Lo scenario della transizione climatica si confronta con decise spinte propulsive, ma anche con preoccupanti elementi frenanti.
Si profila uno scontro tra una evoluzione tecnologica che parrebbe inarrestabile e cambiamenti di scenari politici che potrebbero rallentare la transizione.
L’Unione europea tiene ancora alta la bandiera, come dimostra la raccomandazione di fissare al 2040 un obiettivo di riduzione delle emissioni climalteranti del 90% rispetto al 1990. Un segnale importante vista la sempre più evidente emergenza climatica, con i continui record di temperatura dell’aria e soprattutto degli oceani nel 2023 e nel gennaio di quest’anno.
Una forte spinta viene da alcuni settori tecnologici centrali per il taglio delle emissioni. Secondo la Iea lo scorso anno gli incrementi di potenza rinnovabile sono stati del 50% fino a quasi 510 GW, il tasso di crescita più rapido negli ultimi due decenni.
Con le attuali politiche e condizioni di mercato, le rinnovabili dovrebbero raggiungere 7.300 GW entro il 2028, una tendenza che porterebbe ad un aumento di 2,5 volte nel 2030. Non ancora l’obiettivo di una triplicazione indicato alla Cop28, ma una evoluzione decisamente interessante.
Passando al mondo dell’auto, lo scorso anno nella Ue i veicoli elettrici hanno visto una crescita del 64,5% rispetto al 2022. E in Cina le vendite di veicoli elettrici sono aumentate del 38% a 9,45 milioni di unità (con 6,7 milioni di auto a sola batteria e 2,8 milioni di ibridi plug-in), pari a una quota di mercato del 31%.
Goldman Sachs ha rivisto le sue stime sui prezzi delle batterie, ipotizzando un valore di 99 $/kWh entro l’anno prossimo, con una diminuzione del 40% rispetto alla valutazione che la stessa società aveva fatto nel 2022.
Un analogo crollo del costo (42%) si è registrato in Cina con i moduli solari che nel 2023 hanno raggiunto l’incredibile valore di 0,15 $/W.
La strada è in discesa?
Malgrado queste interessanti evoluzioni tecnologiche e di mercato, all’orizzonte ci sono nubi e forti venti contrari.
La questione climatica, che aveva registrato un picco di attenzione e consenso con le manifestazioni di centinaia di migliaia di giovani solo qualche anno fa, vede oggi un contesto molto differente. Le politiche climatiche vengono, infatti, attaccate su più fronti. Il negazionismo è esaltato dai vari Trump e Bolsonaro e, più vicini, a noi Salvini e altri politici negazionisti.
Dietro queste posizioni ci sono interessi reali. Donald faceva campagna elettorale con un pezzo di carbone in mano (salvo vedere nel corso del suo mandato la chiusura di 145 gruppi elettrici alimentati da questa fonte fossile non in grado di reggere la competizione di rinnovabili e gas), mentre Jair voleva favorire il saccheggio dell’Amazzonia.
Ed è innegabile che anche in Europa crescano movimenti che mettono sotto accusa le scelte ambientali. Che si tratti dell’attacco alle pompe di calore in Germania o delle critiche alle politiche europee sulle auto elettriche.
Per le destre la critica alle “ideologie ambientaliste” si affianca allo storico cavallo di battaglia della lotta all’immigrazione.
Il malessere dietro i trattori sulle strade
Le manifestazioni di queste ultime settimane sono il segnale di una profonda contraddizione. Proprio mentre siccità e inondazioni rappresentano crescenti calamità per i coltivatori (la Sicilia ha appena dichiarato lo stato di emergenza per la siccità) in tutta Europa si estendono proteste che prendono di mira le scelte ambientali, l’eccesso di regolamentazioni, oltre alla concorrenza delle importazioni.
Ma torniamo alle manifestazioni dei trattori. Gli obiettivi del piano Ue per l’agricoltura includevano il dimezzamento dell’uso di pesticidi entro il 2030, la riduzione dell’uso di fertilizzanti del 20%, e il raddoppio della produzione biologica fino al 25% di tutti i terreni agricoli.
Un percorso corretto anche per la nostra salute, ma l’Europa poteva prendere in considerazione strumenti in grado di mitigare l’impatto di queste misure. Peraltro, va ricordato che quasi un terzo dell’intero bilancio europeo è destinato all’agricoltura.
Le manifestazioni in atto impongono comunque una riflessione perché la transizione ecologica non può essere fatta “contro” qualcuno, ma accompagnando con le migliori tecnologie gli imprenditori in un passaggio che deve essere rapido, ma anche “giusto” socialmente.
Come mi suggerisce un saggio ed esperto amico agricoltore, “le buone pratiche consigliano di mantenere e accrescere la fertilità con colture di copertura e con minime lavorazioni del terreno”.
E continua: “con le migliori tecniche che la scienza agronomica ci mette a disposizione (robotica, digitale, ecc.), siamo in grado di intensificare ecologicamente la fotosintesi negli agro-ecosistemi al fine di produrre più cibo in modo sostenibile e, nel contempo, ottenere del carbonio atmosferico a bassissimo costo da sequestrare. Unire pratiche di agricoltura rigenerativa con una gestione del carbonio offre possibilità incredibili di ridurre i costi di produzione del cibo, dell’energia nel biogas, e di creare vitali filiere carbon negative per abbattere le emissioni dei settori hard to abate, a partire dall’agricoltura”.
Ma gli esperti della Commissione sostengono che i fenomeni di erosione e desertificazione minacciano molti territori e che le politiche di Bruxelles mirano a ridurre lo sfruttamento del suolo e l’impiego eccessivo di fertilizzanti e di pesticidi che possono essere dannosi per la salute.
Come si vede, una riflessione profonda di fondo sulle relazioni tra agricoltura e clima è più che opportuna.
E, per allargare la riflessione citiamo un passaggio di “Ancora un momento” del sempre lucidissimo Edgar Morin: “La coscienza ecologica, nata dalla scienza che porta lo stesso nome, ci indica la necessità di sviluppare non solo le fonti di energia pulite e di eliminare progressivamente le altre, compresa la nucleare così pericolosa, ma anche di devolvere una parte importante dell’economia alla pulizia delle città inquinate e alla sanità dell’agricoltura, riducendo di conseguenza l’agricoltura e gli allevamenti industrializzati – a favore dell’agricoltura da fattoria e della agroecologia. Un formidabile rilancio dell’economia fatto in questo senso, stimolato dagli sviluppi di un’economia sociale e solidale, consentirebbe un notevole riassorbimento della disoccupazione, oltre a una sensibile riduzione della precarietà del lavoro.”
L’articolo è tratto dall’editoriale di G. Silvestrini del n.1/2024 della rivista bimestrale QualEnergia (in uscita).