Transizione energetica, per la Iea ci vuole anche il nucleare. Ma è un’opzione piena di rischi

L'Agenzia internazionale dell'energia punta su un mix di rinnovabili e un po' di atomo con un raddoppio della capacità installata nei reattori. Una strada comunque in salita come dimostrano i tanti problemi attuali dell'energia nucleare.

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Fare la transizione energetica pulita senza nucleare sarebbe più difficile e costoso. Così la Iea (International Energy Agency) torna su uno dei capisaldi del suo scenario Net Zero 2050, che prevede un azzeramento delle emissioni nette di CO2 con un mix di rinnovabili e atomo.

Il nucleare non è indispensabile ma è fortemente raccomandato per assicurare una produzione sicura e stabile di elettricità, sottolinea il nuovo rapporto “Nuclear Power and Secure Energy Transitions” (link in basso).

Secondo la Iea, il nucleare può avere un ruolo nella transizione alle fonti rinnovabili, perché riduce la dipendenza dai combustibili fossili importati, riduce le emissioni di anidride carbonica e consente ai sistemi elettrici di integrare quote maggiori di eolico e fotovoltaico.

“Credo che il nucleare abbia una opportunità unica per mettere in scena un suo ritorno“, ha dichiarato Fatih Birol, direttore esecutivo della Iea, in riferimento al contesto attuale della crisi energetica, con prezzi alle stelle dei combustibili fossili e traguardi climatici sempre più ambiziosi.

Molto dipenderà da quanto i governi decideranno di investire in nuovi impianti atomici, destinandovi ingenti risorse finanziarie (guardando anche al futuro dei piccoli reattori modulari di capacità inferiore a 300 MW, Small Modular Reactor, SMR) e cercando così di superare i tanti problemi tecnici che ora frenano lo sviluppo dei progetti.

Va detto tuttavia che lo scenario Net Zero prevede che le rinnovabili faranno il grosso del mix elettrico a metà secolo, il 90% circa, con appena un 8% di nucleare, quindi meno rispetto a oggi in termini percentuali (10% a inizio 2022), ma di più in termini assoluti, considerando il previsto incremento della capacità globale di generazione di elettricità.

Difatti, secondo lo scenario Iea bisognerà raddoppiare la potenza installata nei reattori nucleari, da 413 GW oggi a 812 GW entro il 2050; i vari Paesi dovranno arrivare a installare in media ogni anno 27 GW di nuovi impianti, con investimenti annuali di 80-100 miliardi di dollari a livello globale.

La Iea ricorda poi che il 63% della potenza atomica installata nel mondo, pari a 260 GW, ha più di 30 anni; sarà necessario estendere la vita utile di una buona fetta di questi impianti esistenti, al fine di raggiungere i traguardi dello scenario a zero emissioni.

Lo scenario Net Zero prevede anche una variante Low Nuclear dove il nucleare farà solo il 3% del mix di generazione elettrica nel 2050. In questo caso, però, il buco lasciato dal nucleare dovrà essere colmato da rinnovabili, sistemi di accumulo e fonti fossili con tecnologie di cattura della CO2, facendo aumentare i costi complessivi della transizione (+500 miliardi di $ secondo le stime Iea).

Ricordiamo sempre che negli anni passati la Iea ha sottostimato più volte il potenziale delle rinnovabili e la rapida riduzione dei loro costi; di conseguenza, con ogni probabilità una transizione energetica con rinnovabili e accumuli senza nucleare costerà meno, e non di più, di una transizione con dentro parecchi investimenti atomici.

Investire in nuovi reattori atomici è una strada irta di rischi e incognite, come abbiamo spiegato di recente (si veda l’editoriale di Gianni Silvestrini: Tutte le difficoltà del nucleare).

Già oggi le fonti rinnovabili senza sussidi pubblici sono le opzioni più convenienti per produrre energia elettrica in molti mercati, mentre il nucleare continua a richiedere massicce iniezioni di finanziamenti statali (si veda Il nuovo nucleare di qualsiasi tipo che non riesce più a competere con le rinnovabili).

Bernard Doroszczuk, presidente della Autorità per la sicurezza nucleare francese, a metà maggio, nel presentare al Parlamento il rapporto sullo stato di salute dei reattori nel 2021, ha evidenziato molte criticità. In particolare, nei mesi scorsi, è stato necessario chiudere 12 reattori per verifiche e riparazioni, dovute alle impreviste corrosioni in prossimità delle saldature sulle tubazioni di alcuni circuiti.

Poi Doroszczuk ha evocato la necessità di lanciare un piano Marshall per sviluppare il programma nucleare di Macron, che punta a 25 nuovi GW al 2050 con la costruzione iniziale di 6 reattori Epr-2 (più altri eventuali 8).

Le unità Epr-2 sono evoluzioni della tecnologia ad acqua pressurizzata Epr (European Pressurized Reactor) sviluppata da Edf: secondo il colosso elettrico francese, dovrebbero garantire una costruzione più semplice e con criteri di sicurezza migliorati rispetto ai reattori Epr di prima generazione, che hanno causato enormi problemi tecnici al progetto di Flamanville (extra costi e ritardi hanno posticipato il completamento della centrale dal 2012 a, forse, il 2023).

In sostanza, dalle parole di Doroszczuk è chiaro che serviranno miliardi di euro di denaro pubblico per sostenere le industrie del settore atomico francese, che altrimenti non sarebbero in grado di affrontare investimenti di tale portata.

Intanto anche il progetto per due reattori da 1.600 MW Epr a Hinkley Point C, in Gran Bretagna, continua a essere rallentato da inconvenienti tecnici, extra costi, ritardi. Senza dimenticare che produrrà energia a un prezzo fisso garantito dallo Stato (92,50 sterline per MWh, che sarà aggiornato in base al tasso di inflazione durante il periodo di costruzione e nei successivi 35 anni coperti dalla tariffa), notevolmente più alto rispetto a quanto riescono a fare le rinnovabili ( si veda I ritardi senza fine del nucleare: un anno in più (e costi lievitati) per i nuovi reattori Uk).

Le valutazioni della Iea restano secondo noi molto criticabili e comunque danno un peso sicuramente limitato al nucleare nel mix elettrico futuro.

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