Associare i recenti incendi in Sicilia alla ricerca di terreni per fare fotovoltaico, come abbiamo già scritto, è una sciocchezza.
Si fanno ipotesi in questo senso, ma sono del tutto campate in aria, perché sarebbe irragionevole che un operatore possa avere giovamento dai roghi.
Ma i giornali e le televisioni colgono la palla al balzo del sospetto e fanno loro questa connessione, dando però un pessimo servizio informativo.
Abbiamo già ricordato la legge nazionale 353/2000 (art. 10), poi recepita dalla legge regionale siciliana 14/2006, che stabilisce che pascoli e zone boscate percorse da incendi non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all’incendio per almeno quindici anni.
Lo ha ricordato anche Italia Solare in una sua nota, corredata anche da una lettera al direttore di Repubblica, giornale che ha cavalcato la liaison FV-incendi.
“L’ipotesi del business del fotovoltaico dietro gli scempi a cui stiamo assistendo in questi giorni in Sicilia è assolutamente errata. Il tema è combattere la criminalità, non boicottare le rinnovabili. Viene da pensare che sia stata una mossa proprio per dare un freno alla diffusione del fotovoltaico che oggi, più di qualsiasi altra fonte energetica, è in grado di fornire una risposta alla crisi climatica i cui effetti sono sempre più evidenti, anche in questi giorni, con alluvioni, grandinate, incendi e siccità. Ipotizzare il legame tra il fotovoltaico e gli incendi in Sicilia rischia di fare il gioco di chi vuole ancora i combustibili fossili”, ha commentato Paolo Rocco Viscontini, presidente di Italia Solare.
“Non è più il tempo per le lotte tra fazioni finalizzate a proteggere i rispettivi interessi economici, ma è il momento di agire tutti insieme contro la crisi climatica con tutti i mezzi a disposizione, prima che sia troppo tardi. Combattere ora la crisi climatica, anche e soprattutto con lo sviluppo degli impianti fotovoltaici, significa tutelare i terreni ma anche l’agricoltura che è tra i primi settori a risentire degli effetti devastanti dei cambiamenti climatici”, conclude Viscontini.
Ma c’è di più, come ha spiegato un imprenditore siciliano del settore, Roberto Bissanti, su una testata locale: “non solo la legge regionale dimostrerebbe che non c’è un movente, ma oggi c’è la fila dei proprietari a vendere i propri terreni alle aziende del solare visto il maggiore rendimento che avrebbero”.
Secondo Bissanti “i progettisti del solare non fanno fatica a trovare terreni su cui installare i pannelli, semmai il lavoro più complesso sta nello scartare quelli meno convenienti”.
L’agricoltura siciliana, e non solo quella, ha molte difficoltà che non possono certo trovare il responsabile nelle installazioni di impianti a fonti rinnovabili.
“Quello che manca da tempo – afferma Bissanti – è una pianificazione regionale che indichi chiaramente quali aree possono essere adibite al fotovoltaico; poi va valutato se queste aree sono realmente funzionali e cioè vicine alla rete elettrica. Se la Regione facesse questo lavoro, dopo averle acquisite, potrebbe metterle all’asta, con tanto di autorizzazione incorporata”. Un approccio vantaggioso per tutte le parti in campo, come abbiamo scritto anche su questo sito (Il fotovoltaico e la bufala sullo “specchio siciliano”).
Non è di questo avviso soprattutto Coldiretti Giovani, che ha promosso in questi giorni una petizione contro le rinnovabili che sono, secondo l’organizzazione, causa del consumo del suolo. La chiamano “Petizione contro i pannelli mangia suolo”.
Chiedono di installare il fotovoltaico solo sui tetti di stalle, cascine, magazzini, fienili, laboratori di trasformazione e strutture agricole.
Non viene poi nemmeno considerata, da Coldiretti, la possibilità di accoppiare il solare con alcune colture agricole (agrovoltaico), con un potenziale doppio beneficio per la figura dell’agricoltore.
Ad appoggiare apertamente la petizione c’è anche la presidente della commissione Ambiente della Camera, Alessia Rotta (PD).
Sfugge però ai giovani di Coldiretti e alla deputata che l’occupazione di terreni agricoli con il FV è un falso problema. In Italia, infatti, servirebbero 38-40mila ettari per fare quegli impianti a terra (40-45.000 MW) in grado di soddisfare gli obiettivi al 2030.
Diamo allora qualche numero: la superficie territoriale complessiva italiana è di 301.308 km quadrati (30,1 milioni di ettari), mentre la superficie aziendale totale è, secondo il dato Istat 2010, pari a 17,2 milioni di ettari, il 57% circa del territorio nazionale.
Invece la superficie agricola utilizzata (comunemente detta SAU, cioè la somma delle superfici aziendali destinate alla produzione agricola), sempre al 2010, è pari a 12,8 milioni di ettari circa, il 42% del territorio nazionale.
Pertanto, se proprio volessimo fare tutto quel FV sulle superfici coltivate in uso in Italia, cosa che comunque non è vera, se non in piccolissima parte, avremmo un’occupazione del suolo pari allo 0,3%.
Il fotovoltaico in Sicilia sembra dunque, ancora una volta, sotto la lente critica di alcune organizzazioni e della stampa (e di Repubblica in particolare). Basti ricordare un articolo che affrontava in modo drammatico il tema del fotovoltaico a terra nella regione, dal titolo grottesco “Il business del sole: i terreni della Sicilia ceduti a peso d’oro, l’Isola diventerà un immenso “specchio” fotovoltaico”.
Conciliare rinnovabili e paesaggio è però una necessità e un dovere della politica. Se per alcuni questo matrimonio è impossibile, ma con argomentazioni, a dire il vero, spesso poco razionali, il nostro direttore scientifico, Gianni Silvestrini, cittadino siciliano, ricordava in un suo editoriale l’obbligo di governare con intelligenza questa relazione e segnalava, a chi ha a cuore la bellezza del paesaggio siciliano, “che, se la comunità nazionale ed internazionale non interverranno con rapidità sul clima, anche i nostri territori saranno sempre più a rischio di desertificazione, salinizzazione, alluvioni, tempeste di vento”.