Petrolieri ancora in bilico tra impegni sul clima e greenwashing

Un nuovo rapporto della Transition Pathway Initiative spiega che le compagnie fossili europee stanno compiendo alcuni passi avanti verso la de-carbonizzazione, ma devono puntare a obiettivi molto più incisivi.

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Quando i colossi petroliferi dicono che ridurranno le emissioni per allineare le loro politiche industriali agli obiettivi climatici, dicono la verità o fanno greenwashing (cioè mentono sapendo di mentire)?

In molti casi fanno un po’ entrambe le cose: in altre parole, i loro impegni sono reali ma non sufficienti e rapidi per pter traghettare Big Oil verso l’azzeramento delle emissioni nette di CO2 per tutte le loro attività.

Un nuovo rapporto della Transition Pathway Initiative (TPI), iniziativa globale guidata da diversi gestori di fondi allo scopo di favorire la transizione energetica verso le tecnologie più pulite, ha esaminato gli impegni contro il cambiamento climatico annunciati in questi mesi da sei compagnie fossili europee: BP, Eni, OMV, Repsol, Shell, Total.

Il settore oil & gas europeo sta cambiando rapidamente, si legge nel documento, perché tre anni fa nessuna compagnia aveva fissato obiettivi per accelerare gli investimenti in tecnologie e prodotti low-carbon a basso impatto ambientale.

La tabella seguente, tratta dal rapporto della Transition Pathway Initiative, riassume gli impegni annunciati recentemente dalle sei compagnie petrolifere.

BP aveva aperto la serie di annunci del 2020 a febbraio, affermando di voler azzerare le emissioni nette di CO2 equivalente entro il 2050 o anche prima, con riferimento alle emissioni direttamente associate alle sue attività industriali in tutto il mondo e alla sua produzione complessiva di petrolio e gas.

Previsto anche un taglio del 50% per l’intensità di carbonio dei prodotti venduti, sempre all’orizzonte 2050, anche se le misure concrete per realizzare tali traguardi sono state rimandate a una strategia industriale la cui pubblicazione è prevista a settembre.

Sempre a febbraio, Eni aveva pubblicato il piano al 2050 con l’obiettivo di ridurre dell’80% le emissioni dei suoi prodotti energetici, anche se poi guardando alle iniziative per i prossimi quattro anni si scopre che il cane a sei zampe continuerà a investire massicciamente (24 miliardi di euro) nell’estrazione di fonti fossili, mentre alle rinnovabili andranno circa 2,6 miliardi nel periodo 2020-2023 (vedi anche webinar “Quello che Eni non dice” svoltosi il 13 maggio)

Poi tra aprile e maggio sono arrivati gli annunci di Shell e Total; Shell, in particolare, ambisce ad azzerare entro il 2050 tutte le emissioni di CO2 associate alla realizzazione dei suoi prodotti; poi la compagnia punta a ridurre del 65% la Net Carbon Footprint, cioè l’impronta netta del carbonio dei prodotti energetici venduti ai clienti finali (con un traguardo intermedio del 30% nel 2035).

Tuttavia, dalle analisi della Transition Pathway Initiative, emerge che è richiesta una de-carbonizzazione più incisiva e profonda rispetto agli obiettivi stabiliti finora da Big Oil, obiettivi che sono ancora incompatibili con uno scenario in cui l’incremento della temperatura media terrestre sarà limitato a +1,5-2 gradi rispetto all’epoca preindustriale.

Così gli esperti della TPI raccomandano alle compagnie petrolifere una serie di ulteriori azioni, tra cui:

  • Rafforzare gli impegni di riduzione delle emissioni
  • Includere tutti i prodotti energetici
  • Chiarire quale sarà il ruolo delle tecnologie CCS (carbon capture and storage) per catturare la CO2 degli impianti industriali e quale sarà il peso delle iniziative per compensare le emissioni (come la riforestazione)
  • Fissare non solo obiettivi per ridurre l’intensità di carbonio, ma anche per ridurre le emissioni in valori assoluti
  • Allineare le strategie di breve termine – comprese le remunerazioni per i dirigenti – con le strategie di lungo periodo per combattere i cambiamenti climatici
  • Chiarire quale sarà il peso delle energie rinnovabili nel mix complessivo delle attività industriali.

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