in termini di volumi.

Quinto: c’è spazio per un’industria nazionale/europea? Sicuramente sì, ma occorre cautela e focalizzazione sul downstream fatto di integrazione di sistemi, costruzione di impianti e O&M. Per le gigafactory si entra in un tema più di tipo politico che industriale.

Sesto: è compito dei policy maker dosare opportunamente i livelli di incentivazione temporanea del mercato. L’analogia con fotovoltaico ci ricorda che livelli insufficienti impediscono lo sviluppo e il raggiungimento della piena competitività, mentre incentivi troppo generosi provocano disastrose corse all’accaparramento e inutili sprechi di denaro pubblico.

Infine: occorre quindi evitare approcci rigidi e dogmatici, che in passato hanno fatto tanti disastri nel fotovoltaico, adottando piuttosto le giuste cautele e flessibilità nell’affrontare questo promettente mercato.

Spero che questo breve articolo sia risultato uno strumento utile di riflessione e di stimolo ad una discussione aperta e fruttuosa fra gli stakeholders.

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