Per la prima volta nella storia, il prezzo dei contratti future per la vendita di greggio West Texas Intermediate (WTI), la varietà di riferimento statunitense, è sceso sotto zero, e non di poco, calando fino a -37,63 dollari il barile al Nymex di New York.
La causa è legata al crollo della domanda determinato dalla pandemia di coronavirus, ma anche dai timori dei trader di dover prendere fisicamente possesso del greggio in una fase in cui i depositi statunitensi sono vicini alla saturazione.
Queste due dinamiche incrociate, una legata all’andamento dell’economia reale, l’altra al trading di operatori i cui contratti per il mese più vicino, cioè maggio, scadono oggi – con prospettive scarse o nulle di piazzare il loro greggio o di prenderne fisicamente possesso, cosa che in realtà fanno molto raramente e per cui non sono molto preparati – hanno creato una tempesta perfetta che ha fatto precipitare il prezzo del WTI del 306% rispetto alle quotazioni già depresse del giorno precedente.
Dopo il crollo di ieri, oggi, il future per maggio è risalito e viene scambiato attualmente ancora a prezzi negativi, ma vicini allo zero.
Bisognerà capire adesso se i tagli alla produzione petrolifera annunciati nei giorni scorsi, come detto in questo articolo, da Opec allargato, Stati Uniti e altri paesi del G20, e che dovrebbero entrare in vigore a maggio e giugno, riusciranno a porre almeno una base positiva ai prezzi del greggio.
I future sul WTI con consegna a giugno vengono scambiati attualmente attorno ai 20,5 dollari il barile, in ribasso di oltre il 25% rispetto alla settimana scorsa, ma se non altro ancora in territorio ampiamente positivo.
Questo indicherebbe che gli operatori si aspettano che in qualche modo il mese prossimo si possa registrare un qualche miglioramento, sul lato della domanda o su quello della possibilità di non avere ancora esaurito lo spazio di stoccaggio ancora disponibile negli USA.
Ma potrebbe essere un riflesso più legato alla speranza dura a morire di chi si trova in una situazione da cui è molto difficile uscire che non alla reale incorporazione del rischio di una situazione complessa e ancora incertissima.
Molto dipenderà dalla rapidità con cui riprenderanno le attività economiche e civili nelle prossime settimane negli USA. Ma anche con la riapertura di parte dell’economia, è impensabile che tutto torni ai livelli pre-pandemia in tempi brevi. Il colpo è duro soprattutto per lo shale oil e per il petrolio da sabbie bituminose canadese.
Secondo Robert Yawger, Direttore per l’energia di Mizuho Securities USA, se i livelli di stoccaggio del greggio continueranno a salire al loro attuale livello, le scorte statunitensi batteranno il loro record di tutti i tempi fra due settimane e raggiungeranno la capacità massima in otto o nove settimane.
“L’offerta minaccia di travolgere lo stoccaggio nelle prossime settimane e l’inondazione di greggio non mostra segni di diminuzione,” ha detto Yawger in una nota di lunedì.
Per quanto quindi i contratti per giugno siano ancora positivi, la sensazione fra molti analisti è che la decisione dei paesi produttori di tagliare la produzione di circa 20 milioni di barili di petrolio al giorno a partire dal mese prossimo sia “troppo poco e troppo tardi” per evitare un crollo del mercato.
In tutto ciò, il greggio di riferimento europeo sembra per ora avere retto in parte al terremoto dei prezzi petroliferi. Il Brent, infatti, viene scambiato attualmente a Londra a circa 22,50 dollari il barile, anche se in calo di oltre il 12% rispetto a ieri.
Per Brett Fleishman, della ONG per la campagna sul clima 350.org, il crollo dei prezzi del petrolio è “un altro potente esempio di come i combustibili fossili siano troppo volatili per essere alla base di un’economia resiliente… ed è giunto il momento che l’industria dei combustibili fossili riconosca che, d’ora in poi, il modo più economico e migliore per stoccare il petrolio è lasciarlo dov’è nel terreno“.