Per decarbonizzare l’energia in Italia ripensare metodi, attori e processi decisionali

Produrre e consumare energia ha implicazioni di carattere politico-strategico, sociale, ambientale, e non solo economiche. Per questo motivo, per Paolo Viscontini di Italia Solare, va rivisto il peso delle partecipate, favorendo il ruolo di enti indipendenti e aggiornati, oltre a mettere in campo più personale.

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Il mondo dell’energia è costituito da un grandissimo numero di attori, consumatori, produttori e lavoratori di molte industrie e dei trasporti, pensionati, e soprattutto politici, che hanno un fortissimo interesse, a breve termine, a mantenere lo status quo energetico.

Pensiamo solo alla connessione, da sempre connaturata, tra governi e big dell’energia convenzionale. L’attuale sistema energetico garantisce miliardi di entrate per lo Stato, e un costante flusso di energia, relativamente a basso costo, per i consumatori.

Questa è una delle ragioni per cui cambiare radicalmente il sistema energetico, sebbene necessario e urgente, sarà difficilissimo. Così vediamo decisori pubblici provare ad allungare in tutti i modi il vecchio sistema, con una politica ondivaga, molti annunci, e poi decisioni che rischiamo di non produrre cambiamenti perché spesso sono a somma zero o quasi.

Qualcosa del genere lo diceva in una nostra intervista di qualche tempo fa Jerôme Dangerman, economista specializzato in tecnologia ed energia, collaboratore del tedesco Potsdam Institute e dell’americano Santa Fe Institute. Temi più volte ripresi anche dal compianto Hermann Scheer.

Scheer andava nel cuore di questo conflitto, raccontando le ipocrisie che vi sono dietro e che spesso lo stesso mondo delle rinnovabili rischia di appoggiare con alcuni approcci al ribasso, perché, così diceva, in molti c’è ancora quella “sudditanza psicologica” nei confronti dei produttori delle fonti energetiche convenzionali. Anche se, fortunatamente, oggi sempre di meno.

Eppure, un approccio tipico è l’attesa di una ancora non completamente raggiunta competitività delle fonti rinnovabili. Ecco allora il mantra: “le rinnovabili devono stare sul mercato”. Ma quale mercato? Quello di un modello economico liberista, dove l’unico parametro di valutazione resta il prezzo?

La produzione e il consumo di energia hanno anche implicazioni fondamentali di carattere politico-strategico, sociale, ambientale, come insegnava Scheer. In base a quali fattori sceglie il cittadino, il consumatore?

Siamo sicuri poi che un settore, quello fossile e nucleare, anche oggi possa giocarsi una partita ad armi pari con le fonti pulite?

Wilhem Röpke, uno studioso dell’economia di mercato, ricordava che gli interessi più ampi della società non possono essere tenuti fuori, spiegando che serve sempre un freno alla concorrenza quando i ricavi di chi vende e il vantaggio di prezzo di chi consuma non hanno più rapporti con il costo che la società nel suo complesso è chiamata a sostenere.

In modo più o meno velato, queste forti contraddizioni sono sembrate emergere in un incontro sugli accumuli che diverse associazioni ed enti del settore hanno organizzato il 7 luglio. Accumuli che saranno un fattore chiave di un modello energetico decarbonizzato, e tematica vissuta con passione da Marco Pigni, scomparso a fine aprile, al quale il webinar è stato dedicato e che è servito a ricordare la sua grande professionalità oltre che umanità.

Nello stesso incontro due associazioni, entrambe comunque attive nel processo di decarbonizzazione nazionale, esprimevano però, più o meno en passant, il loro diverso pensiero su come vedono questo “scontro” tra fossili e rinnovabili.

Mentre per Andrea Zaghi di Elettricità Futura “non esiste nessun conflitto vero tra mondo fossile e mondo rinnovabile”, per Paolo Rocco Viscontini di Italia Solare, invece le cose non stanno così, perché soprattutto la crisi climatica, più della pandemia, richiederà un impegno urgente e massimo nel cambiare radicalmente il modello energetico, anche prevedendo costi elevati.

D’accordo, sicuramente conviveremo ancora per un bel po’ con le fonti fossili, ma non si può negare che un conflitto esista, eccome.

Qui non vorremmo affrontare un discorso, sicuramente importante, ma di minore cabotaggio, su cui possono tutti trovarsi d’accordo, cioè quello sui ritardi delle leggi, il livello degli incentivi, la corretteza delle normative tecniche, la onnipresente burocrazia, tutti fattori che bloccano le imprese e lo sviluppo delle energie rinnovabili e sul quale anche su queste pagine approfondiamo le nostre analisi.

Ma piuttosto un discorso di sistema, più allargato, che riguarda la politica, la società e gli uomini che dovranno favorire questo cambiamento.

Finché non verranno internalizzati nel costo delle diverse fonti di energia i persistenti danni economici prodotti su ambiente, aria e persone da impianti di generazione a fonti fossili e nucleari non potrà mai esserci una vera neutralità nell’optare per una fonte energetica o l’altra. E in questo senso alcune criticità esistono anche per le tecnologie pulite.

Ma ritorniamo al discorso iniziale: il prezzo non ci dice tutto. L’uguaglianza tra le fonti presupporrebbe una comparabilità che non esiste.

Non solo a livello sociale e climatico o su scala macroeconomica. Ma anche a livello microeconomico: le fonti fossili e nucleari hanno costi fissi per impianti e infrastrutture e costi variabili per i combustibili, per il trasporto e lo smaltimento (filiera molto lunga). Le rinnovabili hanno i costi fissi per gli impianti ma costi variabili pressoché azzerati (ad eccezione delle bioenergie) e con una catena di approvvigionamento molto più corta. Esistono metodi di calcolo per rilevare le differenze in modo corretto? I tentativi di chiarire la questione sono stati fatti, ma non hanno avuto risvolti concreti sulla vita delle persone. Un esempio è possibilità di una differente imposizione fiscale. E le ragioni le abbiano anche esposte all’inizio.

Paolo Viscontini ha espresso una sua visione su scelte che devono diventare impellenti. “La politica – ha detto – finora ha dimostrato di parlare molto di green economy ed energie pulite, ma poi ha disatteso le aspettative andando spesso in altre direzioni”.

Eppure, ha spiegato, la politica dovrebbe considerare la crisi climatica come una necessità primaria e urgente paragonabile ad eventi eccezionali come il Covid. “E in questo caso ha dimostrato di essere capace anche di prendere delle decisioni in parte difficili e impopolari, ma necessarie”.

I costi delle tecnologie green si stanno però abbassando drasticamente, e oggi stanno spesso diventando più competitive delle fossili, ma non sempre la classe politica riesce a comprendere questo processo in atto e a prendere decisioni a lungo termine.

Un po’ perché, come detto, la politica non è stata sempre in grado di affrancarsi dalle grandi imprese energetiche, ma anche perché, come dice Viscontini, uno dei nodi sta nel tipo di organizzazione e nel metodo di lavoro della struttura decisionale che sovraintende all’energia in Italia.

“Il Ministero dello Sviluppo economico che prende le decisioni più importanti, a prescindere dalle competenze che ci sono, non ha sufficiente personale. In un comparto così determinante per il paese abbiamo a male pena cinque persone che lavorano al processo legislativo. Un lavoro complesso di integrazione tra vecchia e nuova normativa, sempre più urgente alla luce delle innovazioni e delle necessità del sistema, richiede più forze in campo”, ha spiegato.

Forze in campo che dovrebbero essere più indipendenti e sempre orientate nella direzione del bene collettivo. E qui entrano le aziende a partecipazione statale,

Per Viscontini “sono una grande risorsa per il paese, ma hanno ancora un peso eccessivo nelle decisioni sulle politiche energetiche”.

“A parte le loro esigenze economiche-finanziarie, del tutto condivisibili, uno Stato che ha una partecipazione in un’azienda di questo tipo dovrebbe spingere queste imprese verso le vere necessità del paese, come clima e generazione distribuita, non solo quelle fissate dalla Borsa o dal sistema finanziario”.

“Nelle fasi decise di determinazione delle politiche energetiche nazionali – ha concluso il presidente di Italia Solare – non possono esserci sempre e solo gli stessi interlocutori, cioè grandi società con interessi economici e finanziari ben evidenti, ma che potrebbero non essere sempre attente alla nuova evoluzione del mercato, agli interessi dei consumatori, agli aspetti ambientali. Per questo serve un ente terzo, aggiornato, competente e indipendente che possa aiutare sempre meglio il governo nella transizione energetica. Bisogna avere il coraggio di farlo; è una decisione da prendere subito”.

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