Tutte le difficoltà del nucleare

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La Francia affronta una doppia fragilità sul nucleare e gli Stati Uniti fanno i conti con l'età dei reattori e l'aumento dei costi. Ecco perché il nucleare non è la soluzione per combattere il cambiamento climatici e la crisi energetica.

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Visto che diverse forze politiche rilanciano l’ipotesi del nucleare in Italia, è bene fornire alcuni dati.

Se si parla dei nuovi reattori di piccola dimensione, solo a fine decennio sapremo se funzionano, quali sono i rischi e i costi. In ogni caso, dopo un nuovo referendum visti i due precedenti con i quali l’Italia si è detta con decisione contraria, possiamo immaginare che tra iter autorizzativi e realizzazione saremo, ottimisticamente, nella seconda metà del prossimo decennio. E per quella data le rinnovabili saranno tra l’80 e il 90% della produzione elettrica.

Qual è la situazione internazionale? Partiamo dal fatto che il suo contributo percentuale del nucleare a livello mondiale è calato dal 17,5% raggiunto nel 2006 all’attuale 10%.

Naturalmente ci sono paesi come la Cina che per liberarsi dal carbone puntano su tutte le tecnologie, dalle rinnovabili al nucleare. Ma anche lì i problemi non mancano, come dimostra l’arresto lo scorso anno della centrale di Taishan e altre criticità si sono manifestate nelle scorse settimane ad un impianto atomico gemello.

Partiamo dalla Francia considerata la punta di diamante di questa tecnologia. Parigi aveva approvato una legge nel 2015 che richiedeva un forte calo dell’energia nucleare, dal 75% del mix, al 50% nel 2025.

Malgrado questo impegno, nel mese di febbraio 2022 in piena campagna elettorale, Macron ha annunciato: «Ciò di cui il nostro Paese ha bisogno […] è la rinascita dell’industria nucleare francese», ipotizzando la costruzione di almeno sei nuovi reattori entro il 2050, con un’opzione per altri otto.

Non poteva scegliere momento peggiore. Infatti, nei mesi successivi il sistema nucleare francese ha visto un forte aumento dei suoi problemi.

«Il sistema elettrico francese deve affrontare oggi un’inedita doppia fragilità sul fronte della disponibilità, che riguarda sia gli impianti del ciclo del combustibile che il parco dei reattori nucleari», ha dichiarato Bernard Doroszczuk, presidente dell’Associazione per la Sicurezza nucleare, Asn, insistendo in particolare sui problemi di corrosione riscontrati in alcuni reattori, le cui cause «sono ancora ignote».

In effetti nel mese di maggio la metà dei 56 reattori di EDF era ferma, in parte per manutenzione, in parte per le criticità rilevate, tanto che la società elettrica francese ha stimato che la produzione di quest’anno sarà la più bassa da oltre trent’anni, con un calo dei ricavi del gruppo per il 2022 di 18,5 miliardi di euro. I problemi dell’azienda elettrica sono tali che il presidente Emmanuel Macron sta ora pensando di nazionalizzare alcune sue attività.

Insomma, si manifestano i problemi della vecchiaia e stupisce in questo difficile scenario il cambio di strategia del governo francese.

Criticità si sono registrate anche negli Stati Uniti. L’età media delle centrali americane, autorizzate a funzionare per 40 anni, è infatti di 40 anni; certamente si punta sull’allungamento della vita dei reattori dopo adeguati interventi.

Resta il fatto che le quaranta unità statunitensi finora chiuse – il 30% del totale – avevano una media di 22 anni e solo otto avevano raggiunto 40; i sei reattori chiusi nel periodo 2016-20 avevano una media di 46 anni pur essendo stati abilitati per 60. Molti degli impianti ritirati anticipatamente non riuscivano a reggere la competizione con il gas e le rinnovabili. Non a caso la legge sulle infrastrutture, firmata dal presidente Joe Biden a novembre 2021, includeva un programma da 6 miliardi di dollari destinato a preservare il funzionamento dei reattori nucleari.

Per quanto riguarda invece i nuovi impianti, l’unico investimento in corso negli Stati Uniti riguarda due reattori nucleari a Plant Vogtle in Georgia. Questi impianti sono in ritardo di anni e si prevede che costeranno 34 miliardi di dollari, includendo la cifra pagata alla Westhinghouse nel frattempo fallita. Cioè più del doppio del budget originale di 14 miliardi di dollari. Amory Lovins ci ricorda che il 92% dei 180 reattori costruiti hanno visto costi finali del 117% superiori alle previsioni.

La riflessione critica sul nucleare parte proprio da chi ha avuto compiti di supervisione. In una lettera del 25 gennaio 2022, quattro ex responsabili degli enti di regolazione dell’energia nucleare di Francia, Stati Uniti, Germania e Regno Unito, hanno criticato il ruolo dell’energia nucleare per combattere il cambiamento climatico.

Essi sostengono che il nucleare «semplicemente non fa parte di alcuna strategia fattibile che potrebbe contrastare il cambiamento climatico. Per dare un contributo rilevante alla produzione globale di energia, sarebbero necessari fino a più di diecimila nuovi reattori.

Inoltre, affermano gli esperti, l’ipotesi che una nuova generazione di nucleare pulita, sicura, intelligente ed economica, è una finzione. La realtà è che il nucleare non è né pulito, né sicuro, né intelligente; ma una tecnologia molto complessa con il potenziale di causare danni significativi. Il nucleare, infine, non è economico, ma estremamente costoso.

Una stroncatura sui “small nuclear reactors” è venuta da una serie di scienziati del settore in un recente articolo pubblicato dalla National Academy of Sciences. Oltre a produrre più rifiuti rispetto ai grandi impianti, lo studio ha evidenziato che i piccoli reattori modulari creano rifiuti più difficili e costosi da trattare e immagazzinare. Insomma, la strada del nucleare è in salita.

L’articolo è tratto dall’editoriale pubblicato sul n.2/2022 della rivista bimestrale QualEnergia con il titolo “Nuova transizione”.

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