In futuro meno introiti dalle tasse ambientali. Ma come correggere il tiro?

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Eliminare i sussidi alle fonti fossili, spostare la tassazione dal lavoro alle attività inquinanti. Insomma va rimodulata la politica fiscale. Le indicazioni dell'Agenzia europea dell'ambiente.

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Le tasse ambientali possono favorire il raggiungimento degli obiettivi climatici dell’Unione europea al 2030 e al 2050, ma la loro applicazione nei diversi Paesi finora è stata molto lenta.

Inoltre, bisogna considerare il rischio di una erosione futura dei proventi di queste tasse, perché i traguardi sul clima porteranno a un minore utilizzo di energie fossili con conseguente riduzione del gettito fiscale.

Questi i temi esaminati da un briefing della EEA (European Environment Agency), interamente dedicato al ruolo della tassazione ambientale per la transizione energetica.

Nel documento si evidenzia, per prima cosa, che a livello Ue le tasse ambientali ammontano al 5,9% delle tasse totali (era il 6,6% circa venti anni fa) e che le loro entrate sono cresciute del 18% da 253 miliardi di euro nel 2002 a 298 mld € nel 2019.

Tuttavia, nello stesso periodo, il Pil è cresciuto del 26% e le entrate complessive di tutte le tasse sono salite del 31% circa.

In sostanza, quindi, si è già assistito a una diminuzione dei proventi delle tasse ambientali in rapporto al gettito fiscale cumulativo. E questa situazione è destinata con ogni probabilità a peggiorare, si spiega, dal momento che la transizione ecologica comporterà un’ulteriore contrazione degli introiti derivanti, ad esempio, dalla tassazione della CO2.

Come sta già accadendo da qualche anno in alcuni Paesi nordici, Svezia in primis, dove una carbon tax molto efficace ha finito per erodere la base imponibile e di conseguenza i ricavi della stessa carbon tax.

Il punto è che se la tassazione ambientale fa il suo dovere, cioè contribuisce a ridurre le emissioni di anidride carbonica, ad esempio nel settore dei trasporti grazie alla diffusione dei veicoli elettrici, sul lungo periodo si avranno meno introiti e questo, a sua volta, richiederà di rimodulare la politica fiscale.

In che modo?

Una raccomandazione è quella di mettere al centro la tassazione ambientale, attraverso le varie politiche di carbon pricing, e allo stesso tempo di eliminare più velocemente i sussidi alle attività inquinanti, in particolar modo quelli che favoriscono gli usi di combustibili fossili nei trasporti, per il riscaldamento e per determinate produzioni industriali.

Proprio nei giorni scorsi, il ministero italiano della Transizione ecologica ha annunciato che varerà un piano di uscita dai sussidi ambientalmente dannosi entro metà 2022, in linea con le indicazioni del pacchetto Ue “Fit for 55”.

I sussidi dannosi sono stimati dal MiTE, rispettivamente, a 24,5-21,6 miliardi di € nel 2019-2020; fra questi, i sussidi alle fonti fossili sono ammontati rispettivamente a 15-13 miliardi di € per il biennio considerato.

Altra raccomandazione della EEA è realizzare una riforma fiscale “sostenibile”, incentrata sul passaggio dalle tasse sul lavoro alle tasse sulle attività inquinanti e ad alto consumo di energia e risorse.

In questa riforma dovrebbero trovare più spazio anche le tasse sulle transazioni finanziarie, sui terreni e sui grandi patrimoni, in modo da poter finanziare con più forza le politiche sociali.

Uno dei rischi della transizione ecologica, infatti, è la mancanza di equità, se non ci saranno adeguate misure per tutelare le fasce più deboli della popolazione dai rincari energetici, e per mettere le famiglie in condizione di investire nelle tecnologie a basso impatto ambientale (isolamento termico delle abitazioni, pompe di calore, auto elettriche e così via).

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