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Incendi in Sicilia per fare fotovoltaico? Ecco perché è un’ipotesi che non ha senso

Alcuni articoli di stampa hanno rilanciato l'ipotesi che dietro i roghi dolosi ci sia il business degli impianti solari. Ma una legge del 2000 vieta di riconvertire terreni bruciati per almeno 15 anni.

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Gli incendi che in questi giorni stanno devastando vaste aree della Sicilia, hanno portato anche il sospetto che dietro le fiamme ci possa essere la malavita che vuole investire nel fotovoltaico.

Come riportano alcuni articoli di stampa, le ipotesi di roghi dolosi, appiccati allo scopo di convertire boschi, pascoli e terreni agricoli in grandi impianti fotovoltaici a terra, sarebbero una delle diverse piste su cui starebbe indagando la Commissione antimafia regionale siciliana, guidata da Claudio Fava.

La “Repubblica”, in riferimento ai lavori della Commissione antimafia regionale, scrive di alcuni proprietari terrieri che sarebbero stati avvicinati da intermediari interessati ad acquistare i loro campi, da destinare poi alla realizzazione di nuovi impianti fotovoltaici.

Nel commentare tali indiscrezioni, Coldiretti in una nota parla di (neretti nostri) “ombre del business del fotovoltaico a terra sugli incendi in Sicilia” tanto che Coldiretti Giovani Impresa ha lanciato in tutta Italia una petizione “contro i pannelli solari mangia suolo“.

Tuttavia, queste accuse non convincono per diverse ragioni.

Difatti, la legge nazionale 353/2000 (art. 10), poi recepita dalla legge regionale siciliana 14/2006, stabilisce che pascoli e zone boscate percorse da incendi (neretti nostri) “non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all’incendio per almeno quindici anni“.

È consentita solo la realizzazione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente.

In quelle aree, inoltre, è vietata per 10 anni “la realizzazione di edifici nonché di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili e attività produttive, fatti salvi i casi in cui per detta realizzazione sia stata già rilasciata, in data precedente l’incendio e sulla base degli strumenti urbanistici vigenti a tale data, la relativa autorizzazione o concessione”.

Al presidente di Legambiente Sicilia, Gianfranco Zanna, intervistato dall’agenzia AGI (neretti nostri nelle citazioni), questa ipotesi di un collegamento tra gli incendi dolosi e le nuove opportunità per gli investitori del fotovoltaico “sembra una sciocchezza, proprio perché una legge vieta per anni le trasformazioni urbanistiche nei terreni bruciati. E, tra l’altro, per ora è possibile fare il fotovoltaico nei terreni agricoli: dov’è il nesso?”.

Secondo Zanna, il parallelismo roghi-fotovoltaico “fa perdere il nodo della questione: in questa regione gli incendi cominciano da anni a maggio e una pessima e arrugginita macchina organizzativa si mette in moto, quando va bene, a giugno, e con mezzi antiquati e personale anziano. Invece di parlare di questo, si va a guardare al fotovoltaico, contro le fonti rinnovabili”.

Anche Elettricità Futura, nel commentare la vicenda su Twitter, punta l’accento sulla necessità di migliorare la prevenzione incendi e cita la legge del 2000 in materia di incendi boschivi, ricordando che “dove passa il fuoco è impossibile fare agricoltura, agrivoltaico, pascolo, fotovoltaico”, perché “i terreni bruciati sono inutilizzabili anche fino a 15 anni”.

Più in generale, che la disponibilità di suolo non sia un problema per il fotovoltaico, emerge dai numeri diffusi dalle associazioni delle rinnovabili.

Proprio nei giorni scorsi, ad esempio, Elettricità Futura e Italia Solare hanno chiesto alla Regione Lazio di ritirare la proposta di sospendere fino al 30 giugno 2022 tutte le nuove autorizzazioni a impianti eolici e fotovoltaici a terra di grandi dimensioni, fatti salvi i progetti di agrovoltaico con montaggio verticale dei moduli.

In quell’occasione, Italia Solare ha ricordato che il Piano nazionale per l’energia e il clima al 2030 (Pniec) richiede di installare circa 43 GW di fotovoltaico e ipotizzando di realizzare il 30% dei nuovi impianti su tetti e coperture, bisogna avere a disposizione 39.000 ettari di terreni.

E questi 39.000 ettari, rimarcava l’associazione, equivalgono allo 0,93% delle aree agricole non utilizzate e allo 0,24% delle aree coltivate. In sostanza, afferma il presidente di Italia Solare, Paolo Rocco Viscontini, “visti questi numeri, è chiaro che lo spazio non è una questione rilevante”.

In definitiva, considerando che la legge vieta di cambiare detinazione d’uso alle aree incendiate per almeno 15 anni e che c’è ampia disponibilità di terreni da poter adibire alla produzione energetica, non si capisce perché il fotovoltaico sia additato da certa stampa come probabile causa dell’emergenza incendi in Sicilia.

Come ha commentato Viscontini a QualEnergia.it, “è sconcertante che un’ulteriore bufala contro il fotovoltaico sia stata ripresa con così grande enfasi dalla stampa nazionale”.

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