I supereroi della transizione energetica, cioè i cinque motivi per essere ottimisti

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La seconda parte di una riflessione a tutto campo di Michael Liebreich, sui motivi per cui la decarbonizzazione potrebbe essere più facile di quanto si pensi.

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La transizione energetica è fra le sfide più difficili del nostro tempo. Ci sono però almeno cinque buoni motivi per essere ottimisti sul suo esito.

È quanto ha argomentato Michael Liebreich, fondatore della società di analisi e dati New Energy Finance, poi acquisita da Bloomberg e trasformata in BlooombergNEF (BNEF), di cui Liebreich è ora collaboratore.

Liebreich ne ha parlato nella seconda parte di un suo lungo intervento, in cui, dopo aver illustrato i maggiori ostacoli sulla strada dell’azzeramento delle emissioni entro il 2050 (ne avevamo parlato nell’articolo Transizione energetica, un’altalena fra pessimismo e ottimismo), spiega ora perché non dobbiamo cedere al pessimismo, sulla base di cinque solidi motivi di fiducia circa la riuscita, almeno parziale, dei nostri sforzi.

A titolo di promemoria, i motivi di scetticismo illustrati lo scorso settembre erano: la scarsa economicità delle tecnologie pulite al di là di eolico, fotovoltaico e batterie; l’inadeguatezza delle attuali reti elettriche; l’impennata della domanda di minerali critici; l’inerzia politica e sociale; il populismo anti-climatico; e infine corruzione, fragilità dei quadri regolatori e ritardi di implementazione dei programmi.

Ognuno di questi ostacoli può essere affrontato, anche se potremmo non farcela a rispettare in toto gli obiettivi e i tempi previsti nell’Accordo di Parigi, ha sottolineato Liebreich.

I cinque fattori di forza “non sono abbastanza potenti, con ogni probabilità, da permetterci di raggiungere lo zero netto nel 2050 e di contenere l’aumento della temperatura a 1,5 °C, ma sono abbastanza potenti da permetterci di raggiungere lo zero netto entro il 2070 e di restare ‘ben al di sotto dei 2 °C’, come previsto da Parigi”, ha scritto l’autore.

Ecco una sintesi di quelli che Liebreich ha definito i cinque “supereroi della transizione”.

Crescita esponenziale

Nel 2004, ci voleva un anno per installare un singolo GW di fotovoltaico a livello mondiale. Nel 2010, ci voleva un mese. Nel 2016, una settimana. L’anno scorso ci sono stati singoli giorni in cui è stato installato un GW di fotovoltaico.

In questo lasso di tempo, le installazioni fotovoltaiche sono raddoppiate per dieci volte, facendo scendere radicalmente i costi. Negli ultimi cinque decenni, il fotovoltaico ha registrato un calo dei prezzi del 25% per ogni raddoppio di installazioni, riducendo il costo dei moduli da 106 $/Wp nel 1975 a 0,13 $/Wp nel novembre 2023, secondo l’indice dei prezzi di BNEF.

Il settore eolico è raddoppiato sei volte negli ultimi 20 anni. Nel 2004, sono stati installati 8 GW di eolico; nel 2023 siamo passati a 110 GW, compresi 12 GW di eolico offshore. Anche i costi dell’eolico sono crollati, passando da 0,12 $/kWh per i migliori progetti di vent’anni fa a circa 0,02 $/kWh per l’eolico onshore e 0,05 $/kWh per l’offshore.

L’eolico e il fotovoltaico costituiscono le fonti di corrente in più rapida crescita nella storia. Vent’anni fa, vento e sole generavano meno dell’1% dell’energia globale; 10 anni fa, la cifra era aumentata al 3%. Alla fine dello scorso anno, siamo saliti al 15%.

La stessa cosa sta accadendo per le batterie, che stanno correndo anche più velocemente del fotovoltaico, con cinque raddoppi di capacità negli ultimi otto anni. Nel 2015, sono stati prodotti circa 36 GWh di batterie agli ioni di litio; l’anno scorso il totale è stato di circa 1 TWh.

Negli ultimi dieci anni, il costo delle celle è sceso da 1.000 a 72 $/kWh, mentre la densità energetica è raddoppiata e il degrado per ciclo si è dimezzato. Stanno arrivando anche nuove chimiche, come quelle agli ioni di ferro e di sodio, che promettono di essere ancora più economiche di quelle agli ioni di litio.

“Non sostengo che stiamo andando verso un mondo al 100% di energia eolica, idroelettrica e fotovoltaica. L’energia nucleare e geotermica, le soluzioni a base biologica, la cattura della CO2 (CCS) e la rimozione della CO2 avranno tutte un ruolo. Dico solo che la crescita dell’eolico e del fotovoltaico sarà probabilmente esponenziale ancora per molto tempo”, ha scritto il collaboratore di BNEF.

Soluzioni di sistema

Molti hanno difficoltà ad accettare l’idea di un sistema energetico con al centro eolico, fotovoltaico e batterie, appellandosi all’incapacità delle batterie di coprire periodi più lunghi di un giorno o poco più nei casi in cui la produzione eolica e fotovoltaica diminuisca drasticamente.

“La risposta alla variabilità, tuttavia, non sono le batterie. È una soluzione di sistema: una combinazione di risposta alla domanda, interconnessioni, capacità di generazione in eccesso, pompaggi idroelettrici, nucleare, CCS, idrogeno e biogas, integrati attraverso una rete estesa e gestiti con le tecnologie digitali”, ha scritto l’esperto.

La buona notizia è che ognuna di queste tecnologie sta registrando una crescita e degli investimenti notevoli, e che vengono lentamente collegate tra loro da successive iterazioni della normativa.

Grande concorrenza energetica

Anche per i settori più difficili da decarbonizzare abbiamo ora delle prospettive percorribili. In molti casi stiamo assistendo a qualcosa di più di semplici progetti pilota: nei settori dell’acciaio, dei fertilizzanti, del trasporto marittimo e persino del cemento, si stanno investendo miliardi di dollari, con l’aiuto anche dei governi, ha scritto Liebreich.

“Nel complesso, non esistono più i cosiddetti settori difficili da abbattere. Ci sono solo alcuni settori in cui si prevede che le soluzioni pulite non saranno mai meno costose delle alternative basate sui combustibili fossili”, ha precisato l’esperto.

Le soluzioni pulite “richiederanno un prezzo della CO2, ma un prezzo accessibile, che siamo abbastanza ricchi da pagare, se lo decidiamo. Anche per i settori più impegnativi, oggi vediamo più di un percorso praticabile a prezzi della CO2 tra 75 e 250 dollari per tonnellata di CO2 equivalente, una cifra ben lontana dal 2018, quando sembrava che fossero necessari prezzi di 500 o 1.000 dollari/tCO2”, ha aggiunto.

Se a questo si aggiunge una nuova era di rivalità tra Stati Uniti, Cina, Europa e potenze industriali emergenti come India, Brasile, Messico e Turchia, si creano le condizioni per una corsa all’industria a zero emissioni.

Riduzione della domanda

Il quarto motivo di ottimismo è il fatto che per raggiungere lo zero netto occorreranno molti meno minerali di quanto pensiamo, e saranno più economici di quanto temiamo.

Le stime sulla domanda di minerali critici da parte delle tecnologie pulite sono state sovrastimate. Anche le previsioni meglio costruite non tengono conto dell’impatto sulla domanda dei miglioramenti tecnologici, della sostituzione dei materiali e, soprattutto, del riciclo.

È universalmente accettato che solo il 5% delle batterie agli ioni di litio venga riciclato, con il resto destinato in discarica. Questa affermazione, però, è falsa, e risale a un rapporto scritto nel 2011 da Friends of the Earth, che ha diviso i volumi di raccolta per i volumi di produzione dell’epoca, ha detto Liebreich.

Come sottolinea l’esperto di riciclo Hans Eric Melin, le batterie dei veicoli elettrici sono ricche di materiali preziosi, e i rifiuti delle batterie hanno un prezzo compreso tra 1.000 e 5mila dollari per tonnellata. Melin ha stimato che il 59% delle batterie a fine vita idonee era riciclato nel 2019, ritiene che attualmente la percentuale sia del 90% e che a tempo debito raggiungerà il 99%.

Oltre al tasso di raccolta, è importante il tasso di recupero, la percentuale di materiali recuperati per l’uso e in particolare la percentuale di minerali critici. E qui le notizie sono molto buone, con rapporti di aziende di materiali come Redwood Materials che riportano tassi di recupero fino al 95%.

Si tratta di un dato molto significativo. Supponiamo che la batteria abbia una durata di 15 anni e che i tassi di raccolta e recupero superino il 90%. Se la densità energetica delle batterie migliora del 10% ogni 15 anni, e ricordiamo che è raddoppiata negli ultimi dieci anni, i minerali della batteria iniziale possono continuare a fornire gli stessi servizi di stoccaggio per sempre, secondo il collaboratore di BNEF.

Va notato che la maggior parte delle attuali valutazioni delle emissioni di CO2 durante il ciclo di vita dei veicoli elettrici non include il riciclo delle batterie. Allo stesso tempo, la transizione porterà naturalmente a una riduzione della domanda di risorse da parte dell’industria dei combustibili fossili, come spiega l’analista energetico indipendente Michael Barnard.

“Il 15% dell’energia mondiale utilizzata per l’estrazione e la raffinazione di petrolio e gas? Sparito. Il 40% del trasporto marittimo, dedicato a movimentare petrolio, gas e carbone in tutto il mondo? Svanito. E il 15% dei trasporti marittimi utilizzati per spostare il minerale di ferro? In gran parte reso superfluo dalla produzione locale di acciaio verde. La domanda di idrogeno derivante dall’idrocracking per la produzione di benzina e diesel? Sparita. Oleodotti e gasdotti? Riciclati. Anche la domanda di cemento e acciaio deve iniziare a ridursi: abbiamo superato il picco della natalità e della migrazione urbana; prima o poi supereremo il picco della popolazione”, secondo il fondatore di New Energy Finance.

Il vecchio detto “la cura per i prezzi alti sono i prezzi alti” riguarderà i minerali di transizione tanto quanto le altre materie prime, come stiamo già vedendo per i prezzi dei minerali critici, scesi dell’80% rispetto ai massimi di due anni fa nonostante l’impennata della domanda.

La fallacia dell’energia primaria

La sfida della decarbonizzazione è meno grande di quanto sostengano i suoi critici. Il motivo risiede nella natura della domanda di energia primaria, il parametro che domina il dibattito sulla transizione.

La narrazione dell’energia primaria risale agli anni ’70, quando i Paesi occidentali temevano di rimanere senza l’energia grezza necessaria alle loro economie e cominciarono a cercare nuove risorse in tutto il mondo. Fu quindi creata l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea). Il suo parametro chiave era la domanda di energia primaria e lo è ancora oggi.

Nonostante il nome, però, la domanda di energia primaria non è una vera e propria misura della domanda. Facciamo un esempio. Se si illumina un corridoio con una lampadina a incandescenza da 75 W, tenendola accesa per 2.000 ore l’anno si consumano 150 kWh. Se si alimenta con elettricità da una centrale a carbone con un’efficienza del 35% e perdite di rete del 10% la domanda di energia primaria è di 476 kWh.

Tuttavia, è possibile fornire la stessa quantità di luce con una singola lampadina LED da 10 W. Con lo stesso 10% di perdita di rete, si consumano solo 22 kWh l’anno. Se si fa funzionare quel LED con energia eolica, fotovoltaica o idroelettrica, si riduce la domanda di energia primaria del 95% e si eliminano le emissioni di CO2, senza ridurre l’illuminazione.

Un secondo esempio: il passaggio da un’auto a combustione interna a un’auto elettrica. Una VW Golf consuma benzina per un equivalente di 1,2 kWh/miglio tenuto conto anche delle perdite di estrazione, raffinazione e distribuzione del carburante. L’equivalente VW ID3 elettrica, dopo aver tenuto conto delle perdite di rete e di ricarica, consuma solo 0,3 kWh/miglio.

Passando da un motore a scoppio a un motore elettrico, si ottiene una riduzione del 75% del fabbisogno di energia primaria e si elimina il 100% delle emissioni dal motore, senza riduzione della mobilità.

Un terzo esempio. Il riscaldamento di una casa media negli Usa richiede 57 milioni di unità termiche britanniche (Btu) all’anno. Se il riscaldamento è a gas o a gasolio, dopo aver tenuto conto del 15% di perdite a monte e del 90% di efficienza della caldaia, si arriva a 21 MWh all’anno.

Se si passa a una pompa di calore con un coefficiente di rendimento (Cop) medio annuale di 4 e si tiene conto del 10% di perdite di rete, il consumo si riduce a 4,6 MWh. Alimentando una pompa di calore con elettricità pulita è possibile ridurre il fabbisogno di energia primaria del 78% ed eliminare le emissioni di CO2, oltre alle perdite di metano derivanti dal riscaldamento, senza alcuna riduzione del comfort.

Circa due terzi dell’energia primaria impiegata negli Usa vanno persi, soprattutto come calore di scarto delle centrali elettriche a combustibili fossili e dei mezzi di trasporto, cioè a causa dalla combustione di idrocarburi: lo stesso processo che produce emissioni di CO2. Solo un terzo rappresenta energia finale, che va a finire nei “servizi energetici” effettivamente utilizzati da consumatori e imprese.

La transizione non consiste nel sostituire l’intera domanda di energia primaria con la stessa quantità di qualcosa di più pulito, ma solo nel fornire servizi energetici, in quantità molto minore, in modo efficiente, a parità di performance o possibilmente meglio rispetto alle fonti fossili.

Conclusioni

Gli ostacoli menzionati all’inizio sono problemi spinosi del presente. I cinque supereroi che li vogliono superare sono invece potenti tendenze a lungo termine, il che li avvantaggia. La società ha ormai raggiunto un punto oltre il quale è impensabile non affrontare i cambiamenti climatici, l’inquinamento e il degrado ambientale, ha detto l’esperto.

Così come è diventato inaccettabile scaricare liquami in strada o fumare negli edifici pubblici, sta diventando inaccettabile bruciare combustibili fossili. La generazione che lo considerava normale, insostituibile, una sorta di diritto di nascita, sta perdendo il suo posto a capotavola e viene sostituita da una generazione che non ha dubbi sulla necessità di “smettere di bruciare”.

Questo non renderà le sfide tecniche più semplici, ma crea un circolo virtuoso tra l’inevitabilità della transizione, l’attrazione dei talenti, il ribaltamento della bilancia dei rischi a favore delle soluzioni a basse emissioni e il progresso verso lo zero netto.

Rimane solo una domanda, soprattutto alla luce delle anomalie di temperatura di quest’ultimo anno: arriveremo in tempo?

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