Un nuovo protagonismo delle Regioni per uscire dallo stallo

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Potrà un Governo uscito da queste elezioni avere la forza e il tempo per varare una strategia energetica che cancelli la SEN di Monti? L’obiettivo è di 'rottamare' i combustibili fossili e individuare e realizzare strumenti concreti per una vera politica industriale per le rinnovabili e il risparmio energetico. L'opinione di Massimo Scalia.

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Qualenergia.it ha chiesto a diversi esperti del settore energetico, dell’ambientalismo, dell’informazione specializzata, di commentare l’attuale intricata situazione politica post-elezioni, di spiegare le sue possibili implicazioni sul terreno energetico-ambientale e di indicare i propri auspici in questo ambito per il nostro paese. Qui riportiamo il parere di Massimo Scalia, docente di fisica ambientale presso l’Università La Sapienza di Roma.

Stando alle sue dichiarazioni, fatte pochi giorni fa durante la presentazione del rapporto ambientale dell’Ocse sull’Italia, il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, ha firmato – insieme al suo collega dello Sviluppo Economico, Corrado Passera – un decreto interministeriale col quale si approva la Strategia Energetica Nazionale (SEN). Legittime, e soprattutto giuste, le critiche delle associazioni ambientaliste, che contestano a un Governo in carica per gli affari ordinari di dar mano a un progetto strategico che impegna fino al 2020, e ribadiscono la valutazione di merito negativa: rilancio degli idrocarburi con tanto di trivellazioni, avanti tutta con le centrali a carbone da Saline Joniche a Porto Tolle all’ampliamento di Vado Ligure, Italia come grande hub del gas in parallelo al trionfo di olio combustibile e carbone, velleitari obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili per le quali non vengono individuati strumenti adeguati alla loro crescita.

Il “colpo di mano” del Governo dà respiro a una prospettiva, ortogonale sia alle tendenze del mercato che alla sostenibilità, che purtroppo sembra l’unica che sarà in campo nel futuro. La complessa situazione politica determinata dalle elezioni del 24 febbraio scorso non consente, infatti, di prevedere la composizione di un Governo in grado di invertire la rotta. Anche se non si andrà a nuove elezioni immediatamente (a giugno, come già richiede Berlusconi), il nuovo Governo, qualunque esso sia, avrà davanti a sé il tempo strettamente necessario per fare poche cose, tra le quali, imprescindibile, una legge elettorale decente per ritornare al voto in tempi stretti. Potrà avere un tale Governo la forza e il tempo per varare una nuova strategia energetica che cancelli la SEN di Monti, si dia l’obiettivo di “rottamare” i combustibili fossili e sappia individuare e realizzare gli strumenti concreti per una vera politica industriale per le fonti rinnovabili e il risparmio energetico?  

In questo poco consolante scenario restano due operatori “virtuosi”: ahimé, il “vituperato” mercato e la capacità di programmazione e realizzazione degli enti territoriali. Il primo è andato al di là delle aspettative, riuscendo a cogliere significative affermazioni sul terreno della green energy, nonostante i morti e i feriti che anche in questo settore si sono avuti nel contesto di una perdurante e scarnificante recessione economica. Quanto al secondo operatore, molte Regioni si sono dotate di Piani Regionali ispirati ai tre 20% della UE, ma sono sostanzialmente rimaste come in attesa del mitico “quadro nazionale” di riferimento. Ecco, adesso ce ne è uno, la SEN, da combattere: una riprova, per chi è sempre stato contrario ai vari PEN per molte, e direi addirittura “storiche”, motivazioni. Ma una pianificazione nazionale ha, per fortuna, necessità di tempo, anche per i molti strumenti attuativi che richiede, oltre che della forza di un Governo che la voglia imporre.

C’è quindi lo spazio per un protagonismo delle Regioni, che rompano finalmente l’illusione, il maligno incantesimo, del riferimento nazionale e procedano invece con decisione secondo le strategie energetiche di cui si sono dotate. Come oltre tutto prevedono, da oltre dieci anni, le modifiche apportate al titolo V della Costituzione; e secondo un modello di molto più ampia partecipazione dei cittadini, degli enti e delle istituzioni locali (centri di ricerca e università inclusi).

E le risorse? Anche quì il protagonismo delle Regioni può individuare le linee di accesso al cofinanziamento UE e, perché no, stabilire nuovi rapporti “di scopo” rispetto a finanziamenti che il sistema bancario, non solo nazionale, potrebbe essere incoraggiato a fare. Anche a seguito di quella nuova politica antirecessione richiesta ormai a gran voce da quasi tutta l’Europa.

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