Forse era inevitabile: più ci si avvicinerà al dunque della transizione energetica, con impianti in fase di progettazione o di costruzione nel territorio, e più si moltiplicheranno le resistenze.
Resistenze da parte di alcuni per interesse economico o politico, da parte di altri per ignoranza della materia e della posta in gioco.
Non si sa bene in che categoria inquadrare l’articolo apparso sull’edizione di Palermo di Repubblica, giornale normalmente molto attivo nel promuovere le energie rinnovabili, che lancia un allarme al tempo stesso drammatico e grottesco: “Il business del sole: i terreni della Sicilia ceduti a peso d’oro, l’Isola diventerà un immenso “specchio” fotovoltaico”.
Drammatico perché a leggere il titolo sembra che le ruspe stiano per spianare la valle dei Templi e il teatro di Taormina, per trasformarli in distese di pannelli solari. Grottesco, perché il fotovoltaico non è uno specchio; se lo fosse, rifletterebbe i raggi solari verso il cielo e non produrrebbe un chilowattora.
Lo sconcerto cresce ancora, però, leggendo il contenuto dell’articolo, dove si scopre che “lo specchio”, consisterebbe dell’occupazione, selvaggia e senza regole, di “ben 146 kmq” di territorio, per ospitare 7 GW di fotovoltaico nei prossimi anni.
Allora, tanti saluti alla “Sicilia specchio”, visto che solo i terreni agricoli siciliani coprono 15.000 kmq, e si tratterebbe quindi di meno dell’1% dei campi dell’isola, certamente non certo i più fertili e redditizi, se i proprietari preferiscono affittarli o venderli, agli installatori.
«E non è neanche vero che si possano costruire grandi impianti a rinnovabili dove si vuole in Sicilia: le zone “proibite” sono state decise dall’assessorato regionale ai Beni Culturali secondo regole molto severe, tanto che coprono gran parte del territorio dell’isola», spiega Roberto Bissanti, che lavora come ricercatore del produttore di turbine eoliche Ropatec, ma conosce molto bene il mercato siciliano delle rinnovabili.
«In pratica sono escluse tutte le zone coperte da qualsiasi tipo di vincolo archeologico, paesaggistico, naturalistico, idrogeologico. In quello che resta del territorio, se l’installatore affitta o compra un terreno dai proprietari, ottiene le necessarie autorizzazioni e non chiede soldi allo Stato; non c’è ragione, se non l’inseguimento populistico del consenso, perché gli si debba impedire di creare il suo impianto».
Ma forse il problema è che si concentreranno tanti impianti in poche aree, creando danni all’ambiente e l’effetto “deserto blu” che tante polemiche suscitò in Puglia negli anni del boom intorno al 2010.
«Non credo proprio: a leggere le cifre riportate la superficie impiegata è molto grande, rispetto alla potenza installata, circa 20 kmq per GW, cioè 10 volte quella media di impianti che coprano completamente il terreno. Questo vuol dire che si useranno tecniche moderne come i moduli con tracking monoassiale, i pannelli ad alta potenza e quelli bifacciali, che vengono installati alti sul terreno e in file diradate fra loro, producendo quanto e più degli impianti compatti, ma consentendo alla vegetazione, coltivata o spontanea, di vivere fra le file. I terreni, quindi potranno probabilmente essere usati anche per pascolo, agricoltura, o come riserva di biodiversità» aggiunge Bissanti.
Per conferma chiediamo a uno dei massimi “colpevoli” indicati nell’articolo di Repubblica, Falck Renewables, che nell’isola ha in progetto per 256 MW di FV tra Catania, Lentini e Motta Sant’Anastasia.
«Tutti i nostri progetti, da nord a sud dell’Italia, prevedono sempre soluzioni per un uso congiunto del territorio per la produzione di energia e per l’attività agricola», ci dice Fabrizio Tortora, Head of Development di Falck Renewables.
«Inoltre, utilizziamo sempre sistemi in grado di ridurre l’impatto paesaggistico. Infine, stabiliamo rapporti di lungo periodo con i proprietari dei terreni e con i Comuni, condividendo con essi il valore creato, compresa l’attività agricola negli impianti».
Aa questo punto la domanda nasce spontanea: ma per evitare queste polemiche, gli impianti non potreste farli sui tetti?
«L’elettricità prodotta sarà venduta tramite contratti di tipo PPA a privati, senza chiedere aiuti allo Stato», spiega Tortora. «Quindi i nostri progetti devono competere in un mercato dove il basso costo di produzione è fondamentale. Per fare ciò l’unica soluzione è costruire grandi impianti a terra, perché l’alternativa, farne di più piccoli su tanti tetti, ha costi e complessità maggiori, e quindi può funzionare solo in presenza di consistenti incentivi pubblici. Le due modalità non si escludono, ma per rispettare gli impegni climatici presi dall’Italia i grandi impianti a terra saranno indispensabili».
Insomma, la superficie occupata dal futuro FV siciliano sarà relativamente ridotta, e in buona parte consentirà anche l’attività agricola: qual è allora il problema?
«Il problema è che dobbiamo deciderci una volta per tutte: vogliamo rispettare gli impegni presi con l’Ue contro il cambiamento climatico o fare solo chiacchiere? Se li vogliamo rispettare, bisognerà capire che dovremo utilizzare una piccola parte del terreno, in tutta Italia, per installare rinnovabili. Basta con le polemiche inutili, fomentate dai media, ogni volta che appare un pannello solare o una turbina eolica all’orizzonte», sbotta Bissanti.
Siamo d’accordo. C’è però un vero motivo di preoccupazione, riguardo a questa improvvisa pioggia di impianti FV in Sicilia, e non c’entra la sua “trasformazione in specchio”: come si farà a portare via quella elettricità solare generata da 7 GW di FV, che sono più dell’attuale potenza termoelettrica dell’isola, se non solo le reti interne siciliane sono deboli e con molti buchi, ma lo stesso cavo che connette l’isola al continente ha una capacità di soli 1,5 GW?
La Sicilia non potrà sicuramente assorbire tutta quella potenza, e in mancanza di sbocchi, l’unica strada sarà quella di distaccare molti GW di impianti solari nei momenti di massima produzione.
A Terna ci spiegano che il problema è reale e anche molto allarmante: stanno ricevendo montagne di richieste di allaccio da aree del paese, Sicilia, ma anche Sardegna o Puglia, con reti di capacità già ora insufficiente, che a meno di interventi massicci e urgenti non potranno reggere quei carichi.
Per questo, ai primi di luglio, presenteranno un rapporto su come ristrutturare le rete italiana del futuro, per accogliere tutte le nuove rinnovabili previste, di cui daremo conto appena se ne sapranno i contenuti.
Che gli installatori si preoccupino delle reti dove vanno a connettersi sembra improbabile, se non adottando alcune misure tampone utili anche a migliorare la remunerazione dell’attività dell’impianto.
«Non sono gli operatori privati a poter valutare quanto la rete sia in grado di assorbire, perché non hanno le informazioni che un operatore istituzionale come Terna invece possiede», dicono a Falck Renewables. «Stiamo comunque pensando a soluzioni per ridurre le congestioni, che includono lo storage e anche l’idrogeno verde, sebbene quest’ultimo sia un po’ in là da venire».
Ma Bissanti suggerisce un’altra e “rivoluzionaria” idea, in un paese che finora ha trasformato il concetto di “transizione energetica” in un sinonimo di “confusa anarchia”
«Vogliamo evitare che siano i privati a scegliere dove installare gli impianti, seguendo solo le loro convenienze e non preoccupandosi di come si potrà trasportare la loro elettricità? Allora, una volta decisi gli obbiettivi nazionali, ogni Regione decida quanto e dove sistemare gli impianti per produrre la sua parte di energia rinnovabile, ripartendoli equamente sul territorio e tenendo conto anche della capacità locale delle reti, per esempio sfruttando quelle delle centrali a fonti fossili da chiudere».
«Poi – aggiunge – acquisti i terreni nelle aree scelte e li doti delle autorizzazioni per l’installazione, mettendo infine all’asta il “pacchetto”: vedrà che i privati saranno felicissimi di pagare, visto che potranno partire subito con l’installazione, invece di attendere per anni la conclusione delle pratiche burocratiche. Si programmeranno così le installazioni in modo razionale, evitando congestioni e polemiche strumentali, incassando anche del denaro utile per i bilanci pubblici».
Gli obiettivi 2030 sulle rinnovabili passano inevitabilmente da queste problematiche e soluzioni. E non sarà un percorso in discesa.