I ritardi senza fine del nucleare: un anno in più (e costi lievitati) per i nuovi reattori Uk

CATEGORIE:

Secondo Edf slitta a giugno 2027 la prevista entrata in funzione della prima unità Epr da 1.600 MW di Hinkley Point C.

ADV
image_pdfimage_print

Il nuovo nucleare con targa francese continua a essere bersagliato da ritardi, extra costi e inconvenienti tecnici.

Non fa eccezione il mega progetto di Hinkley Point C in Gran Bretagna: due reattori da 1.600 MW di potenza in costruzione nel Somerset, con la tecnologia Epr ad acqua pressurizzata che ha sviluppato la Francia con il suo colosso energetico Edf.

È la stessa tecnologia utilizzata per i nuovi reattori a Olkiluoto (Finlandia) e Flamanville (Francia). Anche entrambi questi progetti hanno accumulato problemi nelle fasi di costruzione, posticipi delle date previste per la messa in esercizio mentre i costi complessivi di investimento sono lievitati. La centrale di Olkiluoto 3 era stata progettata nel 2000, i lavori sono inziati nel 2005 e i primi kWh generati a marzo del 2022: costo circa 9 miliardi di euro contro i 3,2 stimati inizialmente.

Per quanto riguarda Hinkley Point, Edf in una nota afferma che la prima unità della centrale inizierà a produrre energia elettrica in ritardo di un altro anno, quindi a giugno 2027 (anziché giugno 2026 come stimato a gennaio 2021).

Da quando è iniziata la costruzione del nuovo impianto, a marzo 2017, precisa Edf nella sua ultima comunicazione, il progetto è stato ritardato in totale di 18 mesi, soprattutto a causa della pandemia da Covid-19. E il rischio di ulteriori rinvii per entrambe le unità nucleari è ora stimato in 15 mesi, assumendo che non ci siano altre ondate di pandemia né effetti collegati alla guerra in Ucraina.

Intanto, le stime aggiornate sui costi totali per completare la centrale sono salite a 25-26 miliardi di sterline, il 50% in più del budget originario del 2016 (un anno fa Edf parlava di 22-23 miliardi di sterline).

Edf sottolinea che durante la pandemia le catene di approvvigionamento di risorse e materiali “sono state gravemente limitate”, mentre sono cresciuti i costi degli stessi materiali e di molte attività, come quelle di ingegneria e delle opere marittime.

Ma il progetto di Hinkley Point C non aveva certo bisogno del Covid per mostrare le sue fragilità, soprattutto dal punto di vista della competitività economica.

Difatti, grazie agli accordi siglati tra Edf e Londra, la centrale avrà un prezzo fisso garantito dallo Stato per la sua produzione elettrica pari a 92,50 sterline per MWh (in prezzi del 2012), che sarà aggiornato in base al tasso di inflazione durante il periodo di costruzione e nei successivi 35 anni coperti dalla tariffa.

È un prezzo notevolmente più alto rispetto ai prezzi attuali della generazione elettrica da fonti rinnovabili; già nel 2017 alcune aste inglesi per nuovi parchi eolici offshore avevano assegnato progetti a meno di 60 sterline per MWh.

Eppure nel piano energetico inglese presentato lo scorso aprile è stato concesso parecchio spazio al nucleare.

Si punta a 24 GW di potenza totale installata entro il 2050, per riuscire a coprire il 25% circa della prevista domanda elettrica.

Allo stesso tempo, Londra intende raggiungere i 50 GW di eolico offshore nel 2030 (con 5 GW di turbine installate su fondamenta galleggianti) e 70 GW di fotovoltaico nel 2035, grazie a una accelerata delle autorizzazioni e alle nuove aste regolate dai contratti per differenza (CfD: Contracts for Difference).

Questi ultimi, ricordiamo, stabiliscono un determinato prezzo di riferimento di esercizio (strike price) per la produzione di energia di un certo impianto. Se questo prezzo è inferiore a quello di mercato sulla Borsa elettrica, lo Stato paga la differenza al produttore; viceversa, se lo strike price è più alto rispetto al valore di mercato, è il produttore a versare il surplus allo Stato.

Quindi è un meccanismo flessibile e dinamico, pensato per aumentare la competitività delle rinnovabili e ridurre i costi complessivi del sistema elettrico, al contrario del prezzo fisso elevatissimo che si è assicurata Edf per Hinkley Point C.

E le cose per il nucleare non vanno certo meglio in Francia.

Bernard Doroszczuk, presidente della Asn (Autorité de Sûreté Nucléaire, Autorità per la sicurezza nucleare), nei giorni scorsi ha presentato al Parlamento il rapporto sullo stato di salute dei reattori nel 2021.

Sono emerse molte criticità: in particolare, è stato necessario chiudere 12 reattori in questi mesi per verifiche e riparazioni, dovute alle impreviste corrosioni in prossimità delle saldature sulle tubazioni di alcuni circuiti.

Questi inconvenienti rendono ancora più incerto il revival del nucleare proposto da Emmanuel Macron, confermato presidente alle elezioni di aprile.

Macron punta a realizzare 25 nuovi GW di nucleare al 2050 con la costruzione iniziale di sei reattori Epr-2 più altri eventuali otto. Il primo dovrebbe entrare in funzione nel 2035.

Queste unità Epr-2 sono evoluzioni della tecnologia ad acqua pressurizzata Epr (European Pressurized Reactor): secondo Edf dovrebbero garantire una costruzione più semplice e con criteri di sicurezza migliorati rispetto ai reattori Epr della prima generazione, che hanno causato enormi problemi tecnici al progetto di Flamanville (extra costi e ritardi hanno posticipato il completamento della centrale dal 2012 a, forse, il 2023).

Alla fine del suo intervento, Doroszczuk ha evocato la necessità di un piano Marshall per sviluppare il programma nucleare di Macron.

In sostanza: miliardi di euro di denaro pubblico per sostenere le industrie del settore, che altrimenti non sarebbero in grado di affrontare investimenti di tale portata.

La domanda allora è: perché non fare un “piano Marshall” per rinnovabili ed accumuli di energia, che potrebbero essere installati molto più velocemente e a costi più bassi?

ADV
×