Usa, con le nuove regole Epa il carbone ha i giorni contati

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L'agenzia per la protezione ambientale impone un taglio delle emissioni del 90% per gli impianti che saranno ancora in attività dopo il 2039. Significa la chiusura a breve per gran parte delle centrali.

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Ridurre drasticamente le emissioni di gas serra nell’atmosfera o spegnersi definitivamente.

L’ultimo provvedimento dell’Environmental Protection Agency (Epa), l’agenzia del governo americano incaricata della tutela ambientale nel Paese, mette le centrali elettriche statunitensi alimentate a carbone di fronte a una scelta a breve termine.

Secondo il piano (link in basso), gli impianti che si prevede siano ancora in funzione nel 2039 o oltre dovranno ridurre le loro emissioni di gas serra del 90% entro il 2032. Quelli la cui chiusura è già stata programmata entro la stessa scadenza dovrebbero rispettare standard meno rigorosi, con una quota di riduzione del 16% entro la fine di questo decennio, mentre sono esentati gli impianti che cesseranno le attività prima del 2032.

La norma arriva a ridosso di quella sulle emissioni delle auto (che però vede al ribasso i tagli attesi al 2032) e rientra in un pacchetto di misure rivolte agli impianti a carbone che, secondo l’Epa, fornirebbero “certezze normative” al settore energetico e  incoraggerebbero investimenti per la transizione verde.

Gli altri punti introducono limiti più severi sulle emissioni di mercurio proveniente da impianti che bruciano lignite, e sull’infiltrazione di ceneri tossiche dalle centrali nelle riserve idriche, limitando al contempo lo scarico delle acque reflue degli impianti.

Nel 2022, in base agli ultimi dati a disposizione dell’Eia, la produzione di elettricità ha rappresentato circa il 33% delle emissioni totali di CO2 legate all’energia negli Stati Uniti. Le centrali a carbone hanno pesato per 868 tonnellate delle 1.650 complessive, come emerge dalla tabella in basso.

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Qualsiasi centrale a carbone che continuerà a produrre elettricità dovrà quindi affrontare costi enormi per catturare la CO2 emessa tramite la Carbon capture and storage (Ccs), ma anche per contenere le altre sostanze tossiche rilasciate nell’aria e per impedire che i metalli pesanti si riversino nei corsi d’acqua.

Alla luce delle nuove norme è improbabile che le centrali a carbone possano continuare a funzionare. Un’azienda che decida di installare un impianto per la Ccs in una vecchia centrale a carbone difficilmente riuscirà a produrre tanto a lungo da ottenere un ritorno sull’investimento.

Diverse analisi dimostrano inoltre che la Ccs non è ancora affidabile su larga scala come soluzione per contrastare le emissioni. Dan Brouillette, presidente e amministratore delegato dell’Edison Electric Institute, che rappresenta le società elettriche statunitensi di proprietà di investitori, si è detto “deluso” dal fatto che l’Epa “non abbia affrontato le preoccupazioni sulla cattura e lo stoccaggio del carbonio”.

L’amministratore dell’Epa Michael Regan ha invece affermato che le regole ridurranno l’inquinamento e miglioreranno la salute pubblica, “sostenendo al tempo stesso la fornitura affidabile e a lungo termine di elettricità di cui l’America ha bisogno”.

L’agenzia stima che la norma costerebbe alle industrie 19 miliardi di dollari per conformarsi da qui al 2047, ma afferma che i benefici economici per il Paese durante lo stesso periodo sarebbero molto maggiori.

Limitando l’inquinamento, il regolamento aiuterebbe a prevenire danni all’economia per 270 miliardi di dollari derivanti da inondazioni, incendi, siccità, interruzioni della catena di approvvigionamento e aumento dei costi delle materie prime.

La resistenza delle lobby

Come era facile prevedere, il piano è stato contestato da alcuni gruppi industriali, dai lobbysti delle fossili e dagli Stati di orientamento repubblicano. Gli stessi che in passato hanno ripetutamente accusato l’amministrazione Biden di esagerare con le leggi ambientali e hanno messo in guardia i cittadini da un’imminente crisi di affidabilità della rete elettrica.

Rich Nolan, presidente e amministratore delegato della National Mining Association, associazione che cura gli interessi dell’industria mineraria americana, ha affermato che attraverso le ultime regole “l’Epa sta sistematicamente smantellando l’affidabilità della rete elettrica statunitense”. Ha accusato la Casa Bianca di “ignorare la realtà energetica del Paese e di forzare la chiusura delle centrali a carbone funzionanti che vengono ripetutamente in soccorso durante i periodi di picco della domanda”.

Jim Matheson, amministratore delegato della National Rural Electric Cooperative Association, di stampo repubblicano, ha definito la norma Epa “illegale, irrealistica e irraggiungibile”. In West Virginia (governato dal repubblicano Jim Justice) il procuratore generale Patrick Morrisey ha promesso di agire per bloccare il provvedimento.

Ma il testo dell’Epa prevede già, in situazioni di emergenza come in caso di interruzioni di corrente dovute a calamità naturali, che le aziende possano generare energia aggiuntiva da impianti a carbone o gas senza dover compensare le emissioni.

Inoltre, laddove è prevista la chiusura di una centrale a carbone entro una certa data, uno Stato può dimostrare che ciò violerebbe le proprie norme locali sull’affidabilità energetica, chiedendo l’autorizzazione a tenere aperto l’impianto per un ulteriore anno.

Carbone: un futuro segnato?

Ad ogni modo, l’industria del carbone negli Stati Uniti è in rapido declino da oltre un decennio, periodo nel quale sono state chiuse più di 200 centrali, portando l’età media degli impianti sopravvissuti a quasi 50 anni. Circa un quarto delle strutture esistenti verrà spento entro i prossimi cinque anni.

Nel 2023, secondo la US Energy Information Agency, le circa 200 centrali ancora operanti nel Paese – concentrate soprattutto in Pennsylvania, Texas e Indiana – hanno generato il 16,2% dell’elettricità nazionale, in calo rispetto al 45% circa del 2010.

Da tempo gli Usa stanno cercando, pur con diverse contraddizioni, di smarcarsi da questa fonte. Il provvedimento dell’Epa arriva quasi un decennio dopo che l’ex presidente Barack Obama aveva tentato per la prima volta di fissare limiti all’inquinamento da carbonio proveniente dalle centrali elettriche statunitensi. Il suo piano del 2015 fu bloccato dalla Corte Suprema e successivamente annullato da Trump.

L’ex presidente repubblicano, in piena campagna elettorale per tornare alla Casa Bianca, ha fatto sapere che annullerebbe il regolamento se fosse eletto al posto di Biden. Il destino del carbone negli Usa – così come molte altre questioni ambientali – è legato a doppio filo alla chiamata alle urne del prossimo 5 novembre.

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